QUANDO IL MADE IN ITALY SOPRAVVIVE GRAZIE AGLI IMPRENDITORI IMMIGRATI
LE COMUNITA’ MAROCCHINA, EGIZIANA E RUMENA EMERGONO NEI DISTRETTI DEL METALLO DI BRESCIA E DEL PENTOLAME DI LUMEZZANE… NELL’OREFICERIA AD AREZZO SPAZIO A PACHISTANI E BENGALESI
Oggi il termine «immigrazione» genera polemiche, ma forse i dati economici dovrebbero suggerire un po’ di realismo.
È la prima constatazione che nasce dalla lettura dell’ultimo rapporto della Fondazione Leone Moressa, l’istituzione che dal 2014 studia la realtà dei distretti industriali italiani – la nostra vera forza – dal punto di vista del contributo dell’imprenditoria straniera.
Una quota non piccola rispetto al totale, con 656mila imprese, pari al 8,7%.
I risultati sono sorprendenti perchè – in barba alla crisi – si scopre quanta parte della sopravvivenza del nostro “made in Italy” sia merito dell’attività degli immigrati.
I numeri del rapporto, infatti, prendono anima e scoprono la storia di un piccolo ma straordinario esercito invisibile di uomini e donne che si sono fatti spazio in questi ultimi anni nelle diverse realtà imprenditoriali del Paese, riuscendo a interagire con essa e, infine, a contribuire al mantenimento di interi settori che sarebbero altrimenti destinati a morire.
Un caso tra tanti: il settore della oreficeria ad Arezzo ha registrato per quanto riguarda gli imprenditori italiani una caduta del 12,9% tra il 2010 e il 2015, mentre nello stesso periodo quelli straniere sono aumentati del +34,5%.
Numeri, che confermano ancora una dato: se a livello generale il numero di imprenditori negli ultimi cinque anni è diminuito (-5,5%), quello degli stranieri è cresciuto e continua a crescere.
In particolare con la componente extracomunitaria. che vede un aumento del 24% dal 2010.
I distretti produttivi presi in esame dall’approfondimento della Fondazione Moressa sono stati quelli con un volume di export superiore a 1 miliardo di euro nel 2014.
In vetta alla classifica ne emergono tre: i primi due concentrati nella zona lombarda nell’ambito della metalmeccanica, il terzo è il distretto della pelletteria a Firenze.
Ma al di là della nota realtà cinese nel tessile di Prato, ci sono altre comunità che stanno diventando importanti per la tenuta del “made in Italy”.
Ad esempio, la comunità egiziana, marocchina e rumena nei distretti del metallo di Brescia, nella rubinetteria, delle valvole e del pentolame di Lumezzane.
Nell’oreficeria ad Arezzo, invece, emergono le comunità pachistana e quella bengalese, seguita da quella rumena.
Per quanto riguarda le calzature, l’abbigliamento, la pelletteria e il tessile, primeggia la Cina, ma – seppur con valori più piccoli – si affacciano anche gli imprenditori marocchini, rumeni, nigeriani e bengalesi.
Comunità raccontate con i numeri, ma che in realtà sono storie con volti e un anima profonda della nostra Italia che cambia.
E in questo caso, sopravvive, grazie anche al lavoro, l’ambizione e la buona volontà , di chi guarda lontano e anticipa il proprio destino senza lasciare spazio al pregiudizio e alle ostilità .
(da “La Stampa“)
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