QUEL RITO CHE DIVENTA UNA PROVA DI FORZA
PIU’ IL FUNERALE ERA SOLENNE, PIU’ LA FAMIGLIA MAFIOSA ERA RISPETTATA
Devono vivere per sempre, per l’eternità . E devono essere ricordati onnipotenti come lo erano in terra. Perchè, loro, si sentono eletti di Dio. E non uomini “qualunque”, come tutti gli altri.
Quelli che non fanno parte della speciale razza mafiosa.
Ci vogliono i cavalli neri e ci vuole la carrozza anch’essa nera.
Ci vuole la croce che manifesta la religiosità del caro estinto. Più forte di tutto e di tutti, più della giustizia terrena c’è solo quella divina.
I Casamonica — zingari di origine abruzzese e senza grandi quarti di nobiltà mafiosa — hanno imparato la lezione non tanto dai padrini hollywoodiani ma dai “patriarchi” che infestavano la Sicilia fin dal secondo dopoguerra.
Più il funerale era solenne e più il popolo avrebbe ricordato colui che se andava come il più amato, l’avrebbero rispettato anche oltre la vita.
Un funerale con sei cavalli neri e con una carrozza nera l’avevamo visto quasi quarant’anni fa davanti alla cattedrale di Caltanissetta, l’ultimo saluto al capostipite dei Pirrello della Valle del Besaro.
Erano pastori quei Pirrello, non aristocrazia mafiosa.
E avevano bisogno di celebrare e celebrarsi con uno sfarzoso rito funebre per prendersi una rivincita davanti a tutti.
Ma questo di Vittorio Casamonica ricorda di più — per la partecipazione di pubblico, per l’“ignaro” sacerdote che ha officiato la cerimonia — un altro funerale mafioso.
Più vero, più di sostanza.
Quello di Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi ucciso il 30 maggio del’78. Il giorno dopo il suo paese si fermò.
Scuole chiuse, gli impiegati dell’ufficio postale postali inginocchiati nelle prime panche della chiesa madre di Riesi, le saracinesche dei bar calate.
Sul balcone della sezione della Dc sventolava una bandiera tricolore listata a lutto.
“La mafia sua non fu delinquenza: fu amore”, era scritto sul santino che i familiari dei Di Cristina distribuirono a una folla commossa proprio come quella che è arrivata ieri davanti alla chiesa di Don Bosco a Cinecittà .
È il rapporto diretto con Dio che impone a piccoli e a grandi boss funerali sempre solenni.
Lo sono stati quelli nel 1962 a Napoli di Lucky Luciano, trasportato al cimitero su una bara barocca ricca di fregi.
Lo sono stati quelli di Carlo Gambino, il capo dei capi delle 5 “famiglie” di New York, con corone di fiori e migliaia di siciliani a riverire il vecchio Charles.
Attilio Bolzoni
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply