QUELLO CHE DI MAIO NON DICE SUL REFERENDUM PER USCIRE DALLA UE
PRIMA DEL REFERENDUM CI VUOLE UN ALTRO REFERENDUM PER CONFERMARE LA LEGGE DI RIFORMA COSTITUZIONALE CHE AMMETTA LA POSSIBILITA’ DI FARE UN REFERENDUM SU QUESTO TEMA… E DI MAIO NASCONDE COSA SUCCEDERA’ CON L’USCITA DALL’EURO
Ieri Luigi Di Maio ha presentato alla Stampa estera il “libro” (in realtà più una tesina di quindici pagine) del MoVimento 5 Stelle sull’Europa.
I 5 Stelle hanno annunciato il loro progetto per cambiare l’Europa una volta che andranno al Governo e per consentire agli italiani di esprimersi in merito alla permanenza o meno nella moneta unica.
Non è proprio una novità visto che l’idea di un referendum per l’uscita dall’euro i 5 Stelle l’hanno tirata fuori parecchie volte, l’ultima all’indomani del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 quando Alessandro Di Battista era tornato a parlare della possibilità di chiedere ai cittadini di esprimersi sulla moneta unica.
L’idea di un referendum era stata presentata da Grillo nel 2014 durante la manifestazione al Circo Massimo.
All’epoca il M5S aveva avviato la raccolta di “un milione” di firme per la presentazione di una legge d’iniziativa popolare per arrivare all’istituzione del referendum consultivo sull’euro.
Il MoVimento aveva anche stabilito anche i tempi entro i quali si sarebbe arrivati al referendum consultivo (che nel nostro ordinamento non esiste).
Detta consultazione si sarebbe dovuta tenere tra dicembre 2015 il gennaio 2016 e quindi all’uscita dall’euro sarebbe dovuta avvenire entro i primi mesi del 2016. È passato un anno,
Grillo ha presentato in Senato le 200.000 firme raccolte ma l’iniziativa di legge popolare non è mai stata discussa in Parlamento (che del resto non ha nessun obbligo di farlo) e di sicuro non verrà discussa ora.
Ieri Di Maio ha di nuovo tirato fuori dal cassetto quella vecchia proposta per quella che ha definito un’Europa più democratica che comporta il fatto che anche la politica monetaria debba diventare più democratica (non è chiaro quindi se ogni volta la modifica dei tassi d’interesse debba essere decisa da consultazioni popolari, magari online, o dal Parlamento e non dalle banche centrali).
Ad ogni modo per Di Maio l’euro non è una moneta democratica e l’unico modo per renderla tale è chiedere al famoso popolo sovrano di esprimersi sulla moneta unica:
In realtà dire che l’euro non è democratico non vuol dire nulla, di per sè.
Ma la frase evoca tutto quell’immaginario di lotta contro il potere delle banche, delle lobby e dei potentati economici che tanto è cara al MoVimento.
Per la verità non è vero che l’euro non è democratico: in primo luogo perchè l’adesione alla moneta unica è stata fatta sulla base di un trattato internazionale che come tutti i trattati è stato democraticamente ratificato dal Parlamento italiano (che secondo la nostra Costituzione è uno dei luoghi dove viene esercitato il potere democratico) dai rappresentati democraticamente eletti del popolo italiano.
In secondo luogo nemmeno una moneta nazionale sovrana è — in senso stretto — democratica, la differenza è che le politiche monetarie vengono decise unicamente dalle autorità nazionali e non da quelle comunitarie dove, per una semplice ragione numerica, il rischio che una nazione venga (democraticamente) messa in minoranza è maggiore.
Abbandonata l’idea di una legge d’iniziativa popolare il MoVimento punta tutto su una legge di riforma costituzionale (guardacaso quella stessa Costituzione che qualche mese fa era intoccabile) per introdurre in Costituzione l’istituto del referendum consultivo.
Il passaggio è un po’ più complicato e non ha — anche se Di Maio la fa molto facile — moltissime garanzie di successo.
La nostra Costituzione prevede infatti che per evitare un referendum popolare confermativo l’eventuale riforma costituzionale dei 5 Stelle debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti di entrambe le Camere.
In caso contrario la legge di modifica costituzionale che introduce il referendum consultivo deve a sua volta essere sottoposta essere a referendum (senza contare che si andrà a referendum qualora entro tre mesi dall’approvazione definitiva ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
Se e solo se il popolo sovrano si esprimerà a favore della legge di riforma costituzionale allora si potrà indire un referendum consultivo per chiedere ai cittadini di esprimersi sulla permanenza nella moneta unica.
Anche in quel caso però l’uscita dall’euro non sarà automatica perchè il Parlamento dovrà votare l’abrogazione della legge che ratifica il trattato di adesione all’euro.
In tutto questo i 5 Stelle però non hanno ancora fatto sapere quale indicazione di voto daranno agli elettori in occasione del referendum consultivo.
Di Maio ieri ha evitato di affrontare la questione quando ha parlato di “altri paesi” che potrebbero uscire dall’euro per le loro ragioni lasciandoci “senza un piano b”, senza contare che ci sono altre forze politiche anti-euro (ad esempio Forza Italia) che sulla moneta unica e il ritorno alla lira hanno proposte differenti.
Il procedimento di revisione costituzionale però è piuttosto lungo e complesso e ai tempi necessari per l’approvazione della legge di modifica della Costituzione si aggiungono quelli per il referendum e l’eventuale successiva discussione per l’uscita dell’Italia dall’euro (ma a quanto pare non dall’Unione Europea).
Durante tutta questa fase il nostro Paese potrebbe esperire una preoccupante fuga di capitali all’estero (con che prospettive i grandi gruppi industriali potrebbero rimanere in Italia durante un periodo di incertezza tale?) senza contare che una volta fuori la nostra moneta finalmente sovrana si troverebbe sottoposta alle fluttuazioni dei mercati finanziari (e della tanto temuta speculazione) dalle quali fino ad ora l’euro, con tutti i suoi difetti, ci ha protetti.
Se l’Italia uscisse dall’euro la nostra nuova moneta si svaluterebbe consistentemente nei confronti della valuta europea.
Chi riuscisse a mantenere i risparmi denominati in euro, quindi, guadagnerebbe in poco tempo il 20 o 30 per cento.
L’operazione è estremamente semplice: basta vendere Bot e Btp e comprare titoli di stato tedeschi.
Non va inoltre esclusa la possibilità di un’irrazionale corsa agli sportelli per prelevare i contanti e chiudere i conti.
Qualche tempo fa Di Maio parlava di un non meglio precisato “euro 2” spiegando che «abbiamo sempre detto che l’euro così non funziona e che dobbiamo preferirgli l’euro 2 o monete alternative» ieri invece ha parlato apertamente di un ritorno alla lira.
I 5 Stelle sotto sotto sperano che anche altri paesi contestualmente al nostro decidano di uscire dall’euro, qui Di Maio non sta guardando tanto al Regno Unito che nell’euro non ci è mai stato e che mai accetterà di far parte di altre unioni monetarie ma alla proposta avanzata da Marine Le Pen che vorrebbe la Francia fuori dall’euro e un contemporaneo ritorno del franco nelle tasche dei francesi e di una moneta virtuale sulla falsa riga dell’Ecu per gli scambi monetari internazionali e per proteggere le monete nazionali “sovrane” dai mercati.
Ma il vero problema della proposta dei 5 Stelle è un’altra, al di là della procedura che sarà lenta e inutilmente dolorosa per le tasche degli italiani Di Maio non ha detto che cosa succederà dopo.
Qual è il piano dei 5 Stelle per gestire l’uscita dalla moneta unica e il ritorno alla sovranità monetaria?
Quali saranno le misure economiche che un eventuale governo Di Maio adotterà per salvare il Paese dal collasso e gestire il ritorno alla lira?
Dopo tre anni che si parla di questo benedetto referendum sull’euro forse qualcosa di più Di Maio poteva dircela.
O dobbiamo eleggerlo per saperlo?
(da “NextQuotidiano”)
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