QUESTA E’ UNA RAPINA
MANI IN ALTO: STANGATA SU TFR E FONDI PENSIONE
È la più grande riduzione delle tasse della storia della Repubblica.
È il mantra preparato da Matteo Renzi per questa campagna d’autunno detta legge di Stabilità : magari per le imprese è vero, sul lavoro invece ci sarebbe da dire.
Intanto, come hanno spiegato ieri i governatori, il premier si è pagato gli 80 euro coi soldi di Regioni e enti locali, che potranno comunque rivalersi sui cittadini aumentando le tasse locali.
E poi, parlando di salario, da una parte c’è lo sgravio Irpef e dall’altra una mazzata sul Trattamento di fine rapporto (Tfr), che poi sarebbe “salario differito”: un vero e proprio furto che vale centinaia di milioni l’anno.
Partiamo dall’idea del “Tfr in busta paga” che inizialmente sembrava l’uovo di Colombo per rilanciare i consumi e ormai Renzi non cita nemmeno più nei suoi pistolotti pubblicitari: si aderisce su base volontaria a partire dal marzo 2015 e per i successivi tre anni (esclusi gli statali, i lavoratori agricoli e quelli domestici).
La sorpresina è che verrà tassato come il normale reddito e non in misura minore come avviene oggi per il Tfr.
Tradotto: per chi guadagna tra 15 mila e 28.650 euro l’anno si tratta di una perdita contenuta (50 euro l’anno), oltre quella soglia si passa già a oltre 300 euro di decurtazione per arrivare ai 569 euro di chi prende 90 mila euro l’anno.
Non pare, comunque, che il Tesoro si aspetti frotte di lavoratori ansiosi di vedere la liquidazione in busta paga: la copertura messa da parte è appena 100 milioni.
Assai più discutibile è l’operazione che invece viene fatta sul normale Trattamento di fine rapporto e sulla previdenza complementare: i soldi messi da parte per la liquidazione vengono rivalutati ogni anno, per legge, a un tasso fisso dell’1,50% e da una quota variabile pari ai tre quarti dell’aumento dei prezzi calcolato dall’Istat per le famiglie di impiegati e operai.
Tutta roba, compresa la rivalutazione, che uno si aspetta di ricevere al momento di andare in pensione o quando finisce il rapporto di lavoro: in un’unica soluzione oppure sotto forma di pensione complementare – assai sponsorizzata dai governi – necessaria a non finire in povertà visto il livello scandalosamente basso delle pensioni calcolate col sistema contributivo.
Ebbene — chiamandole in conferenza stampa “rendite finanziarie” — Renzi ha aumentato la tassazione su queste rivalutazioni dall’11% attuale al 17%.
Non solo: l’aliquota sul risultato netto maturato dai fondi pensione passa addirittura dall’11 al 20%.
Quasi un raddoppio che si trasformerà in minori assegni mensili per chi ha pensato di versare un po’ del suo stipendio oggi per avere più reddito una volta andato in pensione.
Non si tratta di spiccioli, ma di centinaia di milioni l’anno (almeno 400 all’ingrosso) di reddito sottratti ai lavoratori.
Gli esperti, persino nella maggioranza di governo, hanno già capito cosa succederà . “Questa manovra distrugge la previdenza complementare in Italia”, dice Lello Di Gioia, socialista, presidente della Commissione parlamentare di controllo sugli enti di previdenza: “Non solo: il governo colpisce il risparmio dei lavoratori che con il secondo pilastro previdenziale pensavano di sopperire alle mancanze del primo”. Della stessa opinione Cesare Damiano, Pd, presidente della commissione Lavoro della Camera: “Tassare i fondi pensione al 20% sarebbe la fine della previdenza integrativa, quella che doveva consentire alle giovani generazioni di aggiungere alla pensione pubblica una di natura privata”.
Marco Palombi
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