“QUI HAI SEMPRE TORTO”: TRA I DANNATI DEL RIONE TRAIANO
VIAGGIO NEL QUARTIERE DEL RAGAZZO UCCISO DA UN CARABINIERE… IL VOLONTARIO: “PARTE DI QUESTE STRADE E’ TERRA DI NESSUNO E DEI SOLITI NOTI, DOVE LO STATO HA RINUNCIATO AD ENTRARE”
«Devi fare il servizio?» Alla risposta negativa l’uomo con cappellino da baseball e pitbull d’ordinanza al guinzaglio replica con una via di mezzo tra la domanda e l’affermazione. «Ah, allora hai già fatto».
Davide Bifolco è morto a trenta metri da uno slargo tra i palazzi grigi di via Catone che è una delle sette piazze di droga del rione.
Lo spacciatore fa l’offerta avvicinandosi al finestrino dell’auto in movimento che per forza deve rallentare in mezzo a strade che sembrano budelli.
Il suo sguardo rivela un misto di curiosità e stupore. Qui un forestiero può solo comprare droga, non c’è altra ragione per la sua presenza. Gli indirizzi li conoscono tutti, nessuno si nasconde. Tutto avviene all’aria aperta, mentre mamme con passeggino e pensionati camminano sui marciapiede di fronte.
Il rione Traiano
Alla fine le facce feroci dei ragazzi e le loro parole di rivolta producono l’anta di un mobile in finto legno chiaro appoggiata a terra per nascondere le macchie di sangue, sul quale sono appiccicati con lo scotch un mazzo di gigli bianchi e la foto di Marek Hamsik, il centrocampista del Napoli.
Nient’altro, di più non si può. A rione Traiano la democrazia è un concetto piuttosto etereo.
«Ci hanno detto che non possiamo farlo» spiega Michele Guarracino, che ha diciassette anni, era un amico, e abita alle «case degli sfollati», così si chiama il blocco verso il quale stava fuggendo Davide, perchè all’inizio degli anni Settanta ci misero dentro i rifugiati politici libici in fuga dal colpo di Stato del colonnello Gheddafi.
La rabbia non deve intralciare gli affari, le barricate e i roghi attirerebbero gli «sbirri» come mosche sul miele, si metterebbero di traverso anche all’unica vera attività produttiva della zona.
Rabbia e frustrazione
C’è sempre qualcuno che decide, a rione Traiano, che dispone della rabbia e della frustrazione altrui come fosse proprietà privata.
Inutile chiedere a Michele il nome e il cognome di quelli che hanno ordinato che non si può. Li conoscono tutti e si fanno anche riconoscere.
Uno di loro, un certo Massimo, sulla cinquantina, capelli bianchi ben curati, distribuisce perle di saggezza, buon senso e vittimismo a taccuini e microfoni, conditi con un aspetto elegante, mocassini da vela e polo firmata.
È un ex tossicodipendente salito di grado, che rifornisce le piazze di clienti e di materia prima quando finisce.
Anche lui, come gli altri rimasti nel rione, conta poco. I capi veri, i camorristi delle famiglie Puccinelli-Perrilla che si contendono in un’eterna faida con i Grimaldi di Soccavo il controllo della più grande centrale di spaccio d’eroina di Napoli e forse d’Europa, vivono lontano da questa periferia non distante dal centro della città .
Un posto dove hai torto anche quando hai ragione
«Qui non c’è niente. Questo è un posto dove hai torto anche quando hai ragione». All’ingresso c’è la statua della Madonna, subito dopo un tavolo da biliardo e una stanza dove si gioca a carte.
Dall’altra parte di corso Traiano c’è il circolo Aldo Moro dell’associazione Maria Santissima dell’Arco.
Carmine Garnieri lo aprì nel 1969, ne è il presidente, ancora oggi che ha 84 anni. «Volevo tirare via i ragazzi dalla strada». Lui era qui fin dall’inizio. Lavorava come impiegato all’università quando alla fine degli anni Cinquanta cominciarono a costruire le piccole palazzine in mattoni rossi, che dovevano dare un tetto a chi non ce l’aveva più per i bombardamenti in tempo di guerra e viveva nella baraccopoli di via Marina.
Doveva essere la prima periferia moderna d’Italia
Ogni fallimento urbano nasce dalle buone intenzioni, e questo non fa eccezione. I migliori architetti napoletani disegnarono e progettarono aree verdi e collegamenti urbani, doveva essere la prima periferia moderna d’Italia.
Fecero le case, sempre più alte, si dimenticarono del resto.
Sui giornali di inizio anni Settanta la parola «ghetto» veniva già accostata a rione Traiano. La strada con il nome dell’imperatore romano divide il quartiere in due. Davide ha avuto sfortuna.
Il motorino scendeva da via Cinthia, che è Traiano inferiore, la zona che confina con Fuorigrotta e un commissariato poco distante.
Ogni tanto, non molto spesso, una volante si affaccia a dare un’occhiata, come accaduto la scorsa notte. Traiano superiore è invece terra di nessuno e di soliti noti, dove lo Stato risulta non pervenuto, non si impegna neppure ma getta la spugna senza troppa dignità .
Dentro queste vie strette a comandare sono quelli come il distinto Massimo la «mazzamma» della camorra, i pesci di poco valore che si acquistano al mercato.
Promesse e delusioni
Il nonno di Davide si chiamava Tommaso, vendeva gli stracci al mercato ed era socio del circolo a suo tempo dedicato alla memoria di Moro.
I suoi avventori sono di una certa età , nessun ragazzo, poche persone sotto la quarantina. Era nato come un presidio, sembra un rifugio. Garnieri si ricorda ancora di quando al posto di via Cinthia c’era un fiume. Alle pareti ci sono le sue foto con i politici in visita, nelle più recenti si riconoscono Paolo Cirino Pomicino e Antonio Di Pietro.
«Quante promesse, quante delusioni, quanto abbandono». Accanto al circolo di viale Traiano c’è un recinto di lamiere che delimita un cantiere abbandonato che contiene uno scheletro in cemento armato alto dieci metri.
Sono i resti della stazione Cumana, mai portata a termine. «Se ci fossero le strutture, se ci fosse qualcosa, forse questi ragazzi potremmo salvarli».
Nell’uso del condizionale c’è già l’ammissione di una sconfitta, il segno di una resa.
Vista da rione Traiano, come è lontana l’Europa.
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)
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