RENZI DETTA LE CONDIZIONI: SI’ AL JOB ACT E VIA DI MAIO
L’EX SEGRETARIO APRE MA CHIEDE AL GRILLINO DI SFILARSI E FRANCESCHINI E’ PRONTO A PROPORRE FICO COME PREMIER
Il sistema va in tilt quando il presidente della Camera esce dal colloquio con Mattarella e dichiara urbi et orbi che il suo mandato ha avuto un «esito positivo», si mostra ottimista e annuncia che tra Pd e M5s «il dialogo è avviato».
Da quell’istante, le cose si complicano, anche se il Capo dello Stato di fatto congela la situazione per un’altra settimana, fino alla direzione dem.
In un Pd già scosso da turbolenze, l’apertura di Fico suona infatti come una provocazione. Perfino Delrio, uno di quelli pronti ad andare al confronto programmatico, balza sulla sedia: «Noi abbiamo dialogato attraverso l’esploratore, il dialogo inteso come rapporto tra i due soggetti può derivare solo da un voto della Direzione».
Renzi fa sapere che non è vero che le cose stiano così, tanto che l’uscita di Fico viene bombardata dai renziani di complemento.
Passo indietro: nello studio del presidente di Montecitorio, prima di pranzo, il clima è disteso: Martina ripete che il Pd assumerà una scelta in Direzione, Fico chiede come mai sia stata convocata il 3 maggio e Orfini gli risponde con una battuta sui millenials che affollano l’organismo dirigente e che nei ponti sono soliti fare altro. Della serie, «i nostri meccanismi di gestione sono lenti…».
Quando stanno per uscire, Orfini avverte Martina, «attento che faccio come Berlusconi, prendo il microfono e dico che quelli non sono democratici».
Il reggente incassa, esce e sentenzia che grazie alla chiusura del forno con la Lega si sono fatti «passi in avanti importanti», altro slogan che fa imbestialire Renzi.
Il quale, se pure nei giorni scorsi può avere coltivato l’idea di prendere in mano la situazione per provare a gestirla, a sentire l’impronta data da Martina sbarra la porta.
Il 3 maggio, in Direzione, di fronte alla richiesta di Martina di aprire alla trattativa con i grillini, Renzi dirà di sì, ma a due condizioni: 1) il Jobs Act non si tocca di una virgola. 2) Il Pd non accetta Di Maio premier.
Due clausole capestro, pensate apposta per ricevere un rifiuto. Renzi ha raccontato ai suoi che Dario Franceschini avrebbe già pronta una contromossa, quella di proporre in alternativa la premiership di Roberto Fico.
Tanto che il ministro dei beni Culturali si sarebbe fatto avanti con lo stesso Renzi, nella vesti di sensale dell’accordo, offrendo anche all’ex premier un ruolo importante nella futura compagine: gli Esteri o l’Economia. Ma la risposta è stata no ed è la stessa risposta che risuonerà in Direzione.
Se non bastasse, c’è pure il carico messo da Di Maio.
Il capo dei 5Stelle ha sostenuto ieri che «non ci si può fossilizzare sull’idea di difendere tutto quello che hanno fatto i governi in questi anni: dal voto del 4 marzo sono emerse delle richieste chiare sui problemi del precariato, sugli insegnanti che devono fare mille chilometri per andare a lavorare, sulle grandi opere inutili». Insomma alza la posta, con una richiesta di discontinuità che allarga il solco.
E con un giudizio lusinghiero su Martina che sottintende una critica a Renzi. «Chiedo uno sforzo al Pd, non si può chiedere al Movimento 5 stelle di negare le battaglie storiche. E non mi riferisco alla linea espressa dal segretario Martina che apprezziamo».
Renzi legge queste parole come una chiusura e continua a sospettare che Di Maio confidi in Salvini. Il partito dei “governisti” è convinto invece che da qui a sette giorni vi sarà «un’evoluzione».
Che il Pd deve difendere la dignità ma anche mollare alcune cose, che si può discutere a partire dai cento punti, per poi arrivare a un accordo di programma e magari a una figura terza come premier con la benedizione del Colle…
(da “La Stampa”)
Leave a Reply