RENZI NAVIGA A VISTA VERSO LA TEMPESTA PERFETTA
IL PREMIER SPERA DI AVERE IL VIA LIBERA ALL’ITALICUM PRIMA DEL VOTO PER IL QUIRINALE
Un discorso di grande respiro e livello”. Solo un anno fa Matteo Renzi al Quirinale per i saluti alle alte cariche dello Stato c’era andato defilato, con un abito grigio chiaro che era stato subito notato come fuori luogo.
Ieri, da premier, era al tavolo del Presidente. Impeccabile in blue. Espressione serissima. Concentrata.
Perchè per quanto i fedelissimi leggano nelle parole del Capo dello Stato un assist a tutto tondo nei confronti del premier, lui sa benissimo che l’addio prossimo venturo di Napolitano è la tempesta perfetta dalla quale è difficilissimo uscire indenne.
Le dimissioni arriveranno dopo il 13 gennaio, giorno della sessione finale del semestre italiano a Strasburgo.
Renzi spera, forzando tempi e resistenze, di ottenere il via libera del Senato all’Italicum prima dell’inizio del voto per il Quirinale.
Ieri, nelle conversazioni a Palazzo Madama con i senatori, la data che fissava era il 20 gennaio.
Non sarà facile, perchè l’obiettivo legge elettorale è legato agli accordi sul futuro Presidente della Repubblica.
Ognuno fa il suo gioco, e i giochi sono nemici tra loro.
La “minaccia” Prodi ha avuto il suo effetto: Forza Italia ha votato con il governo in Commissione Affari costituzionali del Senato, con la bocciatura degli ordini del giorno della Lega e di Sel.
Soprattutto quello Calderoli, che subordinava l’entrata in vigore dell’Italicum alle riforme costituzionali. Però, ci sono 17.800 emendamenti: e allora, l’idea del governo è quella di forzare e andare direttamente in Aula, senza votare.
E prendere tempo sulla norma transitoria, quella del sistema elettorale da scegliere in caso si andasse al voto prima della riforma del Senato.
Renzi non ha deciso ancora tra Mattarellum e Consultellum. In realtà , quello che vorrebbe fare, sarebbe fissare l’entrata in vigore del nuovo sistema nel 2016 o anche più in là .
Senza inserire però la norma nella legge: convinto che questo sarebbe un modo che gli consentirebbe, in caso di elezioni anticipate, con un decreto o una leggina di votare con l’Italicum a Montecitorio e al limite anche con il Consultellum a Palazzo Madama.
L’importante è che il sistema-pigliatutto sia in vigore, almeno in uno dei due rami del Parlamento
La partita delle partite, quella del Colle, è, nel frattempo, entrata nel vivo. Ieri, il nome che tornava insistente in ambienti democratici, era quello del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Che avrebbe dalla sua vari punti di forza: potrebbe andare bene a tutto il Pd, non dispiacere a Forza Italia e, in quanto tecnico, magari attrarre anche qualche grillino.
Padoan sarebbe una figura di garanzia verso l’esterno, ma anche uno che terrebbe la barra diritta sull’economia in Europa.
Con il premier la convivenza in questi mesi è andata abbastanza bene. E il titolare del Mef non è certo persona da mettere in ombra l’altro. Ancora, non sarebbe contrario in maniera pregiudiziale allo scioglimento della legislatura.
E poi, metterlo al Colle, disinnescherebbe i piani di chi vorrebbe portarlo a Palazzo Chigi. Da notare che ieri Napolitano l’ha lodato nel suo discorso: Re Giorgio è sul punto di lasciare, ma la sua sul successore la vuole dire.
Infine, i Cinque Stelle: Renzi, ha dato il via, ad un’offensiva vera e propria.
Una studiata operazione con l’obiettivo di fare breccia dentro le divisioni M5S in vista dell’elezione del Presidente.
Una sorta di “divide et impera” che alterna attacchi a inviti alla collaborazione. La giornata di ieri è emblematica.
Comincia alla Camera: “Non vi hanno eletto per insultare o buttarla in caciara, recuperate la passione di chi vi ha eletto anche se capisco la frustrazione visto che perdete pezzi e voti”, è l’affondo in Aula che scatena le ire di M5S.
Ma determina anche la decisione, in realtà nell’aria da tempo, ma annunciata proprio davanti al presidente del consiglio a Montecitorio, di Tommaso Currò di lasciare il movimento e di approdare, attraverso il passaggio al gruppo misto, dentro il Pd. “Hanno capito la mia apertura”, si compiace Renzi.
In Senato attacca così i senatori pentastellati che lo accolgono con proteste e urla: “Il fatto che stiate perdendo pezzi non vi autorizza a interrompere le discussioni degli altri. Vogliamo continuare a lavorare, nonostante le vostre urla, che ai tempi del Manzoni erano una cosa seria, mentre nel vostro caso sono la manifestazione di una frustrazione. I vostri elettori non vi votano più”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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