RIFORMA DEL LAVORO: NUOVI ASSUNTI SENZA ART. 18, MA IN CAMBIO ADDIO AL PRECARIATO
IL GOVERNO SPOSA LA LINEA BCE, DIMEZZATA LA NORMA ANTI-LICENZIAMENTI… NON CAMBIA NULLA PER GLI ATTUALI OCCUPATI
“Affronteremo tutti i problemi. Anche quello della flessibilità in uscita. E vi sorprenderemo”. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, parla nella freddissima Davos, davanti ai potenti dell’economia globale.
E’ lo scorso giovedì, il tema della tavola rotonda è “Future of Italy”.
Il ministro, ex banchiere, sa benissimo che sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non saranno ammessi bizantinismi.
Servono soluzioni chiare, non necessariamente traumatiche. Comunque comprensibili in Europa.
Ad agosto la Bce (la Banca centrale europea, ora presieduta dall’italiano Mario Draghi) aveva indicato tra “i compiti a casa” anche quelli di superare, da una parte, il dualismo nell’attuale mercato del lavoro italiano, e, dall’altra, l’anomalia del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa.
La lettera arrivata da Francoforte resta un vincolo forte per il governo tecnico di Roma.
Lo ha detto più volte il ministro del Lavoro, Elsa Fornero; l’ha confermato il premier Mario Monti quando ha sostenuto che non possono esserci tabù nel momento in cui si avvia un negoziato per la riforma del mercato del lavoro; l’ha ripetuto Passera a Davos.
Perchè la globalizzazione è entrata nelle relazioni industriali. Non c’è solo il caso Fiat-Chrysler di Sergio Marchionne.
E’ stato Vittorio Colao, amministratore delegato della Vodafone, a sollevare la questione a Davos.
Il manager italiano trapiantato a Londra ha ricordato che un gruppo come il suo può decidere dove aprire un call center. Può installarlo in Italia, oppure in Egitto, per esempio.
Dipende dalle condizioni, dagli eventuali vantaggi fiscali, dalle potenzialità della manodopera, e dalla possibilità di programmare con certezza i costi che riguardano anche la flessibilità in uscita.
Ed è qui che Passera ha risposto che il tema non sarà eluso, perchè il recupero degli investimenti esteri in Italia (crollati dall’inizio della crisi del 2008), indispensabili per sostenere la crescita del Pil, si gioca pure su questo terreno, quello delle flessibilità del lavoro.
E c’è una via d’uscita che, a questo punto, sembra la più probabile, almeno da quel poco che trapela dalle stanze del governo e dai rapporti informali con le parti sociali. E’ una via all’insegna dell’equilibrismo, tra ostacoli sindacali, pressione delle imprese, preoccupazione opposte dei partiti che sostengono l’esecutivo, vincoli europei.
L’articolo 18 non sarà toccato per i lavoratori che oggi ne sono tutelati. Questa, ormai, sembra una certezza.
E Monti l’ha detto anche nel suo discorso programmatico in Parlamento. Cgil, Cisl e Uil, inoltre, non potrebbero mai far passare una riduzione delle protezioni per chi le ha, tanto più che si tratta di una quota di lavoratori che costituisce la maggior parte dei loro iscritti, gli stessi che hanno già subìto il superamento delle pensioni di anzianità e l’allungamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
Si profila, invece, uno scambio per i giovani precari, categoria centrale nell’approccio del governo alla riforma.
Il tracciato potrebbe essere più o meno questo: per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, provenendo dal bacino della precarietà (a cominciare dai contratti a termine) non sarebbe previsto il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa (è quanto stabilisce l’articolo 18 che viene considerato un’anomalia tra i paesi europei) bensì un risarcimento economico (esattamente ciò che suggeriva la Bce nella lettera estiva).
L’ammontare del risarcimento crescerebbe con l’anzianità di lavoro.
Resterebbe in ogni caso il divieto di licenziamenti discriminatori legati al sesso, alla religione, alla razza e così via.
Con un articolo 18 dimezzato, le aziende non avrebbero più l’alibi secondo il quale non si può assumere perchè poi sarebbe impossibile sciogliere il vincolo con il lavoratore.
I sindacati potrebbero accettare un meccanismo che già oggi si adotta per i lavoratori delle piccole imprese nelle quali, appunto, l’articolo 18 non si applica, e questa potrebbe essere una prima pietra per avviare l’uscita dalla precarietà dei giovani.
A nessun lavoratore attualmente occupato verrebbe tolto un diritto.
E il governo risponderebbe alle richieste della Bce.
Sorprendentemente, per usare l’espressione di Passera.
Ma le incognite restano comunque tante.
Perchè troppo delicato è il tema dell’articolo 18, perchè non è detto che i partiti restino a guardare, perchè la tenuta dell’unità sindacale è sempre a rischio, perchè, infine, il fronte delle imprese è già diviso, come sempre tra “falchi” e “colombe”.
Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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