SCAVALCATI TAMPONI, BLOCCO DEI VOLI E QUARANTENA: COSI’ IL CEPPO BRASILIANO E’ ARRIVATO IN ITALIA
DA SAN PAOLO A MILANO MALPENSA, PASSANDO PER MADRID E CON TAPPA FINALE A VARESE: RICOSTRUITO IL PERCORSO DEL PRIMO CASO
Tre barriere l’Italia ha eretto per fermare la variante brasiliana. E tre barriere lei ha superato, atterrando all’aeroporto di Milano Malpensa il 17 gennaio.
E’ il primo caso scoperto da noi e arriva il giorno dopo il blocco dei voli dal paese sudamericano deciso dal Ministero della Salute.
Una ricerca di un gruppo di scienziati italiani, dell’ospedale di Varese, dell’università dell’Insubria e di quella di Pisa, ricostruisce oggi il suo percorso. La pubblica la rivista Infectious Emerging Diseases, edita dai Centers for Disease Control (Cdc) americani.
All’aeroporto di San Paolo, il 16 gennaio, si presenta una famiglia formata da un uomo di 33 anni, la moglie di 38 e la figlia di 7. “Avevano fatto il tampone molecolare prima del volo ed era negativo” spiega Fabrizio Maggi, professore all’università dell’Insubria e direttore del laboratorio di microbiologia dell’ospedale di Varese. “Non è strano e non dipende da un errore del test. Il virus non può essere rilevato i primi giorni dopo il contagio”.
Prima barriera saltata. La variante brasiliana sale a bordo dell’aereo. In Italia non possono atterrare i voli diretti dal Brasile, ma uno scalo a Madrid permette alla famiglia di cambiare velivolo e planare senza restrizioni a Milano.
Così il blocco dei collegamenti aerei — la seconda barriera — viene agilmente superato. La variante brasiliana ora è in Italia.
Dovrebbe scattare quindi la quarantena in ogni caso. E lo fa anche. Peccato che abiti a Varese e da Malpensa non abbia altro modo di raggiungere casa se non in treno.
Su consiglio del medico di famiglia, e come previsto per i viaggiatori provenienti da paesi a rischio, l’uomo a Varese si sottopone a tampone. E’ positivo, come la moglie. Ha anche una carica virale alta, ma resta fortunatamente senza sintomi.
La loro provenienza, però, fa scattare un campanello d’allarme fra le autorità sanitarie di Varese, che decidono di indagare la natura di quel virus.
“Abbiamo sequenziato il genoma della proteina spike e abbiamo trovato le caratteristiche tipiche della variante brasiliana” conferma Maggi. Mutazione nella posizione 501: responsabile della maggiore contagiosità . E mutazione nella posizione 484: responsabile di una certa abilità nello sfuggire al sistema immunitario. La variante sembra essere nata a Manaus, in Amazzonia. Ma la famiglia atterrata a Varese non ha mai messo piede fuori San Paolo. Segno che quel ceppo è ormai diffuso in tutto il paese sudamericano.
La storia si ripete, questa volta con la variante del Sudafrica.
Qualche giorno dopo il volo da San Paolo, un altro viaggiatore partito dal Malawi e atterrato a Malpensa si ritrova positivo. “Anche questa volta, vista la provenienza, abbiamo preso il tampone e abbiamo proceduto al sequenziamento” racconta Maggi. Variante sudafricana, anche lei con le due mutazioni 501 e 484. Anche lei arrivata indisturbata nonostante le precauzioni prese a livello istituzionale.
La stessa Gran Bretagna, tanto abile nell’individuare nuove varianti, non sempre è stata impeccabile nel tracciamento. Accade all’aeroporto di Londra il 10 febbraio. I viaggiatori provenienti dal Brasile si sottopongono tutti al tampone al loro arrivo. In tre vengono trovati positivi, ma uno nel compilare il modulo con i propri dati non lascia tutti i recapiti corretti. Non verrà più ritrovato. Il virus di Manaus si è ritagliato un altro sentiero in Gran Bretagna, che lo ha portato chissà dove. Del caso si è occupato il British Medical Journal.
Da Varese, i tre casi italiani identificati dopo i loro viaggi non sembrano aver causato altri contagi. “Non ne abbiamo notizia” conferma Maggi. E’ possibile che i ceppi brasiliano e sudafricano siano incapaci delle fiammate della variante inglese.
“La sudafricana sembra effettivamente meno presente da noi, ma la brasiliana ha causato dei focolai in Umbria con contagi anche sostenuti” precisa però il virologo di Varese. In Lombardia, almeno partendo dai risultati del laboratorio di Maggi, sembra che la prevalenza del ceppo britannico sia al 30%, e abbia tutte le intenzioni di continuare a crescere.
Alla variante inglese sono forse associati anche alcuni casi di reinfezione: persone guarite e poi infettate di nuovo dal coronavirus. “Abbiamo un paio di casi confermati in laboratorio” conferma Maggi. “Sono persone contagiate da due ceppi differenti”. Trovarle non è facile: bisogna sequenziare sia il primo tampone positivo che il più recente. La buona notizia, spiega il professore di Varese, “è che al secondo contagio il virus viene eliminato molto rapidamente, nel giro di pochi giorni se non di poche ore”.
(da “La Repubblica”)
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