SENZA IDENTITA’ SENZA PASSATO, SENZA DIREZIONE: ECCO IL GOVERNO DEI NARCISI
MENTRE IL FORZA-LEGHISMO E’ STATO UN VERO BLOCCO SOCIALE, IL GRILLO-LEGHISMO NON ESISTE, IN COMUNE SOLO L’AVVERSIONE ALL’EUROPA
Nel crepuscolo della politica, tra contratti di governo fantasma, consultazioni on line, gazebo feriali, in questa domenica in cui Lega e Movimento 5 Stelle convocano i loro elettori virtuali a decidere sulla maggioranza futura (non bastavano gli elettori veri dell’ormai lontano 4 marzo?), si è accesa una piccola luce, la lampada di Francesco di Assisi consegnata il 12 maggio alla cancelliera tedesca Angela Merkel dal custode del sacro collegio padre Mauro Gambetti, un bolognese di 52 anni, alto e magro, carattere di ferro sotto l’aspetto mite, laurea in ingegneria, leva militare, una delle figure più interessanti di questa nuova stagione della Chiesa e del laico panorama italiano.
«Quale visione di Europa condividiamo? Vogliamo ancora un futuro comune? Possiamo immaginare un’Europa unita e plurale che sappia precedere gli accordi economici e finanziari, e anche oltrepassarli? La politica è in grado di offrire un indirizzo di senso alle persone e alle comunità ormai disorientate?», si è chiesto il superiore dei frati di Assisi invitando i governi a «rinunciare a interessi particolaristici, privilegi e miopi esercizi di sovranità , per offrire ai nostri figli un orizzonte di unità che sappia valorizzare le differenze e perseguire un destino di pace e di sviluppo»
Parole non ordinarie, pronunciate davanti a Angela Merkel, Paolo Gentiloni, Romano Prodi, il presidente della Colombia Juan Manuel Santos, premio Nobel per la pace, che avrà valutato come l’accordo con i guerriglieri delle Farc sia stato più facile della soluzione alla crisi di governo italiana. Perfino la cancelliera appariva un po’ smarrita e preoccupata, nella sua giacca blu, nei suoi gesti di cordialità meccanica, in questa Europa e in questa Italia ansiosa di voltare pagina.
«Da giovane ho studiato fisica, volevo capire le leggi della natura. Ora ho capito l’importanza dello studio della storia, per comprendere gli uomini», ha raccontato. «Ho fatto il marinaio, so che quando c’è tempesta l’importante è non perdere la direzione», l’ha quasi provata a rincuorare il colombiano Santos, mentre la compagnia di capi di governo, ambasciatori, cardinali, frati francescani entrava nell’immenso refettorio del convento, a pochi metri dal sepolcro del Poverello di Assisi. E ciascuno poteva misurare la distanza delle proprie speranze, o delle proprie ambizioni, dalla realtà dei fatti.
Non basta lo studio della storia a capire quel che sta succedendo in queste settimane, infatti. E forse neppure la conoscenza delle maree e delle correnti per disegnare la rotta. «Stiamo scrivendo la storia», ha infatti detto di sè il giovane Luigi Di Maio, anche se si vede la fatica di scrivere, almeno, la cronaca.
Le forme della politica sono venute meno in questi settantacinque giorni, il capitolo finale di un lungo percorso cominciato con i videomessaggi di Silvio Berlusconi nel 1994 e con i tweet di Matteo Renzi dallo studio della Vetrata al Quirinale per annunciare al mondo dei follower la presentazione della lista dei ministri del suo governo («Arrivo, arrivo!») nel 2014.
In quei casi i mezzi di comunicazione venivano utilizzati per costruire il senso di novità provocato dall’arrivo sulla scena dei nuovi politici. In questo maggio crudele di tempo incerto del 2018, l’uso della rete è diretto a demolire quel che resta di un rito sacro in democrazia, la formazione di un governo e di una maggioranza parlamentare dopo il voto popolare. E invece abbiamo assistito a un concorso per titoli per selezionare il nome destinato a occupare la poltrona della presidenza del Consiglio, in mezzo è finito l’ottimo Giulio Sapelli, vanità delle vanità .
Il premier e i ministri, definiti esecutori da Luigi Di Maio: esecutori del contratto, esecutori del testamento, esecutori dell’ordine da eseguire.
Meri esecutori dei loro mandanti.
I collegamenti via facebook con i faccioni di Salvini e Di Maio che dovrebbero servire a informare elettori e militanti sulle fasi della trattativa e che invece occultano, nascondono, manipolano, come avveniva in passato, ma con in più quel piacere del mostrarsi al loro pubblico, ridendo delle loro stesse battute, due giovani capi nella loro prorompente vitalità .
I cambiamenti nelle dichiarazioni tra i leader di Lega e 5 Stelle, i complotti di Di Battista, la riabilitazione di Berlusconi. Abbiamo raccolto le dichiarazioni più folli deigli ultimi sette giorni: leggetele tutte e votate la miglior
È la cifra dell’operazione, il cartonato di un governo, con il programma svelato dallo scoop dell’Huffington Post, i 250 miliardi di sconto da chiedere a Mario Draghi e l’uscita dall’euro, la fine delle sanzioni a Vladimir Putin e il comitato di conciliazione che dovrebbe dirimere i conflitti tra i partiti e all’interno del Consiglio dei ministri, un organismo apertamente incostituzionale, ma a suo modo geniale, del tutto simile all’Azione parallela immaginata da Robert Musil esattamente un secolo fa, i preparativi per la fantomatica festa dell’Imperatore austriaco Francesco Giuseppe che mai ci sarà . Anzi, la festa coinciderà con il crollo dell’Impero e con la fine del domino degli Asburgo nel cuore dell’Europa.
Il governo Di Maio-Salvini, Lega-M5S è un’Azione parallela alla realtà , una creatura di fantasia tipica della stagione descritta da Giovanni Orsina nello splendido “La democrazia del narcisismo”, pubblicato da Marsilio: «Se il confine fra “dentro” e “fuori”, fra desiderio e realtà , già nel narcisista è labile, in chi fa politica al tempo del narcisismo non potrà che esserlo ancora di più, a maggior ragione perchè gli strumenti a disposizione del politico per trasformare davvero la realtà – potere, tempo, ragione – sono diventati tutti assai fragili e non resta altro da fare che lavorare sulle rappresentazioni, ossia raccontarsi e raccontare.
E tanto più perchè, con la fine delle identità collettive, è venuto meno anche il legame tra èlite e popolo: il popolo non riconosce più alle èlite il diritto di decidere e di guidare, le èlite hanno smesso di considerarsi responsabili nei confronti del popolo e si sentono autorizzate ad abbandonarsi del tutto al narcisismo».
È il narcisismo dei capi Di Maio e Salvini, unito a quello di un pezzo della loro base (l’assoluta certezza di essere sempre dalla parte della ragione anche se i fatti dovessero incaricarsi di smentire questa fede, la pretesa di innocenza), il collante di una coalizione che altrimenti non avrebbe ragione di esistere.
Il Parlamento svuotato, come la famosa scatoletta di tonno che Beppe Grillo voleva aprire, solo che il tonno non c’è.
I parlamentari sono fantasmi che si aggirano inquieti, tutti ma proprio tutti sono stati consultati sul contratto e sul futuro governo, i professori, i tecnici, gli esperti, i neutrali, e poi la rete, i gazebo, la piattaforma Rousseau, tutti tranne loro, i deputati e i senatori, gli eletti del popolo, considerati come i più esecutivi tra gli esecutori. Il governo Gentiloni è sopravvissuto a se stesso, il suo presidente passa di congedo in congedo, e ogni passo d’addio è un avvicinamento verso un futuro ignoto.
La presidenza della Repubblica è stata messa in condizione di tensione, ha dovuto subire una mancanza di riguardo istituzionale che ha pochi precedenti, solo l’esempio di come vengono intese le relazioni con le istituzioni, a partire da quelle europee.
Fuori dal Palazzo, usciti dai tavoli di trattativa romani e dal virtuale delle manifestazioni on line e nei gazebo, con le loro masse puramente mediatiche da ostentare, c’è una società italiana ormai da decenni in cerca di rappresentanza. Spostando l’angolo visuale, come proviamo a fare andando nel profondo Veneto e nella desolata Sicilia, ci sono le due Italie che il 4 marzo hanno votato in maniera opposta: il Nord che si è consegnato alla Lega, il Sud che si è affidato al Movimento 5 Stelle. Non c’è un accordo di partito in gioco, ma una coalizione tra due Italie che vivono e pensano diversamente, e studiano, lavorano, consumano.
Ieri – era il 1996 – i gazebo furono convocati dalla Lega per votare per la secessione, per dire addio al Sud che portava il Nord lontano dall’Europa, oggi servono per benedire il contratto con M5S, o meglio il patto del partito nordista e post-padano con un pezzo di notabilato del Sud che si è accasato nel governo del (non) cambiamento.
Non è la nascita di un Grilloleghismo, sulle ceneri del Forzaleghismo coniato da Edmondo Berselli che fu la formula del centrodestra durante la Seconda Repubblica, con l’apice negli anni 2001-2011.
In quel caso c’era un blocco sociale di riferimento omogeneo, un comune modo di pensare, i piccoli e medi imprenditori, le partite Iva, l’Italia messa alla prova da Maastricht, la moneta unica, la fine della svalutazione, ma anche il tessuto operoso di un Nord che restava in campo nella competizione internazionale.
Oggi il vento del Nord incrocia episodicamente lo scirocco del Sud, sono due Italie che non hanno nessun punto di contatto e sono pronte a dividersi rapidamente, sempre che riescano a unirsi, senza nessun altro linguaggio comune che non sia l’avversione, o l’indifferenza, nei confronti dell’Europa.
È stato questo il capolavoro politico di Salvini, spostare l’asse dalla secessione padana alla difesa del sovranismo nazionale, mentre il Movimento 5 Stelle fatica a darsi un’identità politica, c’è la destrutturazione del sistema come mezzo per arrivare al potere e forse anche come fine, che prepara lo sbocco inevitabile: dopo l’Italia, l’Europa, perchè è l’Europa il grande alibi, il grosso capro espiatorio che serve a nascondere il fallimento, ed è l’Europa a fornire altre auto-giustificazioni ai mancati dioscuri, i nuovi del 4 marzo già precocemente invecchiati, l’Europa e i mercati con la loro reazione, il crollo della Borsa e il rialzo dello spread, le dichiarazioni dei commissari di Bruxelles, gli articoli sulla stampa internazionale.
Nel romanzo di Musil, l’Azione parallela si muoveva fuori dalla realtà ed era destinata al fallimento, o meglio a non finire mai, a non essere portata a compimento, perchè questa è la sua natura: una costruzione dalle possibilità infinite, dunque qualcosa che non si muove mai, che resta statica nella contemplazione di ciò che potrà essere fatto e che nella realtà non porterà da nessuna parte.
Nella vicenda italiana di queste settimane post-4 marzo, il Governo parallelo Salvini-Di Maio è senza premier, senza programma, senza identità riconosciute, senza passato e senza direzione di navigazione. Senza maggioranza in Parlamento, forse. Un governo senza qualità .
(da “L’Espresso“)
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