SI METTE MALE PER TRUMP ORA CHE 4 DEI 18 COIMPUTATI NEL PROCESSO SUL TENTATIVO DI SOVVERTIRE LE ELEZIONI DEL 2020 SI SONO DICHIARATI COLPEVOLI E HANNO PATTEGGIATO PENE “LEGGERE”
GLI EX FEDELISSIMI SONO PRONTI A TESTIMONIARE CONTRO IL TYCOON E A FAR CROLLARE LA SUA TESI DIFENSIVA… FA SCALPORE IL “PENTIMENTO” DI SIDNEY POWELL, L’AVVOCATO CHE SOSTENNE LE PIÙ INVEROSIMILI TESI COSPIRATIVE SUL “VOTO RUBATO DA BIDEN”
Con le ammissioni dell’ex avvocata di Donald Trump, Jenna Ellis, sono quattro (su 18) i coimputati nel processo sul tentativo dell’ex presidente di alterare il risultato delle elezioni del 2020 in Georgia che si sono dichiarati colpevoli e pronti a testimoniare contro il leader
Ha fatto, in particolare, scalpore il «pentimento» di Sidney Powell, l’avvocatessa che subito dopo il voto presidenziale sostenne le più inverosimili tesi cospirative sulle «elezioni rubate da Biden» (macchine elettorali della Dominion truccate per una congiura architettata dai servizi segreti del Venezuela) e che ora si è dichiarata colpevole di ben sei reati commessi nel tentativo di alterare i risultati del voto in una parte della Georgia, la contea Coffee.
Sbugiarda Trump in cambio di una pena relativamente mite: sei anni di libertà vigilata, varie sanzioni pecuniarie, servizi sociali e scrittura di una lettera di scuse al popolo della Georgia per i danni provocati dai suoi crimini.
Ieri, poi, la rete ABC ha sostenuto, senza essere fin qui smentita, che nelle tre testimonianze rese quest’anno da Mark Meadows davanti al procuratore federale Jack Smith e davanti a un grand jury, l’ex capo di gabinetto di Trump, un suo fedelissimo da lui definito «amico speciale» e «grande capo dello staff» della Casa Bianca, avrebbe capovolto la sua narrativa su quanto accaduto durante e dopo il voto del 3 novembre di tre anni fa dopo aver ricevuto dai giudici l’immunità per i crimini commessi e confessati: mai viste prove di frode negli scrutini, nessuna «elezione rubata».
Trump fronteggia con piglio spavaldo le quattro incriminazioni penali e i due processi civili ai quali è sottoposto. Trump, che continuando così rischia l’arresto, non se ne cura e liquida gli ex alleati che ora lo accusano come gente pronta a tutto per non finire in prigione.
Si definisce perseguitato politico e non teme di cadere nel ridicolo quando dice di essere pronto, per «salvare la nazione», ad andare in galera come Nelson Mandela (27 anni dietro le sbarre battendosi contro l’apartheid).
Seguito ciecamente da un gran numero di fan che lo hanno trasformato nel loro messia, The Donald non vuole essere credibile ma suggestivo, entusiasmante per il suo popolo.
Ma, anche se ha scelto di indossare i panni della vittima di accuse pretestuose, il crollo della diga di avvocati, un tempo stretti e fidati collaboratori, che passano dal ruolo di scudiero a quello di accusatore, non può non preoccuparlo: per le conseguenze giudiziarie, ma anche per l’impatto su quella tesi dell’elezione rubata da Biden che è l’architrave della costruzione politica dell’ex presidente.
Se a dichiarare infondata quella tesi sono il fido Meadows e legali che l’hanno sostenuta con ardore, la costruzione di Trump crolla. Confessioni estorte con la minaccia del carcere, si difende lui: ma gli sconti di pena per chi collabora con la Giustizia sono la regola negli Stati Uniti, e non solo.
(da il Corriere della Sera)
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