“SI SAPEVA CHE POTEVA SUCCEDERE ANCORA. SI SAPEVA”: GIAN ANTONIO STELLA E LA TRAGEDIA ANNUNCIATA DI ISCHIA
“COSA HA FATTO LA POLITICA PER CONVINCERE I CITTADINI A REAGIRE IN MANIERA DIVERSA E A PRENDERE COSCIENZA DEI RISCHI CHE LORO STESSI, PER PRIMI, CORREVANO? DICIAMOLO: POCO” … IL CONDONO DI BERLUSCONI NEL 2003 E QUELLO DI CONTE E SALVINI NEL 2018
Non ne possiamo più, di piangere per Ischia. Le nuove ed ennesime vittime travolte dall’ennesima frana venuta giù dal Monte Epomeo (guai a chiamarlo vulcano: porta iella…) vanno piante, onorate e affidate alla terra col cordoglio di tutti gli italiani.
Non meno doveroso, però, sarà rispettare lo strazio delle famiglie nel modo più serio e severo, con un’inchiesta che dia il giusto peso alla gravità dell’evento atmosferico ma spazzi via i tentativi di dare tutta la colpa alla fatalità. Si sapeva, che poteva succedere ancora. Si sapeva.
Forse mai come in questo caso, infatti, una lunga storia di errori dimostrava come l’isola fosse da sempre esposta a tutti i rischi: quelli sismici, quelli idrogeologici e più ancora quelli dovuti all’insipienza dell’uomo. Basti rileggere, prima ancora che Francesco Guicciardini il quale già mezzo millennio fa ricordava come siano «gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città», le accuse furenti e sconsolate, del giudice Aldo de Chiara, per anni e anni acerrimo avversario dell’abusivismo sull’isola: «Hanno costruito in prossimità di scarpate, di zone sismiche, di zone franose. C’è sempre stata una coalizione di destra e di sinistra contro tutte le demolizioni».
Con un risultato sotto gli occhi di tutti: all’entrata in vigore del condono del 2003 voluto dal governo Berlusconi il numero delle demolizioni eseguite sull’isola a partire dal 1988 risultavano essere state, in totale, solo 22. Ventidue su 2.922 ordinate dalla magistratura con sentenza esecutiva. Lo 0,75%. Briciole.
E non si trattava di sentenze emesse per cocciutaggine da giudici ambientalisti decisi ad applicare nella maniera più pignola regole cavillose per punire tanti poveracci colpevoli «soltanto» di piccoli «abusi di necessità» dovuti alla pigrizia di una burocrazia elefantiaca.
Si trattava, quasi sempre, di salvare la pelle a chi aveva tirato su case e case senza rispettare le regole del buon senso. Come si è visto in decine e decine di casi di interi quartieri travolti dalle acque in piena da una parte all’altra dell’Italia. Uno per tutti, la tragedia di Sarno e Quindici nel maggio 1998. Preceduta da segnali nettissimi sui pericoli di aver costruito case su case lungo il percorso di un corso d’acqua destinato un giorno o l’altro a precipitare a valle.
Restano nella memoria le parole amarissime di Fabio Rossi, docente all’Università di Salerno ed esperto di idrogeologia, con gli occhi fissi a guardar su verso la montagna mentre troppi corpi erano ancora sepolti dalla melma che li aveva inghiottiti: «La colpa è loro, ma questo non si può dire ai morti». Una frase simile a quella pronunciata da Jean-Jacques Rousseau a proposito dello spaventoso terremoto di Lisbona del 1755: «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case…».
«Come noto, in Italia frane e inondazioni sono frequenti e causano danni a strutture e infrastrutture nonché vittime, feriti e sfollati ogni anno. Negli ultimi 15 (dal 2007 al 2021) le persone che hanno perso la vita a causa di tali eventi sono complessivamente 336, di cui 188 per le inondazioni e 148 per le frane», accusa il dossier Polaris del Cnr. E non passa anno senza che l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dimentichi d’aggiornare il censimento delle frane italiane, oltre 620.000 pari a due terzi di quelle rilevate in tutta Europa.
Tutte cose note. Denunciate. Ma troppo spesso accolte come prediche moleste di fastidiosi grilli parlanti, come un geologo cacciato da un convegno proprio a Ischia sul tema del rispetto di un territorio così fragile, con l’accusa d’esser un menagramo. Pochi dati di Legambiente dopo il sisma del 21 agosto 2017 nell’isola, che oggi ha 62.630 abitanti, dicono tutto: «Sono 28 mila le pratiche di richiesta di condono “ufficiali” nell’isola di Ischia. Nei soli Comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno, che contano circa 13 mila abitanti, le pratiche di condono presentate sono oltre 6 mila, una su due abitanti».
Ancora: «Ricordiamo quanto siano stati spropositati i danni rispetto all’intensità del sisma di magnitudo 4.0, anche per via dei materiali scadenti usati negli edifici». Testuale.
Eppure troppi ischitani, convinti di essere vittime di soprusi dei Comuni, della Regione e dello Stato, hanno avuto verso queste grida d’allarme reazioni scomposte. Come un manifesto di qualche anno fa affisso sui muri con queste frasi: «La politica dominante è morta! Dopo sessant’anni di coma vegetativo, ne danno il triste annuncio i cittadini “abusivi ” tutti. Le esequie si terranno in forma privata presso i seggi elettorali nei giorni…». Titolo: «Sulla scheda elettorale scrivi: “voto abusivo! ”».
Ma cosa ha fatto la politica ischitana, in questi anni, per convincere i cittadini a reagire in maniera diversa e a prendere coscienza dei rischi che loro stessi, per primi, correvano? Diciamolo: poco. Anzi, troppo spesso i padroni delle tessere, pronti volta per volta a saltare su cavalli diversi, hanno lisciato il pelo a quanti sbuffavano all’idea di promuovere finalmente una sana manutenzione, un «rammendo» antisismico, un risanamento complessivo di un panorama edilizio ad altissimo rischio.
Ricordate, ad esempio, la sortita del governo giallo-verde che cercò di infilare una sanatoria per Ischia nel decreto per Genova dell’autunno 2018? Nella scia della promessa di Luigi Di Maio ai cittadini dell’isola che il loro sarebbe stato «un governo amico», spuntò fuori un decreto contro il quale saltarono su indignati Legambiente, Libera e la Cgil: «Questa proposta di condono è incomprensibile e pericolosissima (…) perché viene premiata l’illegalità, ancora una volta, condonando edifici che sono da decenni abusivi».
In pratica, spiegò Sergio Rizzo, il provvedimento che concedeva agli abusivi un «ravvedimento operoso» includeva all’articolo 25 un passaggio di furbetta ambiguità: «per la definizione delle istanze trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47». E perché il riferimento era solo al condono craxiano del 1985 e non anche a quelli successivi berlusconiani del 1994 e del 2003? Perché quello più vecchio concedeva molto di più anche agli edifici costruiti su terreni inedificabili. Un messaggio non proprio «educativo »… Ischia merita di meglio. Una svolta vera. Che riscatti finalmente un’isola ferita e straordinaria.
Gian Antonio Stella
(da il “Corriere della Sera”)
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