SINDACI E POLITICI A CENA CON L’NDRANGHETA
CASELLI HA LETTO IN AULA I NOMI DEI POLITICI TORINESI COINVOLTI NELL’INCHIESTA, DAL PDL AL PD
Gian Carlo Caselli legge nell’aula bunker delle Vallette, mentre una ventina di imputati di «Minotauro» lo ascoltano con attenzione dalle loro gabbie, i nomi dei «sette esponenti politici torinesi, oltre a Brizio, che hanno avuto contatti con Salvatore Demasi detto Giorgio in occasione di appuntamenti elettorali. Demasi è persona molto attiva in questo procedimento».
Tutti da Demasi
Carlo Maria Romeo, uno dei legali del costruttore calabrese arrestato nel blitz del 2011 con l’accusa di essere il capo locale della ‘ndrangheta a Rivoli, rovescia nel microfono la sua voce: «C’è opposizione».
Il procuratore capo legge comunque i nomi dei parlamentari uscenti Lucà «detto Mimmo», Pd, e Porcino, Idv, che si è ripresentato alle politiche con il Centro Democratico.
Seguono il consigliere regionale Pd Antonino Boeti, i vari Tromby, Cairoli e Giovanni Porcino, figlio di Gaetano.
Fabrizio Bertot, Pdl, primo cittadino di Rivarolo sino allo scioglimento del Consiglio comunale da parte del governo, sentito di lì a poco, ammetterà : «Dell’incontro al bar Italia di Torino (quello del padrino Giuseppe Catalano, ndr) ricordo solo Demasi perchè ha lo stesso cognome di una mia collega in Consiglio provinciale».
Il preambolo di Caselli
Caselli vorrebbe illustrare il suo «preambolo» su Demasi ma il presidente del collegio Paola Trovati, in seguito all’opposizione del difensore, lo stoppa.
Sicchè il procuratore deve contentarsi di chiedere al teste Francesco Brizio Falletti se «conosce questi politici e se ha mai parlato con loro di infiltrazioni della ‘ndrangheta nel nostro territorio».
Nelle file dei difensori si levano altri oppositori.
Caselli insiste: «Voglio valutare il rischio di infiltrazioni in base alle risposte di persone pubbliche come Brizio». Il quale sospira nel microfono: «Prima degli arresti di Minotauro non avevo alcun sentore».
Verbali acquisiti
Accusa e difese hanno concordato di acquisire i verbali degli interrogatori effettuati da Caselli a tutti questi politici, «per ragioni di economia processuale».
Sono verbali già noti e di cui si è dato conto sui giornali: nessuno, neppure i rivolesi Lucà e Boeti conoscevano Demasi come ‘ndranghetista.
Solo come «imprenditore calabrese».
Il fatto che fosse così ricercato dalla politica nessuno ha saputo chiarirlo. Era il preambolo di Caselli: «Preso atto della vastità dei tentativi di contattare, da parte di ‘ndranghetisti, politici e amministratori pubblici….».
Poi lo stop.
La procura ha scelto di sentire Francesco Brizio Falletti, sindaco di Ciriè e presidente di Gtt, per i nuovi sviluppi di indagine: dopo la cena preelettorale di maggio 2011 alla trattoria Doria di Ciriè, «presente con numerosi altri convitati Salvatore Demasi e in cui lei parla del piano regolatore locale», Caselli mostra alcune foto.
Ritraggono, giorni dopo, lo stesso uomo politico all’ingresso del municipio di Ciriè che si accomiata da alcuni personaggi fra cui il solito Demasi.
Le immagini sono state scattate dai carabinieri nel corso di un servizio di osservazione.
L’incontro in Comune
Caselli: «Adesso ricorda quell’incontro?». Brizio: «Non escludo che vi sia stato».
Caselli: «I carabinieri hanno seguito Vincenzo Femia, Demasi, Michelangelo e Nicola Marando in Comune, li hanno visti entrare nel suo studio di sindaco e uscirne dopo una ventina di minuti. Non ricorda?».
Brizio: «Non ricordo. Conosco solo Femia, era presidente di una controllata Gtt e un ex consigliere regionale. Siamo dello stesso partito, il Pd».
Caselli: «E i nominativi sul biglietto che lei ci ha consegnato, erano di persone da contattare per averne i voti?».
Brizio: «Durante la cena mi diedero quei nomi, non li ho contattati».
Caselli: «Ha fatto una telefonata a Michelangelo Marando alla vigilia delle elezioni comunali dicendosi preoccupato per l’esito del voto?».
Brizio: «Non ho fatto alcuna telefonata».
Per il resto non rammenta e lo dice chiaramente il presidente per chiudere l’esame: «Il teste non ricorda nulla».
Il cavallo di razza
Bertot ricorda invece Giovanni Iaria perchè, dopo una cena preelettorale in casa di Giovanni Macrì (altro arrestato di Minotauro) aveva detto di lui «Questo è un cavallo di razza». Precisa l’interessato: «Ma non sapevo che fosse quel Iaria di cui si parlava come di persona poco pulita». Quel Iaria contribuì a portare voti al candidato alle Europee 2009 che ora spera di andare a Bruxelles «con le rinunce dei neo eletti a Roma».
(da “La Stampa“)
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