SPAGNA, LA PIAGA DEGLI ABUSI A SCUOLA: “MI PICCHIAVANO, NESSUNO INTERVENIVA. NEI COLLEGI I PROF DIFENDONO GLI STUDENTI RICCHI”
UNA MADRE: “CLAUDIA AMMAZZATA A 20 ANNI DAI BULLI”… DUE STUDENTI SPAGNOLI PER CLASSE SOFFRONO DI ABUSI
Tutte le mattine Belén apre gli occhi e vede dalla finestra di camera il cerro di Santa Catalina. Da quella collina, su cui si innalza la scultura Elogio dell’orizzonte, si è buttata sua figlia il 28 aprile 2023. Claudia Álvarez González aveva 20 anni, 15 vissuti senz’aria per colpa degli abusi. «Me l’hanno ammazzata i bulli», sottolinea più volte sua madre. Proprio a loro, ai suoi molestatori, Claudia aveva rivolto una lettera e l’aveva pubblicata su Instagram prima di gettarsi nella scogliera: «Cari bulli, sapete chi siete (…) Spero che ognuno di voi sappia il danno che le vostre azioni hanno fatto. Avete preso una bambina con l’autostima alta e con alte capacità e l’avete schiacciata fino a non farla più alzare dal letto e portarla al suicidio. Sì, voi, studenti dell’anno 2002 del Colegio de la Asunción di Gijón. Non mi importa che siate figli di persone famose, che abbiate più di 10mila follower sui social o che facciate le vittime. Fate schifo».
Claudia bullizzata a cinque anni e suicida a 20
Belén fa sue le parole di sua figlia e la descrive: estroversa, allegra, molto responsabile, esigente con sé stessa, battagliera. «Claudia era una ragazza normale. Era sana quando è entrata in quel collegio, poi a 11 anni si è ammalata di depressione», dice quasi sottovoce, tra il mormorio della caffetteria. Siamo sedute a un tavolino vicino alla finestra. La luce si appiccica sulle nostre guance opposte. Lei alterna i ricordi sereni — «da piccola l’abbiamo portata a Disneyland, il miglior viaggio della sua vita, è stato magico» — a quelli amari: «Già a cinque anni, una compagna di ginnastica ritmica la spingeva e la prendeva in giro. Pensavamo fosse una cosa tra bambine e invece è stato solo l’inizio».
Perché a lezione Claudia eccelle, eppure viene isolata, esclusa dalle feste di compleanno, derisa a voce e in un gruppo Whatsapp. La chiamano Ratatouille come il topolino della Disney. «A 12 anni riusciamo a farle cambiare classe, ma la sua bulla M. aveva potere in tutta la scuola. Claudia si sente sempre più messa all’angolo», ricorda Belén. Quelle prese di giro fanno sgonfiare la sua autostima, un dispetto alla volta.
«Più cresceva e più io e suo papà dovevamo dirle: attenzione a M., attenzione a M.», continua. Rodolfo scorre le foto di Claudia sul telefono. Claudia con il suo cane. Claudia con suo fratello. I disegni di Claudia: «Amava dipingere ma per quattro anni aveva persino smesso, poi ha ripreso». «I professori dovevano prendere provvedimenti e invece non hanno fatto niente. Siamo andati tante volte a parlare a scuola, si sono girati dall’altra parte». Non c’è rabbia nelle parole di questo padre, ma molto, moltissimo dolore che lo porta allo stesso pensiero: «Se avessimo conosciuto tre anni fa l’ultimo psichiatra, sicuramente non sarebbe accaduto…».
Prima di quel 28 aprile, Claudia cambia varie terapie, dottori, specialisti. Nell’ultimo anno tenta di togliersi la vita due volte. È controllata giorno e notte. Rodolfo: «Nei giorni in cui la vedevo particolarmente giù di morale, la seguivo fino allo studio per assicurarmi che andasse veramente dallo psichiatra e non a suicidarsi». Belén: «Ogni volta che usciva in terrazza per fumare, la spiavo rannicchiata, dietro la sedia, dietro il divano. Sempre attenta che non mi vedesse. Abitiamo al nono piano… Dopo i due tentati suicidi non ho più dormito la notte».
Héctor: Mi picchiavano e nessuno interveniva
Ora lei e Rodolfo si battono contro il bullismo nelle scuole — «è la battaglia per Claudia» — e stanno valutando se intraprendere un’azione civile contro il Colegio de la Asunción, una struttura paritaria con oltre mille studenti e studentesse. La direttrice Elisa Díaz-Caneja Castro fa sapere al Corriere che la struttura si è messa a disposizione della famiglia di Claudia, della comunità educativa e delle autorità. Per email Díaz-Caneja Castro ci scrive che «per il Collegio de la Asunción gli alunni sono la priorità, e la buona convivenza e la lotta contro il bullismo a scuola fanno parte dei principi fondamentali del collegio».
Ne La Asunción, dal 1996 al 2000 studia Héctor Gómez Navarro, professore e scrittore. Quando lo incontriamo in una libreria di Gijón ci racconta che anche lui è stato bullizzato in quel collegio: «Un bambino mi ha picchiato per tre anni ma nessuno è intervenuto. La professoressa mi diceva che mi avrebbe aiutato e invece niente. Il padre del mio bullo ha un ristorante molto conosciuto in città, finanziava la squadra di calcio del collegio».
E poi accusa: «È un collegio elitista, gli alunni ricchi vengono trattati meglio perché i genitori sborsano denaro in pubblicità, infrastrutture, attività. Conosco professori a cui non è stato rinnovato il contratto perché si opponevano al sistema». Leggiamo alcune chat che lui ha avuto con ex docenti. Tra loro c’è chi racconta come i colleghi prendevano in giro gli studenti. Héctor ha scritto tutto in un libro inchiesta, ma non ha ancora trovato una casa editrice disposta a pubblicarlo.
Quasi due studenti per classe soffrono di abusi
In Spagna i casi di bullismo sono tanti e riguardano tutti i collegi: «pubblici, privati e paritari». Secondo un’indagine elaborata dall’Università Complutense di Madrid e la Fundación ColaCao — che ha coinvolto 20.662 ragazzi e ragazze dal quarto anno di educazione primaria al quarto anno di educazione secondaria di 325 centri educativi — quasi due studenti per classe soffrono di bullismo. «Ma quella è solo la punta dell’iceberg», precisa Encarna Garcia, fondatrice e presidente dell’Associazione contro l’abuso scolastico, la prima aperta in Spagna nel 2004. «Il bullismo a scuola resta un tabù nel nostro Paese, indipendentemente da chi ci sia al governo. Gli abusi sono inquantificabili e i collegi continuano a ripulire il loro nome, nascondendo gli episodi», aggiunge.
In 20 anni, commenta, non è cambiato niente. Lei ricorda però ancora bene il bigliettino lasciato sul tavolo da sua figlia. Aveva 9 anni: «Mamma, papà, vi amo molto, ma me ne vado perché sono sola in classe». È in quel momento — pochi giorni dopo che quella bambina, la sua, si incammina verso il mare (la troverà una vicina) — che Encarna decide di aprire una piattaforma per aiutare le famiglie che avevano avuto la sua stessa esperienza. A settembre 2004, dopo il suicidio dell’adolescente Jokin Ceberio Laboa, fonda l’associazione. Da allora il suo telefono squilla a breve frequenze. La chiamano in ogni momento. A Encarna indirizzano le richieste d’aiuto che arrivano alla Federazione delle associazioni giovanili di Gijón.
Paloma e il messaggio di speranza
«A noi Encarna ci ha salvato», ammette una madre che ci chiede di rimanere anonima perché teme ripercussioni. Paloma (nome di fantasia) ha 13 anni, parla tre lingue ed è una delle migliori alunne della sua classe. Dal 4 aprile ha cambiato collegio. Senza l’intervento dell’associazione, sarebbe rimasta «nella vecchia prigione, a contatto con le sue bulle». Spiega Encarna: «Il trasferimento non è immediato. Tocca a una commissione riunirsi e decidere come procedere. Approvare la richiesta vuol dire riconoscere il caso di abuso e macchiare il collegio». Lei ci tiene però a diffondere un messaggio positivo: «Da quel pozzo alla fine se ne esce, bisogna chiedere aiuto». Paloma ride insieme al papà. Ha l’entusiasmo delle sue coetanee. Ci dice che è molto contenta nella nuova scuola. I compagni e le compagne finalmente le parlano. La trattano bene, nessuna l’ha più spinta.
(da Il Corriere della Sera)
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