SPARTACUS ALFANO E LA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI
I MINISTRI NON SEGUONO B. E SI PORTANO DIETRO UN PEZZO DI PARTITO. OGGI IL CAPO SARà€ IN AULA: “ASSISTERà’ ALLA MIA FINE O A QUELLA DI ANGELINO”
Era l’ultimo pranzo, e forse non lo sapevano.
Angelino Alfano aveva un foglietto con numeri e cognomi, oltre trenta senatori per un gruppo autonomo. Silvio Berlusconi non aveva più un partito, non più l’azienda versione politica.
Il dissenso che non ha voluto ascoltare in assemblea con i parlamentari, il Cavaliere l’ha visto in faccia.
E oggi farà lampeggiare il tabellone di palazzo Madama: da una parte i reduci berlusconiani contro la diaspora di Angelino che darà la fiducia a Letta.
Oggi B. sarà in aula a palazzo Madama: “Vedremo se assisterò alla mia fine o a quella di Angelino e di Enrico. Il Pdl dirà no al governo”.
Il segretario caccia il quid per cancellare decine di umiliazioni: “Presidente, noi votiamo per Letta. Ora vado da Enrico, al massimo potremmo fare un rimpasto se mi garantisci la guida unica di Forza Italia. Non torniamo indietro, siamo tanti. Tocca a te”.
Berlusconi avverte, per la prima volta in vent’anni, l’impotenza di un 77enne confuso dai vari Niccolò Ghedini, Denis Verdini e Daniela Santanchè.
Obbliga l’ex pitonessa, ora in tenuta maoista da Jiang Qing, a un sacrificio mediatico: “Offro la mia testa ad Alfano”.
L’antipatia reciproca, odio puro, è talmente devastante che la testa non basta. Angelino vuole il corpo, il futuro di Forza Italia che, assieme a ministri Pdl non più dimissionari (Letta ha cestinato la farsa), disegna un cartello centrista, europeo, moderato.
Una democrazia cristiana che i sondaggi, seppur prematuri, danno oltre il 10 per cento.
Il fallimento di Berlusconi, la decapitazione plastica di un despota, va in scena a palazzo Chigi: Alfano incontra Enrico Letta accompagnato da Fabrizio Cicchitto; seguono Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e più tardi Nunzia De Girolamo.
Al Cavaliere resta una carta ingiallita, vecchia per metodo e anagrafe: spedisce Gianni Letta dal nipote, per far balenare un clamoroso (e comunque dannoso) ripensamento. Certo, pone condizioni, vuole la trattativa, agogna la salvezza giudiziaria al Senato. Letta respinge qualsiasi proposta: il gioco è concordato con Alfano che avvia la campagna acquisti.
La rete di Angelino trascina su pesci piccoli e grandicelli. E anche Carlo Giovanardi, che annuncia: “Vi assicuro che 40 senatori Pdl sono con Enrico Letta”.
Ma subisce una separazione atomica: il senatore Luigi Compagna, il socio del movimento Popolari Italiani Solidali, giura fedeltà al Cavaliere.
La scissione è un’emorragia.
Anche Raffaele Fitto, che capeggia una decina di senatori pugliesi, tentenna, abbozza, calcola la rottura con il Cavaliere. I ricordi lo frenano: la punizione inflitta da B. per le primarie, i litigi proprio con Alfano.
Il Cavaliere vuole spaventare Alfano, fa sapere che la figlia Marina è pronta a conquistare Forza Italia con un’operazione pubblica di acquisto come se fosse in Borsa, come se fosse un affare.
Angelino s’è spinto oltre, non ritira se stesso. E cerca di convincere il titubante Renato Schifani. Mentre Roberto Formigoni gli salta in braccia: “Sono con Angelino”.
Il senatore decadente di Arcore non controlla la rabbia: “Alfano va a sbattere, non sono neanche una decina. Nessuno sopravvive a me. à‰ un ingrato. Voglio vedere i traditori”.
Il Cavaliere vuole un’uscita d’emergenza, aspetta Angelino, convoca i capigruppo Brunetta e Schifani, viene aizzato da Ghedini. Alfano diserta.
B. ha chiamato pure i coordinatori regionali per valutare l’effetto scissione, ascolta con gli occhi lividi Francesco Nitto Palma, Mario Mantovani e Denis Verdini.
Nunzia De Girolamo è l’unica ambasciatrice dei ministri a palazzo Grazioli.
Il Cavaliere è furioso, un po’ pentito, non distingue più gli amici e i nemici. Quando Gaetano Miccichè, Daniela Santanchè, Maurizio Abrignani e Daniele Capezzone prendono le scale di palazzo Grazioli con disinvoltura, come se fossero graditi e consueti ospiti, il portiere dice che non possono entrare.
La Santanchè s’attacca al telefono, e manda qualcuno a quel paese. Niente. Vietato l’accesso.
Berlusconi non risparmia neanche l’ex pitonessa: “Ci siamo infilati in un pasticcio, la colpa è anche sua”. Il Cavaliere è distrutto, non vuole cenare e, terminata la riunione serale, non vuole vedere e sentire nessuno.
Scrive un piccolo discorso, vorrebbe intervenire in Senato. Potrebbe non rimetterci più piede.
Venerdì la Giunta per le Elezioni avvierà la decadenza.
Il duello di Cicchitto e Sallusti a Ballarò non archivia un’epoca: di più, tumula il Cavaliere.
Carlo Tecce
Leave a Reply