STAFFETTA CON GENTILONI, LE CARTE LE HA DATE ANCORA RENZI: ELEZIONI A GIUGNO, CONGRESSO SUBITO
MATTARELLA E MINORANZA PD AVREBBERO PREFERITO PADOAN, MA HA VINTO RENZI… TRA I MINISTRI CONFERMATI PADOAN, ORLANDO, FRANCESCHINI, DEL RIO, MARTINA E POLETTI, SI SGANCIANO LA BOSCHI, GIANNINI, LORENZIN E FORSE LA MADIA
E’ metà mattinata quando Paolo Gentiloni varca la soglia di Palazzo Chigi. Ad attenderlo c’è il premier dimissionario Matteo Renzi, tornato a Roma oggi dopo aver trascorso il giorno dell’Immacolata in famiglia a Pontassieve.
Mentre al Quirinale Sergio Mattarella avvia il suo secondo round di consultazioni con ben 17 gruppi e gruppetti parlamentari solo nella giornata di oggi, è nel palazzo del governo che si cerca la quadra per la nascita di un nuovo esecutivo. Renzi avvia di fatto le sue ‘consultazioni’ con i leader Dem.
Oltre a Gentiloni, riceve Pier Carlo Padoan. Incontra Matteo Orfini e sente al telefono Graziano Delrio.
A Palazzo Chigi arriva anche Maurizio Martina. I contatti con Dario Franceschini sono continui. La giornata cancella l’ipotesi di un Renzi bis.
E rafforza invece la carta di Gentiloni premier di un governo che confermerebbe Padoan all’Economia.
Gentiloni potrebbe giurare già domenica. Ma Renzi vuole la garanzia che si voti a primavera e chiede di chiudere un’intesa su un sistema elettorale semi-proporzionale.
All’ora di pranzo la campanella che dice “sbrigatevi” la suona la Bce.
L’istituto di Francoforte respinge la richiesta di Mps di aver maggior tempo per l’aumento di capitale. Tradotto: serve un intervento del governo, un decreto, serve ‘un governo’.
E’ questa urgenza che nel primo pomeriggio, mentre a Palazzo Chigi continua l’andirivieni di leader e contatti, i telefoni squillano, le trattative fervono, rafforza la carta Gentiloni.
Al Colle invece la storia Mps rafforza la carta Padoan. Mattarella insiste fino all’ultimo sul ministro del Tesoro. Ma Renzi è irremovibile e su Gentiloni stringe il patto con il Pd.
Così il ministro degli Esteri diventa punto di mediazione tra Renzi e Mattarella.
Dopo che è caduta l’ipotesi iniziale del capo dello Stato: cioè un reincarico di Renzi. In quanto, spiegano fonti istituzionali di alto livello, a norma di Costituzione nulla obbliga il premier a dimettersi dopo la sconfitta referendaria. Ma Renzi fa un altro ragionamento.
“Io non sono disponibile”, ha spiegato a chi lo ha incontrato a Palazzo Chigi.
Intorno, i primi scatoloni del trasloco. Al premier uscente non sarebbe dispiaciuta l’ipotesi disegnata dal pentastellato Luigi Di Maio: congelare tutto così com’è, Renzi resta a Palazzo Chigi dimissionario con tutto il governo fino alla sentenza della Consulta a gennaio e poi si vota.
Insomma, una gestione degli affari correnti e basta.
Ma la bomba a orologeria di Mps spazza via anche questo scenario, che comunque non era gradito a Mattarella.
Renzi non vuole un reincarico, “perderei la faccia”, continua a dire ai suoi. E allora emerge l’ipotesi Gentiloni: frutto anche di un patto interno con Franceschini.
Della serie: “Nulla nasce contro il segretario del Pd”, continua a dire il ministro dei Beni Culturali. Dietro, c’è la ‘last call’ del Qurinale. Della serie: ‘Se non sei tu, indica un nome, caro Matteo che resti segretario del Pd. Altrimenti facciamo noi’.
Certo ancora fino al primo pomeriggio, pure dal Pd – oltre che dal Colle – arrivavano sollecitazioni su Padoan.
Più tecnico, più neutro, meno politico: contro di lui si scatenano meno invidie e gelosie. Ma per il premier la carta preferita è Gentiloni, uno dei pochi fedelissimi non toscani, punto di riferimento della cerchia del segretario Pd a Roma.
Con l’esperienza maturata alla Farnesina può gestire agevolmente gli appuntamenti esteri importanti del prossimo futuro: dal Consiglio europeo della prossima settimana alla celebrazione dei 60 anni del Trattato di Roma a marzo. Ma non il G7 di Taormina.
Non per incapacità di Gentiloni, bensì perchè Renzi vorrebbe aver votato per quella data di fine maggio.
Sta qui il nodo di tutto il puzzle. A sera Gentiloni torna a Palazzo Chigi per un nuovo faccia a faccia con Renzi.
Con i suoi interlocutori Dem il premier uscente ragiona anche di data e sistema elettorale. Vuole garanzie che si torni al voto al più presto, approfittando magari della finestra delle amministrative di primavera.
Twitta il renziano Andrea Marcucci:
Si può votare dal 15 aprile al 15 giugno, indicano dalla cerchia del premier, una tornata che interessa circa mille comuni e che per Renzi potrebbe ben estendersi alle politiche.
Per avere una garanzia sulla data, Renzi vuole anche garanzie sulla legge elettorale, per seminare e raccogliere subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Insomma, per non farsi trovare impreparato.
L’Idea è un semi-proporzionale che piace anche a Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere salirà domani al Colle: nel Pd sono tutti in attesa di sapere cosa andrà a dire a Mattarella. L’auspicio è di poter stringere un patto di non belligeranza sulla base della legge elettorale.
La squadra del governo Gentiloni continuerebbe a far parte Luca Lotti, braccio destro del segretario che resterebbe a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Padoan verrebbe riconfermato all’Economia. E in squadra resterebbero sia Orlando che Franceschini, Delrio e Martina e anche Poletti.
Ma non farebbero parte del governo i ministri bocciati dai fatti. Tre nomi: Giannini per le contestazioni alla Buona scuola, Lorenzin per alleggerire il peso di Ncd nel governo, Boschi (al suo posto si fa il nome di Giachetti) per via della sconfitta al referendum che su di lei funzionerebbe come con Renzi.
Via tutt’e due dall’esecutivo. In bilico anche Madia, per via della bocciatura della sua riforma da parte della Consulta, ma il ministro della Pubblica Amministrazione potrebbe restare per i decreti attuativi ancora sul tavolo.
Nella squadra di Gentiloni non entra alcun ministro verdiniano. A sostituire quello che dovrebbe essere il prossimo premier alla Farnesina si fa il nome di Carlo Calenda, attuale responsabile dello Sviluppo Economico.
Davanti a Palazzo Chigi, il fotografo di Renzi, Tiberio Barchielli, prende una boccata d’aria e per la prima volta non porta con se la macchina fotografica.
Segno anche questo che il suo compito dietro al premier è terminato, magari comincerà a seguire solo il segretario.
Perchè nell’accordo interno al Pd che dovrebbe portare Gentiloni a giurare al Quirinale c’è anche il congresso del partito a partire da subito. Primarie aperte per la nuova segreteria.
Lo chiedono con forza i Giovani Turchi, lo chiede il governatore Michele Emiliano che scalpita per candidarsi, come il governatore toscano Enrico Rossi e chissà forse anche Sergio Chiamparino.
Una chiamata alla sfida interna che Renzi avalla: gli serve per rilegittimarsi dopo la sconfitta pesante del 4 dicembre.
E per ora sa di avere dalla sua parte i Giovani Turchi che a quanto pare non candiderebbero il ministro Andrea Orlando ma sosterrebbero l’attuale segretario.
Il perchè sta nei 13 milioni di sì comunque incassati al referendum, così te la spiegano. “Con primarie aperte vince lui”, ti dicono.
E Franceschini? Pare che sul congresso non si sia ancora sbilanciato, ma i renziani scommettono che non avrà scelta: “Lui sta con chi vince”.
Per loro, vince ancora Renzi. Chissà . La prossima settimana una nuova direzione nazionale — forse martedì — potrebbe portare allo scoperto le posizioni in campo tra i Dem. Un campo minato.
(da “Huffingtonpost”)
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