STOP ALLE AUTO INQUINANTI DAL 2035, L’INDUSTRIA ITALIANA RESPINGE LO SCETTICISMO: “SI PUO’ FARE, SERVONO INCENTIVI”
SMENTITO IL GOVERNO CHE SE NE FREGA DEL FUTURO DEL PIANETA… “LA GREEN ECONOMY CREA NUOVI POSTI DI LAVORO E OPPORTUNITA’ INDUSTRIALI”
La decisione dell’Unione Europea di mettere uno stop, a partire dal 2035, alla vendita di auto a benzina o diesel è stata accolta con un certo scetticismo dal governo italiano.
Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini l’ha definita una «decisione folle», il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla di «obiettivi irraggiungibili», mentre secondo il ministro dell’Industria Adolfo Urso la decisione è frutto di una «visione ideologica e faziosa».
Eppure, chi opera all’interno del settore dell’automotive sapeva che questa svolta prima o poi sarebbe arrivata.
E adesso in molti sono già al lavoro per rimboccarsi le maniche e far sì che la transizione – dai tradizionali motori endotermici alle auto elettriche – sia il più indolore possibile.
«Il passaggio alla green economy crea davvero posti di lavoro e opportunità industriali. Ma è una partita che va giocata bene, sia a livello europeo che italiano», avverte Matteo Di Castelnuovo, professore di Economia dell’energia all’Università Bocconi di Milano.
«Il tempo c’è», aggiunge Gianmarco Giorda, direttore generale di Anfia, l’associazione che rappresenta le aziende della filiera automobilistica italiana. «Piuttosto la questione ora è un’altra: come agevolare questa transizione a livello economico».
Chi rischia il posto
Adesso che è arrivato l’ok definitivo del Parlamento Europeo, non ci sono altre strade: per poter sopravvivere, il settore dell’automotive dovrà avviare un processo di radicale trasformazione. Il nodo più importante è quello dei posti di lavoro. Secondo le stime di Anfia, saranno circa 450 le aziende coinvolte dalla decisione europea e 70mila i posti di lavoro potenzialmente a rischio.
«Naturalmente questo non significa che resteranno tutti a casa», chiarisce Gianmarco Giorda, direttore generale di Anfia. «Il fatturato di queste aziende, che operano quasi interamente nei settori del motore a combustione interna, calerà già nei prossimi anni, per poi sparire del tutto a partire dal 2035. Si dovrà fare un’attività di accompagnamento per far sì che possano differenziare il proprio portafoglio di prodotti, non per forza restando all’interno della filiera automobilistica», aggiunge Giorda.
Rispetto ai veicoli a benzina e diesel, le auto elettriche hanno meno componenti. Alcune parti del veicolo, però, restano tutto sommato simili, a partire dagli pneumatici e dai freni.
«La vera differenza sta in ciò che si trova sotto il cofano – spiega Di Castelnuovo -. Chi produce componenti che vanno a finire in quella parte dell’auto sarà costretto a riconvertire la propria produzione per non trovarsi in difficoltà».
Secondo il professore della Bocconi, per evitare che la decisione dell’Ue si trasformi in un dramma occupazionale c’è bisogno innanzitutto di portare in Italia la produzione di alcune componenti essenziali per le auto elettriche, a partire dalle batterie.
«Oggi gran parte delle batterie che usiamo vengono importate dalla Cina, dove abbiamo delocalizzato la produzione», spiega Di Castelnuovo. «Servono incentivi – aggiunge – per riportare all’interno dei nostri confini la produzione di queste tecnologie e stimolare la domanda interna, come stanno facendo negli Stati Uniti».
Le richieste di produttori e sindacati
Una sfida tutt’altro che semplice, soprattutto per l’Italia.
«Siamo un po’ indietro rispetto ad altri Paesi europei – ammette il direttore generale di Anfia -. Un po’ perché produciamo meno auto, un po’ per ragioni culturali. Il diesel è stato a lungo un nostro vantaggio competitivo, ma ora si sta trasformando nell’esatto opposto».
Da qui, la richiesta di Anfia – e di tutte le aziende che operano nella filiera automobilistica – di agevolare la transizione voluta dall’Ue.
«Al di là del fondo nazionale automotive, chiediamo a Bruxelles di istituire un altro fondo on top per aiutare il nostro settore a investire in nuovi macchinari e affrontare questo passaggio», precisa Giorda. «Abbiamo già fatto diversi incontri con i ministri e ne faremo altri. Ora che la decisione dell’Ue è definitiva, insisteremo sulle nostre proposte», aggiunge il direttore generale di Anfia.
Se i produttori chiedono incentivi al governo e alla Commissione Europea, i sindacati avanzano un’altra richiesta: un piano straordinario del governo per il settore dell’automotive.
«L’Italia ha abbandonato qualsiasi politica industriale da almeno un decennio. E il risultato è che oggi ci troviamo in una fase di cambiamento epocale senza sapere come muoverci», spiega Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom Cgil.
L’obiettivo dei sindacati è chiaro: far sì che la sostenibilità della svolta voluta da Bruxelles sia non solo di tipo ambientale ma anche sociale. «La decisione dell’Ue è un obiettivo che va colto, altrimenti rischiamo di guardare il dito e non arrivare sulla Luna – spiega Marinelli -. Ma è importante che questo passaggio avvenga senza perdite occupazionali. Anzi, dovremmo sfruttare questo cambiamento per creare posti di lavoro».
Verso un nuovo «ecosistema»
Accanto ai temi della riconversione industriale e dell’occupazione, la svolta europea verso le auto elettriche pone una serie di altre questioni economiche: la produzione di energia elettrica, le infrastrutture, la formazione di nuovi professionisti e, non da ultimo, le accise.
Nel 2021, le tasse sui carburanti hanno portato nelle casse dello Stato 24 miliardi di euro. Se da qui al 2035 il numero di auto a benzina diminuirà fino a scomparire, lo Stato vedrebbe diminuire le proprie entrate.
Per agevolare il passaggio all’elettrico, poi, è necessario fare investimenti su tutto l’indotto. A partire dalle infrastrutture di ricarica, che oggi non sono ancora diffuse in modo capillare su tutto il territorio nazionale. «Per riassumere tutto con una sola parola, dobbiamo creare un nuovo ecosistema», precisa Di Castelnuovo.
«Possiamo anche stracciarci le vesti, ma la svolta è stata decisa e sappiamo che arriverà. La cosa migliore che possiamo fare è metterci al lavoro per agevolare questo processo il più possibile».
(da Open)
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