TAGLI UNIVERSITA’ USA: TUTTI I DANNI DI TRUMP
TAGLIATI I FONDI FEDERALI A 60 ATENEI
Non solo Harvard. L’offensiva di Donald Trump ha già investito 60 università americane. Al momento l’Amministrazione ha tagliato i fondi federali (o minaccia di farlo) a sette atenei privati. Eccoli, oltre a Harvard (Cambridge, Massachusetts): Brown University (Providence, Rhode Island); Columbia University (New York); Cornell (Ithaca, New York); Northwestern University (Evanston, Illinois); The University of Pennsylvania (Philadelphia); Princeton University (Princeton, New Jersey). La lista potrebbe presto comprendere altri importanti istituti del Paese come Georgetown University (Washington dc), Johns Hopkins University (Baltimora, Maryland); The University of California Berkeley; The University of Southern California (Los Angeles, California).
Nel complesso sono a rischio finanziamenti per 12 miliardi e 80 milioni di dollari. La gran parte dei tagli tocca, come vedremo, proprio il sistema Harvard, che comprende l’Università e 15 ospedali tra i quali il Mass General Brigham, il Dana Farber Cancer Institute e il Boston Children’s Hospital. Tre centri medici di riconosciuta eccellenza a livello mondiale. Ma l’inedito e violento attacco si inserisce in un contesto molto chiaro.
National Institutes of Health: via 18 miliardi
Appena rientrato alla Casa Bianca, Trump ha chiesto alla Segretaria per l’Educazione, Linda McMahon, di preparare un piano di drastiche riduzioni di spesa, con l’obiettivo di arrivare alla chiusura del Dipartimento, devolvendo ai singoli Stati e alle comunità locali quelle competenze sulle scuole di ogni ordine e grado rimaste in carico al governo federale. Il grosso della spesa è già decentrato, come mostrano i numeri. Nel 2025 il bilancio federale ha stanziato 207 miliardi di dollari per l’educazione; la spesa degli Stati ha raggiunto i 518 miliardi; quella delle istituzioni locali, 1.197 miliardi.
Il bilancio generale per il 2026 prevede drastiche sforbiciate anche per i grandi centri di ricerca. Un solo esempio: già lo scorso febbraio tagliati il 37% dei fondi, cioè 18 miliardi su 48, destinati al Nih, il National Institutes of Health, il più grande centro di ricerca biomedicale del mondo che alimenta una rete di circa 2.500 laboratori e istituti, con 300 mila scienziati, oltre a 600 borse di studio destinate all’attività di ricerca di Harvard. Nel 2020 il ruolo del Nih fu decisivo per approntare i vaccini anti-Covid, con la supervisione di Anthony Fauci. Attenzione, però. Le ragioni economiche e contabili si intrecciano strettamente con motivazioni ideologiche: al Nih si rimprovera, tra le altre cose, «di aver promosso una radicale ideologia di genere a detrimento della gioventù americana».
La politica punitiva contro le università
Nei documenti ufficiali presentati dall’Amministrazione al Congresso si legge che nelle scuole bisogna togliere spazio alle «ideologie della sinistra radicale»; mentre l’offensiva contro le università è uno dei capitoli più importanti della politica punitiva, revanscista contro la ricerca, la scienza, accusate di essere portatrici di «ideologie radicali e divisive».
Il fattore scatenante è stata la reazione del governo israeliano all’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre del 2023, con i
bombardamenti indiscriminati su Gaza. Fatti che hanno innescato le proteste di parte degli studenti universitari. L’onda di manifestazioni e occupazioni, in particolare alla Columbia University di New York e ad Harvard ha, a sua volta, suscitato le critiche dei conservatori e di parte della comunità ebraica.
L’Amministrazione Trump ha scelto l’argomento forse più sensibile per la politica e la società americane, accusando le università e principalmente Harvard di essere un «porto sicuro per l’antisemitismo», ma Harvard rappresenta anche il bersaglio più facile, il più vistoso e il più simbolico.
Cosa è successo ad Harvard
L’11 aprile scorso la Commissione federale contro l’antisemitismo ha inviato una lettera al presidente di Harvard, Alan Garber, rinfacciando all’ateneo di «non aver rispettato i diritti civili e intellettuali necessari per giustificare un finanziamento pubblico», consentendo la diffusione di pregiudizi e stereotipi contro la comunità ebraica. Il dipartimento per la Sicurezza Interna ha chiesto all’Accademia di fornire i dati personali, compresi i precedenti penali, degli studenti provenienti dall’estero, per «verificare che non vi siano soggetti che appoggino il terrorismo o l’antisemitismo» o che abbiano partecipato a manifestazioni di protesta, dentro o fuori il campus.
Garber, 69 anni, medico ed economista, ebreo, era stato pesantemente attaccato dagli studenti per aver criticato gli slogan contro Israele, ma di fronte al diktat trumpiano ha difeso l’autonomia dell’ateneo. Il 14 aprile ha respinto tutte le richieste, compresa quella di insediare una commissione esterna per «valutare quei programmi e quei dipartimenti che alimentano l’ideologia antisemita». Lo scontro Harvard-Trump si è acceso rapidamente: diversi dipartimenti dell’Amministrazione hanno subito congelato 2,4 miliardi di fondi
(su 9) utilizzati per finanziare circa 1.000 ricercatori impegnati in settori cruciali: medicina, biochimica, fisica quantistica, quantum computing, intelligenza artificiale e altro. Sono tutte risorse non sostituibili nell’immediato, anche se Harvard può contare su un cospicuo patrimonio: 53 miliardi di dollari, ma già allocati altrove. L’Amministrazione di Washington ha avanzato anche la pretesa di controllare i criteri di assunzione dei docenti e di ammissione degli studenti. Il presidente dell’ateneo Garber si è rivolto al tribunale federale invocando la difesa della libertà di pensiero, sancita dal Primo Emendamento della Costituzione, e il giudice Allison Burroghs ha sospeso il provvedimento.
A quel punto Trump ha chiesto la sospensione del visto a 6.800 studenti stranieri, e lunedì 26 maggio ha minacciato di decurtare altri 3 miliardi, da girare alle «trade schools», gli istituti professionali.
A cosa servono i fondi federali
Alla Cornell University, l’Amministrazione Trump ha congelato 1 miliardo di fondi. In un comunicato ufficiale l’ateneo ha fatto sapere di aver ricevuto la disdetta per 75 contratti con il Dipartimento della Difesa relativi «a ricerche profondamente significative per la difesa nazionale americana, per la cybersecurity e per il settore sanitario». In concreto si tratta di ricerche sul cancro, progetti sui motori dei jet, sui materiali super conduttori e sulle tecnologie di comunicazione satellitare. Tuttavia, la Cornell non ha ancora ricevuto una conferma ufficiale sul blocco dei fondi per un miliardo di dollari.
Più o meno lo stesso discorso vale per la Northwestern University. I funzionari trumpiani hanno annunciato un taglio di 790 milioni di dollari. Ma finora non è arrivata una notifica formale. In ogni caso, fanno sapere dall’Istituto con base nell’Illinois, i fondi federali «trainano le sperimentazioni sui minuscoli pacemaker e la ricerca sull’Alzheimer». Ora questi filoni sono a rischio
Princeton blocca le assunzioni
Alla Brown University dovrebbero essere decurtati 510 milioni. L’Università di Providence ha già un deficit di 46 milioni di dollari e lo stop dei fondi federali porterebbe a blocco della costruzione già iniziata di un grande laboratorio dedicato alla biologia e altre scienze.
The University of Pennsylvania teme di perdere 175 milioni di dollari. Al momento sono attivi 596 linee di finanziamento con il dipartimento della Difesa e quello della Sanità. I contratti più importanti, e ora più a rischio, sono quelli destinati al «Center for Aids Research at the Perelman School of Medicine», affiliato all’Università. Potrebbero essere compromesse anche le ricerche condotte per conto del Pentagono sulle «reazioni dei militari impegnati in missioni condotte in ambienti ostili, come disastri naturali o attacchi terroristici». Dimezzati i fondi per Princeton: via 210 milioni sui 455 versati nel 2024. I vertici dell’ateneo hanno già annunciato il blocco delle assunzioni per ogni funzione. Non è ancora chiaro quali progetti verranno fermati, ma sappiamo che i ricercatori di Princeton lavorano sostanzialmente con tre agenzie federali: Dipartimento dell’Energia, Nasa e Pentagono.
Columbia: licenziati 180 ricercatori
Infine, la Columbia University. L’istituto di New York ha deciso di non andare allo scontro con Trump, pur di riavere indietro i 400 milioni di fondi pubblici, bloccati nelle scorse settimane. La questione è ancora in sospeso, nonostante la Columbia abbia pubblicato un memorandum in 17 punti per provare a soddisfare le richieste dei trumpiani. In particolare, l’Università si impegna a rafforzare le misure di sicurezza interne, con la possibilità di identificare, se necessario, tutti i partecipanti alle manifestazioni nel campus, vietando a chi protesta di coprirsi il volto e assumendo 36
guardie private per evitare disordini. Inoltre, il dipartimento di studi sul Medio Oriente, l’Asia del Sud e l’Africa verrà gestito da una nuova figura, un vicerettore, che avrà il compito di rivedere i programmi dei corsi, con «equilibrio e imparzialità», predisponendo i «necessari aggiustamenti accademici». L’università, che nel 2024 aveva investito 1,1 miliardi di dollari ricevuti dalle casse federali nel campo della ricerca medica, biochimica, ambientale e anche in studi legali, ora ha deciso di licenziare 180 ricercatori, il 20% della platea totale dipendente dai fondi governativi. Sono a rischio anche progetti innovativi come le applicazioni dell’Intelligenza artificiale sulle cure mediche, le terapie basate sulle trasfusioni di sangue, la ricerca sui fibromi uterini.
Come è arrivato ad Harvard il genero di Trump
La rivolta di Trump contro i privilegi e la battaglia trumpiana è presentata all’opinione pubblica anche come una rivolta contro la cultura elitaria, barricata a difesa dei propri privilegi. Certo è veramente paradossale che sia proprio una figura come quella di Trump, un concentrato di conflitti di interesse e di abusi di potere, a condurre questa campagna. Alle prestigiose università della Ivy League si rimprovera, tra l’altro, di aprire le porte non solo ai più ricchi, ma anche ai più raccomandati. Secondo le ricerche presentate da Richard Reeves nel suo libro «Dream Hoarders>», gli «Accaparratori di sogni», il 30% degli iscritti ad Harvard sono figli di ex alunni, o di facoltosi donatori. Fu il caso, per esempio, di Charles Kushner che versò 2,1 milioni di dollari all’ateneo e, in cambio, suo figlio Jared fu iscritto i corsi, anche se i suoi test di ammissione erano largamente insufficienti. Jared Kushner è il marito di Ivanka Trump, e genero del presidente.
(da agenzie)
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