TREMAGLIA, UNA BIOGRAFIA CHE SPIAZZA: DA RAGAZZO DI SALO’ A FEROCE AVVERSARIO DI BERLUSCONI
RESE OMAGGIO AI DUE ANARCHICI SACCO E VANZETTI, DIFESE I MAGISTRATI DI “MANI PULITE”, VOTO’ NO ALL’INTRODUZIONE DEL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: “GLI IMMIGRATI DEVONO AVERE GLI STESSI DIRITTI CHE I NOSTRI EMIGRANTI HANNO OTTENUTO CON GRANDI SACRIFICI”
È morto Mirko Tremaglia, classe ’26, parlamentare di Futuro e Libertà , a lungo leader degli italiani all’estero e figura oltre tutti gli schemi: ha cominciato la sua “carriera” da fascista e volontario nella Rsi a 17 anni, l’ha finita votando contro il governo Berlusconi prima ancora della scissione finiana, indignato per l’introduzione del reato di immigrazione clandestina (a cui rifiutò l’appoggio) e per il cesarismo del premier-plutocrate, che sfiduciò già il 29 settembre del 2010 con un plateale «no», dopo l’esposizione dei famosi cinque punti che avrebbero dovuto tenere insieme la maggioranza.
Tremaglia ha una biografia spiazzante per la becero-destra, quella che ha continuato a giocare con le suggestioni più trash del fascismo intorno all’uomo di Arcore.
Ex missino, è stato insieme al liberale Egidio Sterpa uno dei due ex ragazzi di Salò diventati ministri della Repubblica.
In quella veste non esitò a rendere omaggio a Sacco e Vanzetti, i due anarchici italiani giustiziati negli Usa per un omicidio che non avevano commesso e immortalati dalla più celebre canzone di Joan Baez.
«Nicola e Bart — ricordò — sono due di quegli italiani senza scarpe che varcarono l’Oceano in cerca di un futuro migliore e subirono l’attacco disumano di quanti nel mondo hanno sfruttato il lavoro dei nostri connazionali».
Aveva fatto parte della Commissione d’inchiesta sulla P2, fu uno dei sostenitori di Mani Pulite e di Antonio Di Pietro, non ebbe mai imbarazzi a schierarsi sulle questioni della legalità e della lotta alla corruzione.
Scusi, ma che cosa si prova ad essere alleato di politici che volevano fermare le indagini? Le chiese una volta una giornalista.
E lui: «Guardi che Alleanza nazionale ha sempre avuto una posizione diversa da Forza Italia. Per quanto ne so, credo che Di Pietro andrà al contrattacco e io sarò con lui. Senza guardare in faccia nessuno».
Era un anticomunista più che sincero, viscerale.
Nel 1988, membro di una delegazione guidata da Flaminio Piccoli in visita in Russia, indignato per le parole del leader dc sui caduti di guerra, battè i pugni sul tavolo del Cremlino, fece una scenata e abbandonò la sala perdendosi nei corridoi.
Eppure sapeva che la storia va avanti.
Un anno fa lo andarono a infastidire su un tema molto gettonato dai berlusconiani, quello del “compagno Fini” e dell’alleanza con la sinistra contro Berlusconi. Rispose serafico: «Noi votiamo per situazioni che determinano il fatto della sconfitta del premier, che poi ci siano gli uni o gli altri non importa».
Tremaglia lo avevo conosciuto negli anni ’80, durante l’annuale cerimonia commemorativa per la strage di minatori italiani a Marcinelle, in Belgio, una data che all’epoca solo la destra ricordava.
Gli italiani all’estero accorsi per partecipare erano camerieri, operai, edili, badanti, gente che ancora viveva ancora nelle baracche sognando il ritorno a casa e ai quali Mirko prometteva il diritto di voto come chiave di volta per “essere considerati”.
Dopo la Rsi era stato prigioniero nel campo di Coltano, lo stesso dove vennero rinchiusi Ezra Pound e Walter Chiari, e immagino che avesse un’idea molto chiara di cosa significa essere senza patria, discriminati, banditi, senza speranza.
Anche per questo si infuriò quando la “sua” riforma costituzionale per il voto all’estero fu impiastricciata dalle inefficienze dei consolati e dai brogli dei furbacchioni.
E ancor di più quando nel 2006, dopo la vittoria di Prodi determinata proprio dai voti degli emigrati, il Pdl lo mise sotto processo: «Berlusconi ha detto che manderà in pensione gli italiani all’estero, ma sarò io a mandare in pensione lui».
La goccia che fece traboccare il vaso fu, nel 2008, l’approvazione del cosiddetto pacchetto Maroni, contro cui diede battaglia: «Siamo tutti moralmente oltre che politicamente impegnati — spiegò — a salvaguardare per gli immigrati gli stessi diritti che i nostri emigranti hanno ottenuto con tanti sacrifici».
Magari sembrerà retorico ma credo che la vicenda umana e politica di Mirko Tremaglia possa essere tema di riflessione anche per chi non lo avrebbe mai votato o per chi in passato lo avrebbe mandato volentieri in esilio.
C’è un dna italiano — il rispetto per il lavoro, la capacità di integrazione, un’idea alta della legalità e dei diritti, l’attenzione ai deboli — che accomuna percorsi molto diversi e sul quale possiamo intenderci oltre ogni dato ideologico e ogni appartenenza politica.
E credo che l’unico bipolarismo che abbia un senso, oggi, nella tempesta di questa crisi sia appunto questo: essere dalla parte dell’Italia o da quella delle cento caste che l’hanno sbranata facendosi gli affari loro.
Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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