TRUMP HA SBEFFEGGIATO L’UCRAINA INVITANDOLA A FARE UN ACCORDO RAPIDO PER LA PACE E RICORDANDO CHE LA RUSSIA “È DAVVERO UNA GRANDE POTENZA”
L’UE FA LA SOLITA FIGURA DA SPETTATORE SGRADITO: PUTIN E TRUMP HANNO DETTO CHIARAMENTE DI NON VOLERE ”INTERFERENZE” E DI RISPETTARE LE DECISIONI DI CHI COMANDA DAVVERO
Come spesso accade alla vigilia di grandi eventi politici, i fiumi di parole di analisti e opinionisti sono spesso facilmente smentiti o superati dalla realtà, ma questa volta era abbastanza prevedibile “un nulla di fatto” sulla questione del cessate il fuoco nella guerra contro l’Ucraina.
Politicamente, economicamente e militarmente a Putin non conviene concedere nulla all’Ucraina e ai suoi alleati europei in questa fase del conflitto, ma da politico pragmatico ed esperto il presidente russo non poteva perdere l’occasione di sfruttare la grande visibilità e legittimità internazionale che l’invito in Alaska di Donald Trump ha rappresentato.
Al di là delle posture dei due presidenti all’arrivo nella base militare e nella sede della conferenza stampa che lasciamo interpretare agli esperti di etologia, non vi è dubbio che il clima cordiale, i sorrisi e le strette di mano ci hanno offerto un’immagine potentissima che segnerà la politica di questo secolo: il leader di un regime autoritario che sfila accanto al presidente del regime democratico più ammirato e ambito nel mondo (quanto meno prima dell’arrivo di Trump in politica!)
Ciò a cui abbiamo assistito ieri è la sintonia politica dei due leader, che va oltre la dicotomia regime democratico vs autoritario, ma è, invece, basata sul realismo politico e il linguaggio del “business”.
Ma, se passiamo dalle immagini alle parole espresse durante la conferenza stampa, la percezione è diametralmente opposta: le parole di Putin hanno legittimato e rafforzato il ruolo di Trump
quale mediatore di conflitti , ribadito il refrain trumpiano che «se Trump fosse stato presidente nel 2022 al posto di Joe Biden non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina».
Inoltre, il capo del Cremlino ha espresso soddisfazione per la ripresa delle relazioni bilaterali con gli Usa e ha invitato il presidente americano ad un prossimo incontro a Mosca.
Con queste parole e con la sua presenza nel suolo americano, Putin è riuscito ad evitare le sanzioni secondarie, ribadire ancora una volta alla propria opinione pubblica che grazie alla sua politica la Russia è tornata “alla pari degli Usa” nello scenario internazionale dopo gli anni Novanta, contraddistinti della umiliazione della “sconfitta” dell’Urss, e dopo l’isolamento occidentale con l’aggressione contro l’Ucraina.
In sostanza, il Cremlino può ritenersi molto soddisfatto perché ha mantenuto le proprie posizioni sulla necessità di risolvere le “ragioni di fondo” del conflitto, non ha ceduto su alcun punto, ma ha guadagnato altro tempo per capitalizzare il successo militare delle truppe russe che si stanno ormai avvicinando al Dnipro.
Al contrario, sul piano politico-diplomatico e considerando le dichiarazioni sul “cessate il fuoco”, antecedenti il summit, chi aveva più probabilità di uscirne sconfitto era Trump
Tuttavia, l’umorale presidente americano ha “glissato” la questione, affermando che il “meeting è andato molto bene” e rilanciando la palla nel campo del presidente ucraino.
Trump ha, infatti, ricordato a Volodymyr Zelensky che «la Russia è davvero una grande potenza», mentre Kyiv non lo è e, di conseguenza, ha sollecitato il governo ucraino a «fare un accordo» per arrivare alla tregua, svincolandosi da un coinvolgimento più diretto in un eventuale meeting a tre teste presidenziali, ma ponendosi come garante che l’incontro tra Putin e Zelensky abbia effettivamente luogo.
Anche Trump può permettersi di temporeggiare sulla mancata risoluzione del conflitto, perché le prossime elezioni di mid term del Congresso nel 2026 sono ancora relativamente lontane, proseguendo nella sua strategia di dialogo con l’avversario storico nella speranza che questa situazione possa anche avere ricadute (decisamente illusorie) sul rapporto Putin e Xi Jinping.
Il summit in Alaska è l’ulteriore conferma che chi sta effettivamente perdendo sul piano politico e militare è non solo il presidente Zelensky, ma l’Unione Europea verso la quale esplicitamente Putin e implicitamente Trump hanno fatto chiaramente capire che non vogliono “interferenze” in questo processo e devono sottostare alle decisioni delle superpotenze.
(da Editorialedomani)
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