TUTTI VOGLIONO ESSERE “ITALIANS”: CORSA AL DOPPIO PASSAPORTO
DECINE DI INGLESI ORIGINARI DELL’ITALIA HANNO FATTA DOMANDA: “QUESTA SOCIETA’ HA PERSO I SUOI VALORI, CHE BELLE LE VOSTRE FAMIGLIE”
«Sono prima di tutto un italiano, il sangue che scorre nelle mie vene è italiano. Poi sono europeo».
Pasqualino Risi è nato in Gran Bretagna ma è figlio di immigranti italiani arrivati da San Vittore del Lazio dopo la guerra.
È uno dei circa settanta britannici che, delusi dalla Brexit, si sono rivolti ai consolati italiani per richiedere il passaporto del nostro Paese.
Alcuni di loro hanno radici italiane forti, altri meno; alcuni hanno viaggiato in Italia e parlano un po’ la lingua; altri no.
Per tutti un passaporto italiano è una porta verso quell’Europa da cui si sentono esclusi contro la loro volontà .
PASQUALINO «PACKA» RISI
Cinquantacinque anni, dirigente di una struttura sanitaria pubblica, Pasqualino vive a North Luffenham, piccolo villaggio nelle Midlands dove lo zio è stato prigioniero di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo il conflitto, i genitori, Pietro e Margherita, si sono stabiliti lì con tre figli; altri tre, tra cui Pasqualino, sono nati in Gran Bretagna.
«Per me l’Italia viene sempre prima di tutto: Olimpiadi, rugby, calcio, sono un patriota», dice Pasqualino.
«Ma il problema è che il patriottismo dei britannici ha preso il sopravvento sui benefici dell’Europa. Loro sono un’isola, non si considerano parte dell’Europa».
E, aggiunge, il valore della solidarietà si è perso: «Questa è la cosa triste, è diventata una società dove si guarda solo a se stessi».
L’ospedale in cui lavora, racconta, chiuderebbe se non ci fossero gli immigrati dall’Est europeo. Pasqualino, sposato con una francese, si sentirà sempre europeo. «Non siamo tutti come Nigel Farage – dice -. S’immagina cosa sarebbe l’Europa se le persone restassero nei loro confini nazionali?».
DAVID SANTORO
David Santoro è di Birmingham ma va ogni anno a Mira, un villaggio vicino a Venezia: e da lì che suo papà Maurizio si è trasferito negli anni Sessanta per stare insieme alla donna, Susan, che amava e con cui ha costruito una famiglia.
David, 29 anni, funzionario all’Università di Birmingham, vuole mantenere un legame con l’Europa.
Si sente britannico ma anche europeo. «Ho sempre e solo conosciuto una Gran Bretagna all’interno dell’Unione europea, lavoro in un ambiente in cui vedo i benefici di una società multiculturale. La Brexit è stata uno choc. Mi ha spinto a fare questo passo che avrei dovuto fare prima».
Dell’Italia ama soprattutto la passione per la famiglia: «I miei parenti in Italia vivono tutti vicini, quest’idea di comunità è una cosa bellissima», dice.
Teme il clima d’incertezza generato dalla Brexit, non solo nel mondo dell’accademia. Sua moglie, che è inglese ma ha origini irlandesi, potrebbe cercare un secondo passaporto.
KEVIN MUNDY
Kevin Mundy vive a Bristol, ma è stato educato come un italiano in un piccolo villaggio del Somerset, Wells, da sua mamma Olga, per trent’anni assistente di reparto in un ospedale locale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Wells, diecimila anime, ospitava un campo di prigionia; dopo il conflitto, alcuni italiani sono rimasti, lavorando nei campi e integrandosi con la comunità locale, altri sono arrivati più tardi, magari per raggiungere la famiglia. Come il caso di Olga, arrivata da Trivento, vicino Campobasso.
«Abbiamo sempre festeggiato Natale e Pasqua con i miei parenti italiani. Devo aver avuto almeno quattordici anni quando ho celebrato il mio primo Natale inglese», racconta Kevin, assistente sociale di 34 anni.
Sulla collina c’era perfino una statua di Romolo e Remo. Kevin ha votato convintamente contro la Brexit, non solo per i rischi all’economia ma per la sua identità di europeo: «È stata una decisione del cuore», dice.
Alessandra Rizzo
(da “La Stampa”)
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