UCCISE LA FIDANZATA, E’ GIA’ AI DOMICILIARI, GLI AMICI PROTESTANO
DOLORE E RABBIA, E’ USCITO DOPO APPENA DUE MESI CARCERE
Ci sono due comunità friulane legate dalla stessa tragedia eppure adesso molto più distanti dei cinquanta chilometri che li dividono.
Dignano è il paese di Nadia Orlando, la ventunenne uccisa dal fidanzato la sera del 31 luglio. A Muzzana è invece cresciuto Francesco Mazzega, 36 anni, che si era invaghito di quella collega di quindici anni più giovane, e che dopo averle tolto la vita ha vagato in auto per tutta la notte con il corpo nel sedile accanto.
Un delitto orribile, a cui i magistrati stanno ancora provando a dare un senso.
Intanto, altri giudici, hanno deciso che l’assassino, che all’alba di quella notte terribile si era presentato in una caserma della Polizia, poteva attendere il processo da casa, arresti domiciliari con l’obbligo del braccialetto. È uscito a fine settembre, neppure due mesi di carcere, e sarebbero stati anche meno se il dispositivo elettronico fosse stato subito disponibile.
Gli amici di Nadia
«È assurdo che chi si è macchiato di un tale crimine possa stare sul divano a guardare la tv. Chi ha commesso un reato grave come un femminicidio non dovrebbe avere questi privilegi». Matteo Carnelos era uno degli amici di Nadia.
Lui e gli altri ragazzi della comitiva hanno deciso di reagire, così hanno iniziato a raccogliere le firme per due petizioni, una per chiedere ai parlamentari di rivedere la legge e l’altra rivolta alla Regione Friuli Venezia Giulia affinchè si costituisca parte civile nel processo.
Hanno girato piazze e sagre, e convinto una quindicina di Comuni e la Provincia a ospitare la raccolta nei loro uffici. «Abbiamo già 13 mila firme per la petizione alle Camere, 11 mila per quella alla Regione» dice Matteo.
E su Change.org un altro gruppo ha lanciato una campagna online, sessanta mila adesioni in pochi giorni. Sul portone del municipio di Dignano è stato appeso un fiocco rosso, davanti al centro polifunzionale della frazione di Vidulis, dove Nadia collaborava in mille progetti, è sorto un altarino con messaggi, foto e ricordi.
Il Paese dell’assassino
A Muzzana invece non ci sono segni esteriori che ricordano il delitto. Ma tutti sanno cosa ha combinato Francesco e dov’è adesso. È un piccolo comune contadino, la gente parla poco ma quando lo fa è una sentenza.
«A là mià’r preà per un fì muort, che soportà il dolor di un fì c’al ha capat», (meglio piangere un figlio morto che averne uno che ha ucciso) sussurrano.
Il padre, ex dipendente comunale, impegnato in parrocchia, e la madre, escono sempre più di rado. Contatti limitati, il sindaco, il parroco e pochi altri.
«Francesco ha fatto una cosa orribile e ne sta prendendo pienamente coscienza. È dilaniato e non vuole sottrarsi a pagare per quanto ha fatto – assicura don Cristiano Samuele –. Ma questo è anche il momento del rispetto e del silenzio. Tutti devono comprendere quanto è complicato conciliare verità , giustizia, pietà e perdono».
I due sindaci
Cristian Sedran è il sindaco di Muzzaga ed è consapevole che il suo non è un ruolo semplice. «Come amministratore credo di avere il dovere di non alimentare nuovi conflitti. Anch’io dico che probabilmente la legge è sbagliata, ma visto che adesso è così, dobbiamo sforzarci di trovare un punto di equilibrio». Riccardo Zuccolo è invece il primo cittadino di Dignano.
«La nostra gente è distrutta – afferma – , è stata aggiunta nuova sofferenza a un dolore già immane». Quando ha saputo della concessione degli arresti domiciliari a Francesco Mazzega, ha scritto al presidente della Repubblica Mattarella e ora è intenzionato a inserire anche nello statuto comunale l’impegno contro la violenza sulle donne. Due comunità unite da un delitto tremendo, e dalla consapevolezza di non rassegnarsi.
Eppure, in questo momento, così lontane.
(da “il Corriere della Sera”)
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