“UFFICI CHIUSI E SCARICA BARILE”: LA PAITA INDAGATA, ECCO LE NUOVE VERITA’ DAI TELEFONI
I PM: “QUELLA SERA CI FU UN BUCO FATALE, LO DICONO I TABULATI”
Perchè Genova, tre anni dopo il disastro del Fereggiano, è stata travolta da un altro fiume di fango?
Soprattutto: quando sono stati commessi, gli errori determinanti?
E quali riscontri hanno trovato i pm, nell’inchiesta condotta fino a ieri?
Solo rispondendo a queste domande si può trovare la spiegazione alla svolta giudiziaria impressa con l’avviso di garanzia a Raffaella Paita.
Per orientarsi serve una premessa.
Il protocollo di sicurezza in caso di criticità prevede tre attori fondamentali: il centro meteo di Arpal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), che elabora e aggiorna le previsioni; la Protezione civile regionale, che sulla base di quelle indicazioni decide se diramare l’allerta; la Protezione civile comunale, che in presenza di pericolo «ufficiale» stabilisce quali provvedimenti adottare, dalla chiusura delle strade agli sgomberi.
Le previsioni sbagliate
La piena fatale del Bisagno avviene alle 23,15 del 9 ottobre 2014.
E il primo dato certo fissato dai pubblici ministeri Paola Ciccarese e Gabriella Dotto, è che le previsioni del tempo sono sclerotiche per ore, incanalandosi solo dopo le 22 verso lo scenario peggiore.
Alle 13, per esempio, si danno le piogge «verso levante, con piena del Bisagno in attenuazione».
Alle 14,55 Arpal parla di «torrenti decrescenti» e alle 18 un bollettino determinante: l’agenzia descrive un «graduale indebolimento» e la Protezione civile della Regione sbaracca.
Raffaella Paita (assessore con delega specifica) a quell’ora chiede un report ai suoi e le viene risposto in modo lapidario: «Tutto sotto controllo, vada pure a casa».
Arpal sbaglia quindi le previsioni, la Protezione civile regionale non dirama alcuna allerta, il referente politico viene rassicurato.
E il Comune, titolato ad agire materialmente in città ? Confortato da questi resoconti pubblica un tweet alle 18,50, con cui annuncia la disattivazione d’un numero verde.
E invece è proprio da lì che inizia l’escalation.
Il temporale non si allontana, anzi. Torna su Genova, dalle 20,30 si trasforma in nubifragio e Arpal cerca di metterci una pezza. Ore 22,20, la comunicazione che ribalta tutto: «Dopo indebolimento, perturbazione riprende forte vigore: a rischio Polcevera, Bisagno, Trebbia e Scrivia».
«Si poteva intervenire»
Eccoci al momento clou, per come l’hanno circoscritto gli inquirenti.
Secondo la Procura c’era comunque il tempo per intervenire. E la dichiarazione d’allerta, ancorchè a un ‘ora dalla piena fatale, avrebbe consentito dal Comune di attivare misure minime, ma sufficienti a impedire la morte di Antonio Campanella e almeno parte del disastro.
Il problema fondamentale, lo rivela lo screening delle telefonate compiuto dagli investigatori, è che la Protezione civile è sguarnita, quando i meteorologi dicono che la situazione sta precipitando.
Il funzionario Stefano Vergante non è alla centrale operativa, ma nella sua casa del quartiere Molassana in Valbisagno, e non riesce a muoversi causa maltempo.
Telefona a Raffaella Paita – questo certifica agli occhi di chi indaga il suo filo diretto con la Protezione civile stessa – per dirle che il quadro è cambiato, informa altri superiori pure a livello nazionale.
Ma viene diramata l’allerta? No. O meglio: c’è una telefonata «informale» fra Elisabetta Trovatore (meteorologa Arpal) e Monica Bocchiardo, responsabile Protezione civile del Comune, che aspetta un input per agire.
Troppe contraddizioni
La prima dice alla seconda, in modo generico, che «peggiora tutto». E però non può dare l’allerta poichè Arpal, ricordiamolo ancora, è cosa diversa dalla testa della Protezione civile, che può certificare formalmente l’emergenza.
È l’impasse finale: niente allerta – solo telefonate confuse – niente semaforo verde all’amministrazione comunale per chiudere le strade.
E Il Bisagno alle 23,15 esonda, seminando (di nuovo) morte.
Alle 23,25 scatta la chiamata ufficiale della Regione al Comune, mentre Raffaella Paita giunge a Genova da Albenga che lo scempio s’è compiuto.
Nelle settimane successive Vergante, e con lui la Protezione civile regionale, prova a giocare sui tempi, dice di aver preparato al peggio il Comune già dalle 22.
Ma l’incrocio dei tabulati racconta, a parere di chi indaga, un’altra storia.
Fino agli avvisi di garanzia.
Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
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