UN DISASTRO PER LA MAY: TORY SENZA MAGGIORANZA
CORBYN AVANZA E CHIEDE UN PASSO INDIETRO DELLA PREMIER CONSERVATRICE
Un autogoal, un disastro, una scommessa persa. Cambiano le parole, ma il giudizio dei principali media britannici sul risultato ottenuto da Theresa May alle elezioni da lei stessa indette nella convinzione di stravincere sono impietosi.
I risultati dei vari collegi non smentiscono lo “shock” dell’exit poll, che fin da subito aveva prefigurato lo scenario di un Hung Parliament (un Parlamento appeso), con i Tory incapaci di conquistare la maggioranza assoluta.
Una batosta tale da mettere in dubbio il futuro stesso della prime minister, che ora dovrà fare i conti con le critiche dentro e fuori il suo stesso partito.
I seggi assegnati finora sono 649 su 650. Di questi 318 vanno ai Tory, 261 al Labour, 35 allo Scottish Nattional Party, 12 ai Liberaldemocratici, 10 al Democratic Unionist party, 7 al Sinn Fein, Plaid Cymru se ne aggiudica 3 e il Green Party 1.
Per la prima volta dal 1974, un Parlamento appeso, uno scenario che equivale a un disastro per la premier, che appena un mese fa era data in vantaggio di 20 punti nei sondaggi e aveva deciso di indire le elezioni nella convinzione di rafforzare la sua maggioranza in vista dei negoziati sulla Brexit.
Cominciano a passare di mano alcuni collegi di spicco. Una giovane candidata di origine latino-americana, Maria De Cordova, sconfigge a Londra la deputata uscente Jane Ellison, viceministra del governo Tory di Theresa May.
Scalzata dal suo collegio anche Anna Soubry, già componente del governo di David Cameron ed esponente di primo piano del drappello pro-Ue e anti-Brexit nel partito conservatore.
Successo a sorpresa laburista pure nel collegio detenuto dall’ex leader LibDem ed ex vicepremier, Nick Clegg.
Al di là dei numeri, il vento soffia a favore del Labour.
Il primo a rompere il silenzio è il leader laburista Jeremy Corbyn, che a prescindere dai numeri esulta: “Abbiamo cambiato il volto della politica britannica, grazie per aver creduto in un cambiamento reale per il nostro Paese”. Quando l’esito inizia a delinearsi con chiarezza, Corbyn rincara la dose e chiede un passo indietro alla leader conservatrice.
“Se c’è un messaggio da questi risultati, è che la premier ha indetto questa elezione perchè voleva un mandato. Bene, il mandato è che ha perso seggi, perso voti, perso sostegno e perso fiducia”, dichiara Corbyn. Penserei che sia abbastanza per andarsene e per aprire la via a un governo che sia davvero rappresentativo di tutto il popolo di questo Paese”, afferma ancora il laburista.
Gli occhi sono puntati sullo “swing” in collegi dove l’Ukip aveva avuto in passato buoni risultati. Per ora sembra che i voti dell’Ukip si stiano dividendo equamente tra conservatori e laburisti.
I Tory hanno puntato molto sulla Brexit durante la campagna elettorale e in molti si aspettavano che chi aveva votato per Brexit e Ukip in passato avrebbe sostenuto candidati conservatori. Ma le cose non sembrano essere andate così.
“No ad accordi o coalizioni”: è quanto affermano fonti dei Libdem citate da Sky News dopo che sono usciti gli exit poll che danno il partito di Tim Farron a 14 seggi, con la possibilità che possa diventare determinante nel formare una coalizione di governo. Ma al momento i Libdem si rifiutano di ripetere l’esperienza fallimentare del 2010, quando si allearono coi Conservatori di David Cameron.
Dalle file del partito conservatore della premier May si alzano richieste, seppure non esplicite, di sue dimissioni, dopo che il partito secondo le proiezioni perde la maggioranza in Parlamento.
La deputata Anna Soubry, parlando a Bbc, è stata la prima a esprimere l’invito a May affermando che “debba considerare la propria posizione”. “È stata una campagna spaventosa”, ha aggiunto, e quando le è stato domandato che cosa intendesse ha detto di credere che “è stata su di lei e su che cosa voleva fare, e di certo lei ha messo il suo marchio sul questa campagna”.
May, tuttavia, non sembra intenzionata a lasciare. Citando fonti del partito conservatore, SkyNews riferisce che la premier non starebbe pensando a un passo indietro.
Jeremy Corbyn, viceversa, ha motivo di esultare, per essere stato capace di condurre a 68 anni una campagna frizzante, con una versione rinnovata del suo programma da vecchio socialista, tornando a far guadagnare seggi al suo partito per la prima volta dal 1997, anno della prima vittoria elettorale di Tony Blair. Un vero miracolo, per un uomo spesso sottovalutato, talora irriso e in genere osteggiato dall’establishment, non esclusa una parte della nomenklatura laburista. Ma capace, a dispetto di tutto, di risvegliare entusiasmi sopiti, fra i giovani e i meno fortunati. Entusiasmi che dalle piazze questa volta paiono essersi riversati anche nelle urne.
(da agenzie)
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