UNA PENOSA ARRAMPICATA SUGLI SPECCHI: SUL CASO ALMASRI, IL GOVERNO PROVA A DIFENDERE L’INDIFENDIBILE
IL GOVERNO PROVA A DIFENDERE L’INDIFENDIBILE
DOPO 77 GIORNI, SOLO ALLA VIGILIA DELLA SCADENZA DEI TERMINI, PALAZZO CHIGI HA INVIATO ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE LA SUA MEMORIA DIFENSIVA PER SPIEGARE LA CLAMOROSA RICONSEGNA IN PATRIA DEL TORTURATORE LIBICO … IL FASCICOLO È FITTO DI RIFERIMENTI ALLE “PREROGATIVE” DEL MINISTERO DELLA DIFESA, ALLE “ANOMALIE” E AGLI “ERRORI” CHE SAREBBERO CONTENUTI NEL MANDATO D’ARRESTO – ORA L’ITALIA RISCHIA IL DEFERIMENTO AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU
Ci sono voluti 77 giorni per ragionare sulla difesa, pesare le parole, consegnare quell’atto. Dal 18 febbraio, giorno in cui è arrivato l’“avviso” del procedimento della Corte Penale internazionale sulla clamorosa ri-consegna in patria di Njiiem Almasri, il governo italiano non era pronto il 17 marzo. Non ci è riuscito neanche il 22 aprile.
Ma alla terza proroga – a poche ore dal termine ultimo, che scadeva oggi – l’Italia deve fare il suo dovere. E ieri, come fa sapere Palazzo Chigi, trasmette alla Corte la memoria che dovrebbe servire a scongiurare il deferimento dell’Italia all’Assemblea degli Stati che aderiscono alla Cpi, o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Così entra nel vivo l’inchiesta dell’Aja a carico di Roma per la clamorosa vicenda del torturatore libico, catturato in Italia su mandato d’arresto internazionale, e subito riportato a casa. Il generale Almasri, com’è noto, era stato bloccato dalla polizia a Torino il 19 gennaio, poi scarcerato dalla Corte di
Appello di Roma – per questioni procedurali legate alla negata interlocuzione del Guardasigilli – e infine rimpatriato, due giorni dopo, grazie a un volo di Stato. Il Falcon decolla da Roma, per riportarlo direttamente a Tripoli, ben prima della decisione dei giudici. E soprattutto: a dispetto di quanto disponga la Corte, non gli saranno toccati dispositivi, né altro materiale. Perché? Domande che, peraltro, sono anche alla base dell’inchiesta interna, che vede indagati, dinanzi al Tribunale dei ministri, la premier Meloni, e i ministri Nordio e Piantedosi, con il sottosegretario Mantovano.
Perché quel rimpatrio? Perché il mancato sequestro? Sono le risposte a cui la memoria, consegnata ieri, deve provare a rispondere. Il fascicolo sarebbe fitto di riferimenti alle «prerogative» del ministero, alla «correttezza» del governo, che non avrebbe potuto fare altro che prendere tempo rispetto a iniziali «anomalie » ed «errori» contenuti nel mandato d’arresto. Ecco, in sintesi, la tesi di Roma.
La ricostruzione non si discosterebbe dalle argomentazioni portate da Nordio nell’informativa al Parlamento: quando rivendicò la sua «discrezionalità», contrariamente a quanto sostenuto dai giuristi in base alla legge 237 del 2012, per la quale Roma era tenuta a cooperare: e quindi a consegnare il torturatore Almasri alla Cpi.
(da La Repubblica)
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