UNA TALPA VICINO A FALCONE AVVISO’ IN TEMPO VITO CIANCIMINO DEL SEQUESTRO DEI BENI: “COSI’ PORTAMMO I SOLDI IN SVIZZERA”
IL FIGLIO DELL’EX SINDACO DI PALERMO SVELA AI MAGISTRATI CHE NEL 1984 IL “SIGNOR FRANCO”, IL TRAMITE TRA STATO E MAFIA, AVVERTI’ PER TEMPO IL PADRE DELLE DICHIARAZIONI DI BUSCETTA… LE INDAGINI AVREBBERO PORTATO PRESTO AL SEQUESTRO DEI BENI: COSI’ CIANCIMINO EBBE IL TEMPO DI VENDERE E CONSERVARE ALL’ESTERO UNA PARTE DEL PATRIMONIO
Il personaggio chiave della trattativa fra Stato e mafia continua ad avere solo un soprannome, “il signor Franco”: Massimo Ciancimino ha detto ai magistrati di Palermo di non conoscere la sua vera identità , però nelle ultime settimane ha messo a verbale tutte le volte che il misterioso personaggio avrebbe anticipato al padre notizie riservate sulle indagini in corso.
La rivelazione più eclatante sarebbe stata nell’estate 1984, mentre il giudice istruttore Giovanni Falcone raccoglieva ancora in gran segreto le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.
Una talpa tradì Falcone.
Racconta Massimo Ciancimino che il padre seppe quasi in diretta che il primo grande pentito di mafia stava facendo il suo nome.
“Venne il conte Romolo Vaselli ad avvertirci – ha ricordato Ciancimino junior ai pm Di Matteo, Guido e Ingroia – ma mio padre sapeva già , grazie al signor Franco”.
E partirono subito le contromisure di Vito Ciancimino per salvare una parte del suo patrimonio.
“Mio padre simulò la vendita della Etna costruzioni a Vaselli – così prosegue il racconto di Massimo Ciancimino – due miliardi e quattrocento milioni delle vecchie lire che si trovavano in alcuni libretti al portatore gestiti dallo stesso Vaselli furono svincolati e messi al sicuro in Svizzera”.
I magistrati hanno chiesto riscontri al racconto.
Ciancimino ha dato una pista d’indagine: “Andate a controllare nel registro dell’hotel Billia a Saint Vincent. Ci restammo quasi un mese in quell’estate 1984. Con la scusa di dover fare delle cure particolari in Svizzera, due volte alla settimana attraversavamo il confine. E i soldi viaggiavano assieme a noi”.
Il supertestimone della Procura ha invitato i magistrati a guardare anche nelle carte di Falcone.
Il giudice aveva capito.
Appena otto giorni prima del sequestro dei beni per Ciancimino (firmato l’8 ottobre 1984) le quote della Etna costruzioni erano state trasferite a Vaselli. Falcone fece di tutto per ripercorrere a ritroso la strada fatta dai due miliardi. Il giudice interrogò anche il conte Romolo Vaselli, che all’inizio provò a sostenere “l’effettività ” di quella cessione del pacchetto azionario, poi ammise che già il primo settembre Ciancimino gli aveva chiesto la “cortesia” di intestarsi fittiziamente il capitale della società : “Mi riferì che erano possibili indagini patrimoniali su uomini politici e che, pertanto, aveva la necessità di disfarsi della titolarità di tali azioni, gestite fiduciariamente dalla Figeroma”.
I soldi erano ormai al sicuro in una banca Svizzera.
Falcone non scoprì mai chi l’aveva tradito.
Vito Ciancimino finì invece in manette, il 3 novembre 1984.
Per i magistrati di Palermo, l’ultimo racconto di Massimo Ciancimino è un altro tassello per cercare di dare un volto e un nome al misterioso “signor Franco”.
Il suo numero di cellulare, un 337, svelato ai magistrati dal figlio dell’ex sindaco, è risultato alla Tim come “inesistente”.
Davvero strano, perchè i dieci numeri prima e dopo sono invece in funzione. Quel numero inesistente sa tanto di utenza riservata.
Salvo Palazzolo
(da “la Repubblica“)
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