VELASCO E L’ORO RITROVATO 28 ANNI DOPO ATLANTA
LA SVOLTA A MAGGIO IN NATIONS LEAGUE CONTRO LA TURCHIA QUANDO SOTTO DI UN SET JULIO URLA: “SE AVETE PAURA DI LORO, ANDIAMO A CASA, SENZA PERDERE TEMPO”. VINCEMMO 3-1 E INIZIO’ IL CICLO CHE HA TRAVOLTO TUTTE
I sogni sanno essere molto pazienti. Quel giorno di 28 anni fa, ad Atlanta, c’erano Velasco e Bernardi, mentre l’Olanda festeggiava l’oro olimpico del volley maschile e l’Italia della generazione di fenomeni guardava la festa degli altri. Per quelli che amano la pallavolo la finale di Parigi è stata la partita della vita, del cuore e del destino. La gara di tutte e di tutti, giocata in campo da una squadra magnifica. L’oro di Parigi è il lieto fine di quel sogno, perduto nell’afa di un’olimpiade americana, con la Nazionale maschile, che si realizza, poi, con la Nazionale femminile, perché nessuno sport come il volley sa unire e chiudere così i cinque cerchi
C’era una volta Julio Velasco e c’è ancora, quello che appena un anno fa aveva deciso di tornare ad allenare, dopo aver detto che voleva solo fare il nonno, in panchina a 72 anni, alla faccia delle crisi senili, abbracciando una squadra da risollevare della A femminile, Busto Arsizio. Felice di quel gruppo, perché la sua grande capacità è quella di sapersi gustare ogni avventura.
A pochi mesi dal suo ritorno, quando aveva già preso casa a Busto, arriva il tracollo azzurro di Mazzanti — le liti con Egonu, l’epurazione di Bosetti e De Gennaro, la mancata qualificazione olimpica a ottobre 2023 — che porta la federazione all’esonero del ct. Ma la panchina resta vuota per un po’.
Non tutti pensano che Velasco sia adatto, anche se ora, che ha proprio vinto tutto, sembra impensabile. Ci sono dubbi e candidati apparentemente più brillanti, qualcuno invoca Bernardinho, mago brasiliano. Poi, a fine novembre, la scelta. Julio in poche settimane costruisce uno staff pazzesco, con Bernardi e Barbolini, e rimette la squadra al centro del villaggio. Lo fa, con il suo stile di sempre, convincendo le giocatrici in un modo semplice: facendole migliorare.
Niente è più seduttivo per un atleta che allenarsi, e faticare faticare e faticare ancora, scoprendo però di imparare ogni giorno qualcosa in più. Velasco ha parlato con Egonu ma nemmeno troppo: le ha detto tu sei l’opposta titolare se giochi al tuo livello, sennò c’è Antropova. A Sylla ha rinforzato la ricezione, a Orro il gioco al centro, ha richiamato Bosetti e De Gennaro, ha dovuto rinunciare, senza dirlo mai, a Pietrini, Degradi e Bonifacio che si sono fatte male prima di Parigi.
Ma la consapevolezza sfrontata della finale, 3-0 agli Usa, senza soffrire quasi mai, conquistando l’oro con un solo set perso in tutta l’Olimpiade, è maturata in pochi mesi, partendo da una gara di Nations League, il 18 maggio, quando la Nazionale, senza molte titolari, batte la Turchia, campione d’Europa, dopo aver perso il primo set. Sotto anche nel secondo, Velasco chiama time out e urla: «Se avete paura di loro, andiamo a casa, senza perdere tempo. O cominciate a schiacciare forte o sennò, se buttate delle pallette di là, ci arrendiamo e basta».
L’Italia non si arrende, ovviamente, e la ribalta, vincendo 3-1. È la gara della svolta, che apre la strada di Parigi. Fine dei discorsi sulla psicologia delicata delle ragazze, perché il problema semmai è che «le ragazze sono più autocritiche e si responsabilizzano troppo», come spiega Velasco.
(da La Repubblica)
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