VIGEVANO, “MIO FIGLIO 15ENNE ROVINATO DAI BULLI E ORA DICONO CHE E’ COLPA MIA”
LA MAMMA DELLA VITTIMA: “NON STUDIA PIU’, LE SCUOLE LO RIFIUTANO”… LE FOTO DELLE SEVIZIE GIRAVANO NELLE CHAT DI MOLTI ADULTI… LA LURIDA FOGNA DELLE “PERSONE PERBENE”
Alle violenze dei piccoli, sono seguite quelle dei grandi.
«In paese ripetono che è colpa mia, che sono incapace d’essere un genitore, a loro non sarebbe successo, hanno figli forti e vincenti che non si fanno sottomettere, figurarsi diventare vittime dei bulli. Lo so d’avere delle colpe: non mi sono accorta in tempo e questo non mi dà pace, non ci dormo. Uno che cresce nei minuscoli luoghi di provincia impara presto le dinamiche: nel bene ma spesso nel male, con la caccia morbosa alle streghe, l’isolamento, l’accanimento contro chi non è potente e non dev’essere rispettato. Mio figlio me l’hanno rovinato. Lo rifiutano perfino le scuole». Il Corriere ha incontrato la mamma del quindicenne prigioniero di una banda di coetanei che per settimane l’avevano picchiato, trascinato con una catena al collo, tenuto a testa in giù sospeso in riva a un canale e stuprato.
A marzo, quattro arresti dei carabinieri di Vigevano. Le persecuzioni erano avvenute in una frazione ai margini della città .
Gli abusi via chat
I balordi, che si divertivano poi a sfasciare i treni dei pendolari, appartengono a famiglie che si usa definire perbene.
«Conosco le madri, i padri. Ci incrociamo in strada eppure non hanno mai chiesto scusa». Non è stato facile parlare con questa donna. Non s’è negata: è che fa due lavori, in una cooperativa di pulizie e come cameriera, e di tempo ne avanza poco. «Mio marito, camionista, sta spesso fuori casa e anch’io, il nostro ragazzo, figlio unico, forse l’ho trascurato… Ma ho un doppio impiego per necessità e non per divertimento. All’epoca, all’inizio delle violenze, mi avevano chiamato da scuola per segnalare vagamente che litigava di continuo. Strano, mi dissi: un tipo bonaccione che tra elementari e medie non aveva dato il minimo dei pensieri. Ovvio che ho sottovalutato e che quei fatti lasciavano degli indizi».
Per andare alla fermata del bus che l’avrebbe portato a scuola, il quindicenne usciva con largo anticipo.
Avanzava tra le case a rilento, guardingo, con l’obiettivo di individuare da lontano gli aguzzini e provare a nascondersi.
«La fotografia di lui… violentato… è girata su tanti telefonini, anche di adulti, sulle chat, ma nessuno ha ritenuto opportuno informarmi. Forse ci avranno riso. Quando ho visto le immagini, ho denunciato. Sono stati bravi i carabinieri e continuano a esserlo: nei giri di pattuglia, danno un’occhiata nel caso incrocino mio figlio per assicurarsi che non succeda qualcosa di brutto».
Silenzi e rifiuti
Restano rari, gli avvistamenti. «Ormai si è chiuso in casa… Un mese dopo gli arresti, avevo insistito per farlo tornare in classe. Un altro errore: lo prendevano in giro, continui accenni allo stupro, decine di frasi volgari, di insulti, l’avevano eletto a zimbello e bersaglio. Dov’erano i professori? Ha frequentato il primo anno di istituto tecnico, quest’estate ci abbiamo riflettuto e abbiamo deciso di andarcene e provare con l’alberghiero. Alla preside ho esposto il caso di mio figlio, lei ha confidato che in classe avrebbe trovato compagni problematici e ha consigliato di non iscriverlo nemmeno. Allora mi sono messa alla ricerca di un’altra scuola, ne ho trovata una ma non lo convinceva e infatti l’ha mollata immediatamente. È aggressivo, non ascolta nè me nè mio marito, alza la voce. Si è chiuso in se stesso e certi giorni ho il timore, il terrore, forse la convinzione, di averlo perduto».
La «sentenza»
L’operazione contro il branco era stata condotta dall’allora comandante di Vigevano, Rocco Papaleo, oggi comandante provinciale di Cremona.
Papaleo aveva dipinto il quadro d’una famiglia umile, che fatica, non avvezza alle lamentele e alle esagerazioni. «Ogni tanto mi incespico pure sulle parole e sul buon italiano, non sono nata per parlare… Non ho idea di cosa sia la vendetta, in verità fatico anche ad augurarmi che la giustizia faccia il suo corso… Perchè, vede, tanto in paese i responsabili di questa storia siamo mio figlio e io, hanno emesso una sentenza, forse pago il fatto di aver denunciato, secondo molti di aver addirittura tradito la comunità ».
Il Tribunale dei minori di Milano sulla base di prove schiaccianti aveva motivato gli arresti con l’accusa di concorso in violenza sessuale, riduzione in schiavitù, stato di incapacità procurato mediante violenza.
Roberto Grittini è il difensore del quindicenne: «I loro legali non si sono neanche fatti avanti per offrire un risarcimento. Un risarcimento minimo, un risarcimento morale, beninteso, un tentativo… Zero. Come se non esistessimo. Anzi, per quelle famiglie è come se non fosse mai esistito proprio nulla».
(da “Il Corriere della Sera”)
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