VIOLENZA SULLE DONNE: MANCA LA SVOLTA CULTURALE E IL SOSTEGNO ECONOMICO
IL PARLAMENTO SPAGNOLO ALL’UNANIMITA’ HA STANZIATO 1 MILIARDO PER L’ASSISTENZA ALLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA, L’ITALIA 12 MILIONI: SERVONO FATTI CONCRETI, NON PAROLE
Ci siamo, è la settimana della violenza contro le donne, si avvicina una ricorrenza che non dovrebbe esistere: il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E come ogni anno la celebrazione contempla una quantità industriale di seminari, convegni, appelli, spettacoli teatrali, mostre, organizzati per denunciare la violenza e promuovere la cultura della parità di genere.
Si tratta sicuramente di iniziative di sensibilizzazione preziose, che hanno aumentato la consapevolezza di molte donne, spinte più di prima a denunciare e ed entrare in contatto con le istituzioni e i servizi dedicati.
Si è anche consolidata la consapevolezza che alla radice del fenomeno c’è un problema culturale. Un enorme problema culturale, che si chiama patriarcato, grande e pesante come un macigno.
La sensazione è che il problema di ordine culturale sia però diventato un alibi per non fare niente. Niente di incisivo.
Un mantra, usato dal mondo della politica e delle istituzioni, che ripetuto all’infinito rischia di non voler dire nulla. Fa dotto e non impegna.
Quante volte leggiamo in dichiarazioni cazzute che è necessaria una svolta culturale? Certo che lo è. Ma non basta il titolo, servono le risposte, le soluzioni, le azioni, perchè ci sia il cambiamento culturale.
Ci vogliono le risorse, i soldi, per combattere un fenomeno di dimensioni oscene, ormai strutturale.
Da questo si misura la reale volontà di un paese nel contrasto alla violenza.
Chi fa sul serio lo sa.
Lo sa la Spagna, dove nel 2017 tutti i partiti hanno firmato un accordo per contrastare questo fenomeno che prevedeva lo stanziamento di un miliardo di euro e molto altro.
In Italia che cosa hanno fatto finora i vari governi? Cosa fa di concreto oggi il governo? Una buona notizia è quella annunciata oggi dal ministro Gualtieri, riguardo il decreto atteso da anni che sblocca i fondi, 12 milioni, per gli orfani di femminicidio. Ma non basta.
Ci piacerebbe che tra una lite e l’altra sulla legge di stabilità si decidesse anche lo stanziamento adeguato per contrastare la violenza contro le donne. Questa si che sarebbe una svolta.
Invece gli esigui fondi pubblici del 2019 per i Centri antiviolenza non sono ancora stati ripartiti tra le Regioni. Parliamo di un ritardo di 10 mesi, a cui si sommeranno almeno altri 8 o 9 mesi per la procedura di effettiva assegnazione da parte delle Regioni.
E’ una situazione vergognosa, intollerabile se associata ai soli 12 milioni di euro stanziati per i Centri antiviolenza nel 2017, che si traducono in 76 centesimi, meno di un euro al giorno per ogni donna vittima di violenza, se divisi per il numero di donne accolte e sostenute nei percorsi di recupero.
Parliamo di cifre ridicole, che pure hanno sviluppato appetiti e i pochi fondi sono stati distribuiti a pioggia tra enti religiosi, società sportive, comuni agenzie di comunicazione e come dimostrano e i 121 beneficiari del bando 2017 del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, con cui sono stati distribuiti 11,735 milioni.
I soldi contro la violenza alle donne non devono andare a enti religiosi, cantanti e calciatori, devono andare ai centri antiviolenza, che si sostituiscono allo Stato e che ancora oggi vivono per lo più di volontariato, con quattro spiccioli che arrivano a singhiozzo. Nonostante siano il cuore del Piano nazionale antiviolenza.
La rete Dire, che è la più grande organizzazione nazionale di centri denuncia da anni che i centri sono troppo pochi, con interi territori scoperti, con il personale solo parzialmente retribuito e con risorse assolutamente al di sotto del bisogno.
La prima indagine Istat, pubblicata a fine ottobre, sui 281 Centri italiani, ci dice che, nel solo 2017, 43mila donne si sono rivolte ai Centri.
La violenza non si combatte chiudendo gli spazi femministi, come succede a Roma che primeggia con nove femminicidi.
Eppure la sindaca vuole chiudere due dei luoghi che più hanno aiutato le donne: Lucha y Siesta e la Casa Internazionale delle Donne, in una città che secondo la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia, dovrebbe avere con i suoi 3 milioni di abitanti, 300 posti nelle case rifugio, invece ne ha miseri 25.
Qualcuno ha scritto che il femminicidio fa più vittime della mafia. E’ così. Ed il fenomeno è purtroppo stabile, rischia di diventare cronico. Sono quasi cento le vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno e che nel 2018 sono state 142 (dati Eures).
La media continua ad essere quella di una donna uccisa ogni tre giorni. i dati aggiornati sulla violenza di genere in Italia diffusi ieri dalla Polizia di Stato dicono che ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti.
Per fermare maltrattamenti e violenze che spesso sfociano nei femminicidi, è dunque necessario che la “svolta culturale” la faccia il governo facendo diventare il contrasto alla violenza una priorità e non solo a parole, evocando “cambi di rotta culturale”, nè ipotizzando l’inasprimento delle pene, come sentiamo dire altrettanto spesso.
E’ necessaria una forte presa di responsabilità della poltica, la violenza non è una questione femminile, riguarda tutti, e devono farsene carico soprattutto gli uomini, con riposte concrete e investimenti corposi.
Non è più rinviabile stanziare fondi e risorse adeguati, non ridicoli e intermittenti come quelli conosciuti fin qui, fondi da destinare a interventi strutturali e continuativi nel tempo. Anche per questo oggi, ancora una volta “la marea femminista ha riempito strade e piazze contro la violenza patriarcale, economica, istituzionale al grido Non una di meno”
Loredana Taddei
Cofondatrice “Se non ora quando?”
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