VOLGARITA’ E VIOLENZE PADANE DAL LIBRO “L’IDIOTA IN POLITICA, ANTROPOLOGIA DELLA LEGA NORD”
“DAI, LECCAMI IL GELATO SULLA SPALLA” : UN ESTRATTO DEL VOLUME DI LYNDA DEMATTEO…UN PATETICO SPACCATO DI PERSONALITA’ FRUSTRATE
I leghisti cercano di fare della volgarità — per essenza un antivalore — un valore vero e proprio.
In realtà , questa ribellione linguistica è falsa poichè, quando ergono a simboli identitari le parolacce in bergamasco, i militanti non fanno che convalidare gli stereotipi che denunciano altrove.
Esprimendo collera, indignazione, disprezzo e rimandando al corpo e alle sue funzioni più “basse”, le parolacce degradano chi le pronuncia ancor più del bersaglio cui sono indirizzate.
Attraverso un “paradossale raddoppiamento”, che è uno degli effetti del dominio simbolico, riaffermano a loro spese la gerarchia che struttura socialmente il linguaggio.
È davvero indicativo che Daniele Belotti saluti i suoi interlocutori con “ù figù”. La “figa” è il non valore, il simbolo che racchiude ogni tipo di debolezza, passività , alienazione.
È di fronte alla “figa” che il soggetto proclama una volontà di potenza alienata e contestata in ogni ambito . (…)
Dialetto e volgarità sono strettamente legati e svolgono una funzione similare negli scambi interpersonali.
La conoscenza che i più giovani hanno del dialetto è spesso limitata a questo registro.
Le conversazioni licenziose sono un aspetto della socialità leghista. Battute volgari e razziste sono spesso legate; in genere il femminile rappresenta l’alterità .
Ciò che osservavo quotidianamente negli uffici contraddiceva spesso le dichiarazioni registrate durante le interviste.
Gli attivisti condannano questa realtà per potersene distaccare.
Enzo Galizzi sostiene di non sopportare la volgarità , ma non disdegna di raccontare storie grevi.
Questa malafede, peraltro, compromette la validità empirica delle interviste realizzate in un contesto simile e finalizzate a un’inchiesta.
“Pazzo”, “imbecille”, “maschilista”, “estremista” sono sempre termini riferiti ad altri.
Fin dal primo giorno ho dovuto adeguarmi a questa dimensione della socialità leghista, abbandonando ogni pretesa di rispetto.
Mi è stato fatto comprendere in modo abbastanza brutale.
La rappresentante del Sin Pa (Sindacato padano), in effetti, mi ha detto che tutte le ragazze della Lega desemplificano il gesto sedendosi sulle gambe di Daniele Belotti e, con una risata, mi ha incoraggiato a fare altrettanto.
Sono stata più volte oggetto di battute a carattere sessuale.
Una delle attiviste della Lega ha parlato delle donne straniere, chiamandole “i culi” — davanti a me parlava di “culi francesi”.
Questi “scherzi” sembravano far ridere tutto il personale presente, donne e uomini, e “ridimensionavano” la mia presenza.
Daniele Belotti mi chiamava “dottoressa” con ironia e, come chiunque altro, sono stata bersaglio dei suoi scherzi.
Qualche volta ha provato a darmi a bere fatti incredibili che voleva che riportassi nella mia tesi di dottorato.
Un pomeriggio l’ho trovato in ufficio mentre mangiava un vasetto di Nutella con un cucchiaino, appena mi ha visto mi ha detto: “Non mi daresti una tetta per mangiarci sopra la Nutella?”, provocando l’ilarità degli attivisti che mi seguivano.
Un altro giorno invece l’ho visto mangiare un gelato dalla spalla di Carolina, che si prestava allo scherzo. (…)
I leghisti si compiacciono nel ruolo da supermaschio un po’ caricaturale. Questo aspetto dell’iconografia di partito è oggetto di continue battute. Daniele Belotti afferma che nei primi anni novanta, “come in ogni movimento rivoluzionario” (sic), nel movimento leghista c’è stata una fase di “promiscuità sessuale”.
A Milano, quando siamo andati insieme alla sede di via Bellerio, si poneva come l’angelo custode della “sua” antropologa: “Urla se qualcuno ci prova, a meno che non si tratti del capo!”.
Lynda Dematteo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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