Destra di Popolo.net

GLI ITALIANI, UN POPOLO DI IMBELLI, SONO “STANCHI” DELLA GUERRA IN UCRAINA, MANCO LA COMBATTESSERO LORO: PER IL 41,9% IL DONBASS È “SACRIFICABILE” (E GRAZIE AL CAZZO: NON E’ UNA TERRA DI LORO PERTINENZA)

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

IL 63,2% DEGLI ITALIANI CONSIDERA TRUMP “AUTORITARIO”, MA IL 37,6% VEDE POSITIVAMENTE IL SUO RUOLO NELLE CRISI IN UCRAINA E GAZA (DELLA SERIE: TOGLICI LE ROTTURE DI COJONI)

Gli italiani appaiono sempre più stanchi della guerra e confidano che Zelensky chiuda l’accordo con Putin anche a costo di dover cedere parte dei territori occupati
Il presidente americano Donald Trump ha annunciato la cancellazione dell’incontro con Vladimir Putin a Budapest, dichiarando di non voler «una riunione persa» e precisando che non ci sono nuovi piani per un vertice nel prossimo futuro.
Parallelamente, da Kiev sono giunti segnali di maggiore apertura: il presidente Volodymyr Zelensky ha manifestato la disponibilità a considerare una tregua che congeli la situazione attuale sul fronte, mantenendo cioè le linee di contatto secondo i territori attualmente occupati, ribadendo con fermezza che l’Ucraina non cederà la propria sovranità.
Tuttavia, a complicare ulteriormente il quadro, un nuovo attacco russo ha colpito un asilo nella città di Kharkiv, provocando un morto e 6 feriti, tra cui bambini. Nella stessa settimana, Trump ha pubblicato su Truth Social nuove dichiarazioni critiche nei confronti di Zelensky, accusandolo implicitamente di ostinazione e spingendolo – secondo indiscrezioni – ad accettare una cessione del Donbass alla Russia per «evitare ulteriori bagni di sangue».
Una proposta priva di formalità istituzionale, ma che ha suscitato un ampio dibattito in Italia
Sollecitati su tutti questi avvenimenti in un sondaggio condotto da Only Numbers, il 41,9% degli italiani ritiene che Zelensky avrebbe dovuto accettare l’accordo suggerito da Trump.
Tra questi, il 91,8% avrebbe giustificato la scelta come un sacrificio necessario per fermare una guerra che appare sempre più senza via d’uscita.
Sul fronte opposto, invece, il 36,2% degli intervistati si è schierato con i contrari, giudicando inaccettabile una trattativa che implichi la cessione di territori conquistati con la forza e sospettando un’intesa diretta tra Trump e Putin, che escluderebbe l’Ucraina, la reale parte lesa del conflitto.
Tra chi si oppone, il 59,9% teme, inoltre, che un simile accordo possa rientrare nella strategia a lungo termine di Mosca per recuperare territori dell’ex Unione Sovietica.
Con il senno del poi, tutto sembra andare proprio in questa direzione. Interessante anche il giudizio sul comportamento dello stesso Trump: il 63,2% degli italiani lo considera “autoritario”, mentre, tolto il 15,4% che non sa esprimersi nel merito, il 21,4%, pur attribuendo le sue dichiarazioni al suo “stile politico”, mantiene un atteggiamento critico e diffidente.
La figura del presidente americano ancora una volta, polarizza e sorprende. Nonostante le critiche, il 37,6% degli italiani vede positivamente il suo ruolo nella gestione di crisi come quella in Ucraina e a Gaza, a differenza del 31,4% che lo giudica negativamente. Il 15,4% lo ritiene ininfluente, una quota che sale tra gli elettori del Partito Democratico (uno su 5).
I dati, chiaramente, riflettono forti spaccature politiche: l’area di
centrodestra e i partiti di governo propendono per una visione positiva del ruolo di Trump, mentre il 46,9% degli elettori di opposizione esprime un giudizio negativo, sottolineando la pericolosità di affidare al presidente americano, con relazioni che appaiono ambigue con il Cremlino, il compito di mediare una pace così complessa.
Il sostegno di una parte di italiani a Trump non sembra derivare tanto da una valutazione razionale delle sue politiche, quanto da una somma di percezioni: forza, autenticità, pragmatismo e anti-establishment… Molti cittadini lo leggono come “un male necessario”, o come l’unico che osa dire ciò che gli altri non dicono, anche se questo significa spingersi oltre i limiti della diplomazia per sollecitare delle reazioni.
In conclusione, è davvero complicato – e oserei dire impossibile – imporre la pace. In questo contesto, la proposta – o pressione – di Trump appare più come un’operazione politica che una reale iniziativa di pace.
Alessandra Ghisleri
per “la Stampa”

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CHE CI FACEVA AGOSTINO GHIGLIA, COMPONENTE DELL’UFFICIO DEL GARANTE DELLA PRIVACY, NELLA SEDE DI FRATELLI D’ITALIA, LO STESSO GIORNO DELLA DECISIONE DELL’AUTHORITY DI SANZIONARE “REPORT” CON 150MILA EURO?

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

L’OPPOSIZIONE VA ALL’ATTACCO DI ARIANNA MELONI, CHE AVREBBE INCONTRATO GHIGLIA A VIA DELLA SCROFA: “LA COINCIDENZA NON PUÒ PASSARE INOSSERVATA”.,,COSA SI SONO DETTI GHIGLIA E LA SORELLA D’ITALIA, SEGRETARIA DE FACTO DI FDI? – LUI SI DIFENDE E FRIGNA: “ERO LÌ PER INCONTRARE ITALO BOCCHINO E DISCUTERE DEI NOSTRI LIBRI. SONO MOLTO PROVATO, MI HA COLPITO IL FATTO DI ESSERE SEGUITO”. MA NON ERA STATO SEGUITO: VIA DELLA SCROFA È SEMPRE PIENA DI GIORNALISTI, ESSENDO LA SEDE DEL PRIMO PARTITO ITALIANO SIAMO SALUTATI. SIAMO AMICI DA ANNI…”

Diventa un pasticciaccio la multa inflitta dal garante della Privacy a Sigfrido Ranucci. La sanzione decisa la scorsa settimana sta creando più di un imbarazzo negli uffici dell’Autorità che tutela la riservatezza, dopo che proprio il giornalista ieri su La Stampa ha parlato di iniziativa presa su «input politico».
Nella puntata di ieri sera Ranucci ha mandato in onda un video che mostra Agostino Ghiglia – ex parlamentare di An, componente dell’ufficio del Garante – che entra nella sede di Fdi, dove pare fosse presente Arianna Meloni, proprio alla vigilia della multa contro Report, decisa per sanzionare la messa in onda, nel dicembre scorso, della registrazione di una conversazione tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini.
Un intreccio complicato, che scatena l’offensiva delle opposizioni contro il governo e che costringe il Garante a diffondere una nota per assicurare che tutto si è svolto regolarmente, mentre la maggioranza di centrodestra osserva per ora in silenzio.
Nella nota dell’Autorità non si smentisce che Ghiglia sia stato nella sede di Fdi ma si «ribadisce la piena indipendenza di giudizio e la libertà di determinazione dei suoi componenti».
Il procedimento contro Report, come sempre avviene, è stato «istruito dagli uffici» quindi la proposta è arrivata al Collegio dove «può essere deliberata, o meno». In questo caso «dopo ampia discussione, il Collegio ha deliberato in linea con la proposta degli uffici».
Lo stesso Ghiglia ammette la visita a via della Scrofa, sede di Fdi, ma nega di essere andato per un colloquio con la sorella della premier e parla di «illazioni e ricostruzioni irrilevanti»: «Tutto si è svolto nella massima trasparenza», afferma. «Ho incrociato Arianna Meloni, ci siamo salutati e scambiati due convenevoli perché era molto impegnata».
Ma nella sede di Fdi, garantisce, «mi sono recato per incontrare il direttore de Il Secolo d’Italia Italo Bocchino, in merito a una presentazione a Torino e a Roma dei nostri due nuovi libri».
Spiegazioni che non convincono affatto Ranucci: «Se è così trasparente, accetti l’intervista e ci metta la faccia. Ci spieghi quello che casualmente un nostro inviato ha ripreso mercoledì scorso davanti alla sede di FdI» lo sfida in apertura di puntata. Fonti di Report smentiscono infatti la versione di Ghiglia: alla redazione risulta infatti che avrebbe avuto un colloquio proprio con Arianna Meloni per parlare della sanzione.
Per il M5S in Vigilanza, «bisogna sapere tutta la verità», per questo hanno chiesto un’audizione urgente del presidente dell’Autorità in Vigilanza. Angelo Bonelli (Avs) ha annunciato un’interrogazione.

(da agenzie)

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A SORPRESA MILEI VINCE LE ELEZIONI MID-TERM IN ARGENTINA: CON UN’ECONOMIA AL COLLASSO GLI ELETTORI CEDONO AL RICATTO DI TRUMP CHE AVEVA PROMESSO 40 MILIARDI DI AIUTI IN CASO DI CONFERMA DI MILEI

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

TIPICO ESEMPIO DI VOTO DI SCAMBIO: SE VOLETE CHE VI AIUTI VOTATE MILEI, ALTRIMENTI NON VEDETE UN DOLLARO

Più del 40% dei voti per La Libertad Avanza. L’affluenza alle urne , pari al 67,9%, è stataquasi la più bassa dal 1983.
Il presidente dell’Argentina Javier Milei ha vinto le elezioni di medio termine con più del 40% dei voti nazionali. Una conferma per il mandato, secondo il presidente, per «proseguire sulla strada riformista». Il risultato, che contraddice molti sondaggi, costituisce un enorme sollievo per l’esecutivo, poiché l’incertezza che circonda le elezioni aveva messo l’economia argentina e la sua valuta sotto una forte pressione per due mesi. E ha anche innescato la promessa di ingenti aiuti da parte del suo alleato americano Donald Trump, fino a 40 miliardi di dollari. «Congratulazioni al presidente Javier Milei per la sua schiacciante vittoria in Argentina. Sta facendo un lavoro straordinario! La nostra fiducia in lui è stata giustificata dal popolo argentino», ha commentato il presidente americano sul suo social network Truth.
La Libertad Avanza
Il partito di Javier Milei, La Libertad Avanza, ha ottenuto il 40,7% dei voti a livello nazionale, secondo i risultati ufficiali al 97% dello scrutinio. Ed è destinato a quasi triplicare la sua base parlamentare, senza tuttavia raggiungere la maggioranza assoluta. Abbastanza, tuttavia, per aumentare la capacità del presidente anarco-capitalista di riformare e deregolamentare – nei due anni rimanenti della sua presidenza – un’economia fragile, con scarse riserve valutarie e soggetta a turbolenze finanziarie. Secondo le proiezioni espresse domenica dallo stesso Milei, ma non confermate dall’autorità elettorale, il suo blocco di deputati passerebbe da 37 a 101 (su 257 deputati). E i suoi senatori da 6 a 20, su un totale di 72.
Il risultato
Milei aveva stimato che ottenere un terzo dei seggi sarebbe stato un buon risultato. Ovvero una soglia che gli avrebbe consentito, in particolare, di imporre il suo veto ai parlamentari, se necessario. «Ho gridato come se fosse l’obiettivo dell’ultimo Mondiale, quando l’Argentina era campione!», ha dichiarato
all’agenzia France Presse Facundo Campos, consulente di marketing di 38 anni, fuori dalla sede di Milei. «Una vittoria netta e sorprendente», ha concordato il politologo Sergio Berensztein per l’AFP. «L’Argentina ha dato un sostegno molto forte al presidente, che ora ha l’opportunità di dimostrare che con un parlamento più favorevole è effettivamente in grado di mantenere le sue promesse».

(da agenzie)

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MENO TASSE SUGLI STIPENDI: MA PERCHE’ SIAMO POVERI?

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DEL CORRIERE DELLA SERA

Un salario, anche il più basso, si può definire tale quando garantisce al lavoratore la copertura dei bisogni primari e lascia un minimo di margine per gli imprevisti e le piccole spese discrezionali. Cosa è successo ai redditi da lavoro dipendente negli ultimi anni?
Per rispondere occorre distinguere due aspetti: i salari lordi e i salari netti. I salari lordi si dovrebbero adeguare con aumenti proporzionali al costo della vita attraverso il rinnovo dei contratti collettivi: ogni 3 anni nel settore pubblico, ogni 3-4 anni nel privato. I salari netti invece dipendono dalle politiche fiscali.
Gli aiuti fiscali
Il primo intervento è del 2022 targato Draghi. Nel 2023 il governo Meloni effettua un taglio aggiuntivo del cuneo fiscale, ossia dei contributi a carico dei dipendenti, che rispetto al 2019 passano dal 9,19% al 2,19% per i redditi fino a 25.000 euro e al 3,19% fino a 35.000 euro. Nel 2025 viene cancellato il taglio del cuneo fiscale e al suo posto introdotta una detrazione di 1.000 euro tra i 20.000 e i 32.000 euro, che poi decresce progressivamente fino a 40.000 euro. Per gli incapienti sono previsti dei bonus. Nel 2024 la premier Meloni accorpa anche i
primi due scaglioni Irpef e riduce l’aliquota dal 25% al 23% tra 15.000/28.000 euro. Con la nuova Legge di Bilancio il governo intende ridurre l’aliquota Irpef dal 35% al 33% per la fascia di reddito 28.000/50.000 euro. Una riduzione che non verrà applicata sui redditi che superano i 200.000 euro. E, allora, perché si continua a parlare di perdita di potere d’acquisto? Con l’aiuto degli economisti Marco Leonardi, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi, utilizzando i dati dell’Aran che tratta per lo Stato e dei contratti collettivi, analizziamo quattro casi concreti: due nel pubblico e due nel privato, con redditi sotto i 28.000 e poco sopra i 40.000 euro.
I contratti pubblici
Prendiamo il contratto collettivo Istruzione e Ricerca, che riguarda circa 1,2 milioni di dipendenti pubblici, tra cui oltre 950.000 insegnanti. Il contratto in vigore è quello del triennio 2019-2021, firmato solo il 6 dicembre 2022, quasi quattro anni dopo l’inizio del periodo che avrebbe dovuto coprire. Gli aumenti previsti per il 2019 sono quindi arrivati in busta paga solo a fine 2022. Il 27 febbraio 2025 si è tenuto il primo incontro tra Aran e sindacati per il rinnovo del contratto 2022-2024, anch’esso già scaduto. Dal 2022 al 2025 vengono corrisposte soltanto le indennità di vacanza contrattuale, ossia aumenti minimi dati in attesa della firma del contratto. L’indennità parte da +0,3% dal 1° aprile 2022, sale a +0,5% dal 1° luglio 2022 e, da gennaio 2024, si arriva complessivamente a un aumento del 3,5%. Questa misura assorbe circa la metà delle risorse disponibili per gli aumenti del triennio 2022-2024, pur in assenza di un contratto firmato. Seguono altre piccole indennità che anticipano gli incrementi previsti per il triennio 2025-2027: a luglio 2025 è del +1%. Al momento del rinnovo contrattuale, queste indennità — che solo dopo tre anni arrivano al +4,5% — saranno assorbite negli aumenti definitivi e saranno riconosciuti
gli arretrati. Vediamo le buste paga.
Collaboratore scolastico
Per capire l’effetto reale sul reddito consideriamo tre fatti: crescita dello stipendio lordo attraverso la contrattazione, impatto dell’inflazione e interventi fiscali. Solo così possiamo misurare il guadagno o la perdita effettivi. Un bidello con oltre 35 anni di carriera parte nel 2019 da 1.918 euro lordi mensili, con il rinnovo 2019-2021 arriva a 2.013 euro e nel 2025 guadagna 2.094 euro. L’aumento lordo è del 9,17%. L’inflazione nello stesso periodo, però, è del 20,6% (Eurostat). Per mantenere invariato il potere d’acquisto del reddito netto avrebbe dovuto guadagnare 3.269 euro in più all’anno. Le misure fiscali riducono parzialmente il danno. Gli interventi del governo Meloni fanno risparmiare 1.194 euro, di cui 741 euro per il taglio del cuneo e 453 euro per le aliquote. La perdita definitiva, tenendo conto anche delle misure decise da Draghi, è di 1.756 euro l’anno. Nelle tabelle in pagina i dettagli.
Insegnante di scuola superiore
Un prof di scuola superiore con 28-34 anni di carriera parte nel 2019 da 2.885 euro lordi mensili, con il rinnovo 2019-2021 arriva a 3.029 euro e nel 2025 guadagna 3.144 euro. L’aumento lordo è dell’8,98%. La perdita di potere d’acquisto è di 3.754 euro annui. Sul fronte fiscale, il prof non beneficia del taglio del cuneo perché guadagna più di 40 mila euro lordi, ma risparmia per la riforma Meloni 442 euro, di cui 260 per la riduzione dell’aliquota al 23% e se l’Irpef scenderà al 33% fino a 50.000 euro altri 182 euro. Rispetto al 2019 questo insegnante perde in potere d’acquisto 2.307 euro l’anno.
I contratti del settore privato
Passiamo ora al contratto collettivo del Terziario, firmato da Confcommercio e applicato a oltre 3 milioni di lavoratori. Il contratto 2019 è rinnovato solo nel marzo 2024 e vale, coneffetto retroattivo, dal 1° aprile 2023 al 31 marzo 2027. Gli aumenti previsti sono: +2% da gennaio 2023, +1,9% da aprile 2023, +4,2% da aprile 2024, poi +1,8% da marzo 2025 e +2% da novembre 2025, fino a +240 euro lordi mensili nel 2027. Per compensare il ritardo vengono corrisposte due una tantum da 350 euro ciascuna per i livelli più bassi, somme erogate una sola volta e non integrate stabilmente nello stipendio.
Commesso
Un commesso di IV livello parte nel 2019 da 1.584 euro lordi mensili e raggiunge 1.802 euro nel novembre 2025, con un aumento del 13,77%. Con l’inflazione al 20,6% il suo potere d’acquisto, senza considerare le riforme fiscali, si riduce di 2.458 euro l’anno. Il contributo del governo Meloni al taglio delle tasse è di 760 euro per il cuneo e di 398 per le aliquote. Sommati agli sgravi di Draghi, il commesso perde 933 euro l’anno.
Responsabile vendite
Nel 2019 un responsabile vendite (quadro) guadagna 2.620 euro lordi mensili. A novembre 2025 raggiunge i 2.933 euro, con un aumento dell’11,94%. L’inflazione gli sottrae 3.129 euro l’anno di potere d’acquisto sul reddito netto. Il contributo del governo Meloni è di 260 euro per l’Irpef al 23% e 186 euro per il taglio al 33% fino a 50 mila euro. Rispetto al 2019 perde 1.683 euro l’anno.
Il problema da risolvere
In tutti i casi analizzati i salari reali si riducono. I datori di lavoro, pubblici e privati, non adeguano le retribuzioni al ritmo dell’inflazione, i rinnovi contrattuali arrivano con anni di ritardo e gli aumenti non riescono a compensare la crescita dei prezzi. Come ricorda il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) nel suo XXVI Rapporto «la contrattazione collettiva rappresenta l’elemento primario attraverso cui operare per assicurare condizioni salariali più adeguate, che possano altresì
consentire dinamiche di spesa interna in grado di contribuire in maniera positiva alla ripresa produttiva». In parole povere: il potere d’acquisto non si salvaguarda con la riduzione delle tasse ma con aumenti salariali. Infatti, gli interventi fiscali varati dal governo, pur attenuando la perdita, non bastano a colmare il divario. E con ogni probabilità non saranno sufficienti neppure le ulteriori misure previste dalla Legge di Bilancio 2026: la detassazione di straordinari, festivi e lavoro notturno fino a un massimo di 1.500 euro — valida solo per il 2026 e per redditi sotto i 40.000 euro —, il taglio della tassazione al 5% per gli aumenti del 2025 e 2026 fino a 28.000 euro di reddito e la riduzione dell’imposta sui premi di risultato dal 5% all’1%. E alla fine di tutto questo nel carrello della spesa si possono mettere meno cose rispetto al 2019.

Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)

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MA CHI CI GUADAGNA SE SI TIRA A CAMPARE?

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

LA MANOVRA ECONOMICA DEL GOVERNO ALL’INSEGNA DELLA MEDIOCRITA’, NESSUNA MIRABOLANTE PROMESSA E’ STATA REALIZZATA IN TRE ANNI

Risulta stupefacente il dispendio di energie con cui un pezzo di centrodestra, Lega e Forza Italia soprattutto, si è attivato per picconare la manovra economica. Stupefacente per la modestia dei provvedimenti contestati, un contributo straordinario delle banche che non ucciderà nessuno e un piccolo aumento delle tasse sugli affitti a breve termine. Stupefacente, anche, per l’evidente contraddizione tra la quotidiana esaltazione della coesione, durata, solidità della maggioranza e la renitenza dei suoi leader ad adeguarsi alla linea concordata in Consiglio dei ministri e nelle riunioni preparatorie.
La legge di bilancio fa soffrire gli alleati di Giorgia Meloni, ma il motivo non va cercato tanto nelle misure su cui ci si accapiglia quanto nel tema tutto politico della scarna risposta agli elettorati. Per il terzo anno consecutivo non c’è quasi nulla che realizzi le mirabolanti promesse della campagna elettorale, e nessuno ha una bandiera da piantare su un qualche provvedimento di valore, quello che furono gli 80 euro per Matteo Renzi, il reddito di cittadinanza per il Movimento Cinque Stelle, e andando a ritroso nella storia l’abolizione dell’Imu e delle imposte di successione
per Silvio Berlusconi.
Gli elettori per il momento reggono a questa navigazione prudente, in apparenza non si lamentano, i sondaggi confermano settimana dopo settimana la straordinaria tenuta della coalizione rispetto alla parabola discendente delle classi dirigenti del passato. E tuttavia ci si chiede se l’atto di fiducia sottoscritto dagli italiani nel 2022 possa reggere per altri ventiquattro mesi all’invito implicito nelle scelte del governo: accontentatevi, di più non si può fare. Se lo chiedono soprattutto i due junior partner della maggioranza, Matteo Salvini e Antonio Tajani, che non dispongono di leadership scintillanti come quella della presidente del Consiglio e che al giro di boa della manovra devono dare a chi li vota la sensazione di contare qualcosa. E allora, uno riaccende la polemica con le banche, minacciando addirittura di punire ogni lamentela con un miliardo di prelievo in più, l’altro fa barricate sullo stesso tema e ci aggiunge la polemica sui bed and breakfast. Qualche modesta modifica, alla fine, sarà approvata e si potrà dire alle categorie interessate: vedete? Senza di noi sarebbe andata peggio.
Resta il problema del giudizio complessivo del Paese, e specialmente dell’elettorato di centrodestra. La prima manovra di Meloni ebbe l’alibi della ristrettezza dei tempi, fu messa a punto da un governo insediato da appena pochi mesi: il popolo sovranista e conservatore perdonò la scarsità delle ambizioni. La seconda, a fine 2024, passò quasi inosservata nel mondo che tifava centrodestra, galvanizzato dalla vittoria di Donald Trump e dall’aspettativa di una nuova età dell’oro per i suoi amici italiani. Ora siamo alla terza, la penultima a disposizione del governo prima del voto del 2027, fontane di latte e miele non se ne vedono, ed è immaginabile che pure i più innamorati e i più fedeli comincino a chiedersi: ma questo tirare a campare è davvero quello che vogliamo?
(da La Stampa)

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LATELLA E IL LEGAME CON MELONI DIETRO IL CASO DEL SOLE 24 ORE

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

LA REDAZIONE CONTRO L’INTERVISTA ALLA PREMIER

Giorgia Meloni ha un rapporto molto stretto con la giornalista Maria Latella, al centro del caso scoppiato al Sole 24 Ore, due giorni di sciopero perché un’intervista alla premier sulla manovra è stata fatta dalla “collaboratrice esterna” Latella anziché dai giornalisti del quotidiano. Meloni nel 2021 ha mandato il suo libro Io sono Giorgia con un’affettuosa dedica alla giornalista che collaborava a Radio24, una copia è rimasta per mesi alla reception del Sole senza che la cronista lo ritirasse, ma il rapporto si è cementato.
Latella ha firmato la prima intervista del quotidiano di Confindustria alla premier nell’agosto 2023. Prima e dopo ci sono state le interviste di Latella a Meloni al Festival dell’economia di Trento, organizzato dal Sole. Insomma, è l’intervistatrice ufficiale di Giorgia sul giornale diretto da Fabio Tamburini, il quale le ha affidato anche l’intervista sulla manovra, pubblicata il 18 ottobre, due pagine con cinque foto della premier. Il giornale è uscito nonostante lo sciopero della redazione.
Molti hanno osservato che il potente “non può scegliersi l’intervistatore gradito”, ma evidentemente la passione di Meloni per Latella non può essere contenuta e non si ferma al Sole. Dal 2024 la giornalista ha un munifico contratto di collaborazione con la Rai, firmato dai vertici nominati da Meloni, Roberto Sergio e Giampaolo Rossi: il compenso è di 730mila euro lordi l’anno, lo ha rivelato sul Fatto Gianluca Roselli, malgrado il flop del programma, “A casa di Maria Latella”, 2,15% lo share medio per otto puntate nel 2024, 2,4% la media quest’anno per dieci puntate.
Latella non è nella posizione ideale per essere indipendente da Meloni. Questo è il cuore del problema, mentre c’è chi vede il dito e non la luna. Antonino Monteleone, arrivato da Mediaset alla Rai nel 2024 a 360mila euro l’anno, ha ironizzato sullo sciopero del Sole: “L’ennesima prova che dimostra quanto possono essere cattivelli i garantiti contro quelli a partita Iva”. Anche i suoi programmi sono un flop: “L’altra Italia” chiuso dopo cinque puntate e ascolti in picchiata, quest’anno “Linea di confine” dirottato in seconda serata con ascolti sempre modesti. Monteleone e Latella: fratelli di flop.

(da il Fatto Quotidiano)

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TANTE POLEMICHE DEI PATRIDIOTI PER NULLA, DA FEDERER A NADAL , DA DJIOKOVIC AD ALCARAZ: CHI HA RIFIUTATO LA COPPA DAVIS PRIMA DI SINNER

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

TUTTI IN EGUALE PERCENTUALE HANNO SCELTO DI SALTARE LA COMPETIZIONE A SQUADRE

La scelta di Jannik Sinner di non partecipare alla Coppa Davis 2025 ha acceso un ampio dibattito tra appassionati e addetti ai lavori. Il campione azzurro, reduce da due titoli consecutivi nella competizione, ha spiegato la sua decisione a Sky Sport con toni
pacati: «È una scelta difficile rinunciare alle Finals, ma l’importante è partire bene nel 2026. Una settimana in più di preparazione può fare la differenza».
Il capitano della squadra italiana, Filippo Volandri, ha confermato che l’altoatesino «non ha dato la disponibilità per il 2025», aggiungendo però che «la Coppa Davis resterà sempre casa sua» e che «tornerà presto a far parte del gruppo». E mentre il Codacons chiede – indignato – di togliere al campione tutte le onorificenze, è bene tenere presente che la scelta di non partecipare alla competizione tennistica a squadre ha caratterizzato diverse altre carriere illustri.
Federer, Nadal e Djokovic: le rinunce illustri
Il rifiuto di Sinner non è un unicum. Guardando i numeri, anche i tre grandi del tennis contemporaneo — Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic — hanno spesso saltato la Davis. Federer ha risposto alla convocazione in 27 occasioni su 45 (circa il 60%), Nadal 24 su 60 (40%) e Djokovic 37 su 57(65%). In totale, su 162 incontri disputati dalle loro nazionali durante la loro carriera, i tre hanno preso parte a meno della metà. L’atteggiamento è simile anche tra le nuove generazioni: Carlos Alcaraz ha giocato 6 incontri su 12, mentre Sinner ne ha disputati 13 su 22.

(da agenzie)

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RADUNO DI PREDAPPIO, LA PRONIPOTE ORSOLA MUSSOLINI ATTACCA FORZA NUOVA: “SIETE QUI SOLO PER CERCARE VISIBILITA’”

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

L’APPUNTAMENTO ANNUALE TRA SALUTI ROMANI E POLEMICHE INTERNE

Sono circa un migliaio — 700 secondo la Questura — i manifestanti che domenica 26 ottobre hanno preso parte alla camminata dalla piazza di Predappio, paese natale di Benito Mussolini in provincia di Forlì, fino al cimitero di San Cassiano. Un appuntamento ormai annuale per i nostalgici del ventennio fascista e della Marcia su Roma. Dopo due anni, davanti alla cripta del Duce sono tornati anche i saluti romani.
Nonostante l’invito della famiglia Mussolini a mettere la mano sul cuore, decine di manifestanti hanno alzato il braccio teso dopo il rito del “presente”. Il colore predominante, come di consueto, è stato il nero. Tra i manifestanti, tante teste rasate ma anche qualche famiglia con figli.
Roberto Fiore presente ma non partecipa al corteo
Al raduno organizzato dalle pronipoti del Duce si è aggiunta quest’anno anche Forza Nuova, formazione politica di estrema destra, con il suo leader Roberto Fiore. La questura aveva intimato ai militanti di Fn di manifestare solo dopo le 15 e non anche alla mattina con il solito corteo. I membri di Forza Nuova, però, hanno ignorato questa disposizione, sostenendo che l’atto recherebbe «una firma digitale scaduta». Fiore è arrivato a Predappio in mattinata, ma in piazza ha avuto un breve colloquio con dirigenti della Digos e alla fine ha deciso di non partecipare alla camminata verso la cripta.
La pronipote del duce contro Forza Nuova
A punzecchiare i militanti di Forza Nuova è Orsola Mussolini, pronipote del duce e organizzatrice del raduno. «Quest’anno – ha spiegato – la manifestazione è stata resa più complicata dalla presenza di una forza politica che non nomino nemmeno, ma che ha creato condizioni non buone soltanto per ottenere visibilità, mentre noi siamo qui riuniti solo per un momento di preghiera».

(da agenzie)

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RANUCCI SFIDA GHIGLIA, MEMBRO DEL GARANTE DELLA PRIVACY: “SE E’ COSI’ TRASPARENTE COME DICE, CI METTA LA FACCIA”

Ottobre 27th, 2025 Riccardo Fucile

IL CONDUTTORE DI REPORT APRE LA PRIMA PUNTATA CON UN DURO ATTACCO ALL’AUTORITA’ DOPO LA MULTA DA 150.000 EURO… GHIGLIA: “SONO ANDATO ALLA SEDE DI FDI PER INCONTRARE BOCCHINO, HO SOLO INCROCIATO ARIANNA MELONI”… LE OPPOSIZIONI: “E’ INAUDITO CHE MEMBRI DI UNA ISTITUZIONE CHE DOVREBBE ESSERE SUPER PARTES VADANO A RAPPORTO IN UNA SEDE DI PARTITO”

«Se è così trasparente come dice, accetti l’intervista e ci metta la faccia. Noi da parte nostra continueremo a lavorare per consegnare alle nuove generazioni un mondo migliore».
Così Sigfrido Ranucci ha aperto la prima puntata della nuova stagione di Report, lanciando un affondo diretto contro Agostino Ghiglia, componente del Garante per la Privacy. Il conduttore di Rai3 ha mostrato un filmato – già anticipato nel pomeriggio – in cui si vede lo stesso Ghiglia entrare nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa, il 22 ottobre, un giorno prima della multa da 150mila euro inflitta al programma per la messa in onda dell’audio tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini sul cosiddetto “caso Boccia”.
La ricostruzione della vicenda secondo Ranucci
Ranucci ha ricostruito la vicenda davanti alle telecamere: «Il Garante ci ha mollato una sanzione da 150mila euro per aver trasmesso l’audio tra l’ex ministro Sangiuliano e la moglie, in cui lei chiedeva di sospendere il contratto con la consulente Maria Rosaria Boccia, altrimenti avrebbe informato personalmente il capo di gabinetto. Per noi era la prova regina del motivo per cui era stato interrotto il contratto». E ancora: «Il Garante reputa che abbiamo violato la privacy e il Codice deontologico, noi non la pensiamo così. Avevamo segnalato in Europa che qualcuno aveva armato la mano del Garante su input politici. Poi Ghiglia ha risposto che il suo ufficio si muove con trasparenza. E allora ci spieghi cosa faceva davanti alla sede di Fratelli d’Italia».
I tentativi di difendersi di Ghiglia
Nel pomeriggio Ghiglia aveva tentato di dare una spiegazione al video che lo vedeva entrare nella sede di FdI: «Mi sono recato in via della Scrofa per incontrare il direttore del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, in merito alla presentazione dei nostri libri. Ho incrociato Arianna Meloni, ci siamo salutati e scambiati due convenevoli».
“È inaudito che, poche ore prima dell’avvio dell’esposto del Garante della Privacy contro Ranucci, – scrivono i parlamentari del Pd in Viglianza Rai – alcuni componenti di un’istituzione che dovrebbe garantire terzietà e indipendenza siano stati visti entrare nella sede del partito di Giorgia Meloni”.

(da agenzie)

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