Destra di Popolo.net

PERCHE’ CHIAMARLI DECRETI INSICUREZZA, DATI ALLA MANO

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

CRESCONO GLI STRANIERI IRREGOLARI (+ 87.000), AUMENTANO I RICORSI, DIMINUISCONO I RIMPATRI (-6%), SI SVILUPPANO GHETTI URBANI: E’ UN FALLIMENTO TOTALE DI UN BLUFF CRIMINALE

La conseguenza più immediata è l’aumento degli stranieri irregolari. A poco più di un anno dall’entrata in vigore – il 5 ottobre 2018 – del primo Decreto Sicurezza, convertito in legge a dicembre, seguito a giugno dal Decreto Sicurezza Bis, tramutato in legge ad agosto, il bilancio degli effetti non può che partire dalla crescita del numero degli “invisibili” in Italia.
Poco meno di 640.000 a settembre 2018, dai dati dell’Istituto per gli studi di politica internazionale risulta che dalla fine di maggio 2018 – vale a dire dall’avvio dell’era Conte – gli immigrati arrivati in Italia con l’obiettivo di conquistare la possibilità  di una vita dignitosa e sospinti nell’irregolarità  sono 87.000 in più.
“Ventiquattromila sono conseguenza diretta del primo Decreto Sicurezza”, spiega all’HuffPost Matteo Villa, ricercatore e responsabile del programma “Migrazioni” dell’Ispi, mettendo in evidenza che i rimpatri sono pressochè fermi al palo. Nei quindici mesi di governo Conte, sono stati persino inferiori – del 6% – rispetto a quelli effettuati dal Governo Gentiloni. Nonostante gli annunci – in campagna elettorale aveva promesso 500.000 rimpatri – e i due Decreti Sicurezza dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Era proprio la sicurezza nazionale l’obiettivo da raggiungere, intervenendo in particolare sull’immigrazione – i temi di entrambi i provvedimenti sono svariati – con divieti e paletti per i migranti nel primo, e per le organizzazioni non governative nel secondo.
Dodici mesi dopo è piuttosto evidente che il bersaglio sia stato mancato. Il clima, però, verso i migranti prima e verso le Ong che operano nel Mediterraneo, è cambiato. “Più che sicurezza i decreti Salvini hanno causato insicurezza” è la critica più diffusa.
Dentro e fuori il Parlamento si moltiplicano appelli; associazioni, comitati, sindacati, forze politiche, parlamentari e giornalisti chiedono l’abolizione dei due pacchetti battezzati dal leader leghista.
L’hanno chiesto anche il Pd e Leu, oggi nel Governo Conte II con i 5 Stelle – che da alleati della Lega di Salvini hanno votato entrambi i Decreti Sicurezza.
Richieste per ora cadute nel vuoto, nonostante annunci di correttivi significativi (da parte di Pd e Leu) o di modifiche nel senso delle richieste del Quirinale, il Conte 2 non ha messo mano alle norme.
Mentre la Ocean Viking, la nave di Medici senza frontiere e Sos Mediterranee, è bloccata tra Lampedusa e Malta, con a bordo 104 migranti salvati, per il rifiuto di Roma a indicare un porto di sbarco e mentre si avvicina il 2 novembre, giorno in cui verrà  presumibilmente rinnovato in modo tacito il memorandum di accordo con la Libia sottoscritto nel 2017 dall’allora ministro Marco Minniti.
Nonostante sia ormai provato che nel Paese nordafricano – che si avvale di supporto e finanziamenti di Italia e Unione Europea – i migranti vengano bloccati e torturati nei centri di detenzione. I due decreti Salvini restano in vigore e gli effetti si fanno ogni giorno più concreti.
Aumentano i ricorsi
“In proporzione alle persone che arrivano il contenzioso è cresciuto”, spiega all’HuffPost l’avvocato Salvatore Fachile, socio di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Molti migranti presentano ricorso – con conseguente innalzamento dei costi della giustizia – in particolare contro i dinieghi di rinnovo dei permessi di soggiorno ex umanitari e contro il presunto divieto di iscrizione anagrafica introdotto dal primo Decreto Salvini. Al Tribunale di Bologna è perfino successo che i giudici abbiano ordinato al Comune di iscrivere due richiedenti asilo che avevano presentato ricorso, suscitando le ire leghiste.
Si allungano i tempi per ottenere la cittadinanza italiana.
Il primo Decreto Sicurezza ha esteso, sin dall’entrata in vigore, i termini della procedura per richiedere e ottenere la cittadinanza italiana da 24 a 48 mesi. “La mancata risoluzione della questione della cittadinanza per chi nasce in Italia – si legge nel rapporto Idos – in un paese in cui iniziano ad affacciarsi addirittura le terze generazioni di immigrati, costituisce uno di quei fattori che stanno contribuendo ad avviare processi di disaffezione e – soprattutto tra i più giovani e qualificati – anche di abbandono dell’Italia”. Con buona pace della sicurezza e dell’integrazione.
Le procedure accelerate (e quelle non applicate)
Ci sono, nel primo Decreto Sicurezza, norme non applicate come quella relativa alla possibilità  di trattenere persone a scopo di identificazione e della cittadinanza, mentre si stanno cominciando ad applicare le procedure accelerate, anche se fuori dal trattenimento, ad esempio per i migranti che provengono dai cosiddetti “Paesi di origine sicuri” (sono 13), indicati nel decreto rimpatri presentato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, agli inizi di ottobre.
“Si tratta di una procedura che non dà  al migrante il tempo e dunque la possibilità  di prepararsi all’incontro con la Commissione – sottolinea Fachile – per cui è molto difficile ritenere che riuscirà  a spiegare le sue ragioni. Dopo il diniego della Commissione, non ha diritto a restare sul territorio italiano per aspettare l’esito dell’iter, deve chiedere l’autorizzazione al giudice e le possibilità  che ottenga risposta positiva sono limitate”.
Il che, considerando la lentezza dei rimpatri, significa che è destinato a crescere il numero delle persone che da questo processo usciranno irregolari.
Sempre più irregolari
Aumentano i “senza permesso di soggiorno”, si è detto. Dai 530.000 degli inizi del 2018, entro il 2020 potrebbero arrivare a 670.000.
La previsione è contenuta nel dossier statistico Immigrazione 2019 del Centro studi e ricerche Idos, in cui i dodici mesi tra l’estate appena trascorsa e quella precedente, sono definiti “annus horribilis per l’immigrazione” proprio a causa dei due Decreti “Sicurezza”.
Ma perchè tanti irregolari? La causa principale è l’abolizione, disposta dal primo decreto, dei permessi per protezione umanitaria, in precedenza la più diffusa e concessa in Italia ai richiedenti asilo, della durata di 2 anni e rinnovabile – consentiva l’accesso al lavoro, all’assistenza sociale, al servizio sanitario nazionale e all’edilizia residenziale.
La norma ha introdotto permessi per “protezione speciale” per “calamità  naturale nel Paese di origine”, per “condizioni di salute gravi”, per vittime di violenza o sfruttamento lavorativo o per “atti di particolare valore civile”.
“Encomiabili” in attesa di risposta
Cheikh Samba Beye, senegalese di quasi 45 anni, da oltre dieci in Italia, a giugno dell’anno scorso ha salvato due fratellini che stavano affogando nel mare di Ventimiglia. Tra i testimoni c’era anche un consigliere di Stato, che ha scritto al Questore di Imperia. Samba ha ricevuto un attestato “per l’encomiabile gesto” dal sindaco di Ventimiglia, è stato più volte in Prefettura a Imperia. “Mi hanno detto che tutti gli incartamenti sono stati inviati a Roma e ora aspetto la risposta delle istituzioni”, racconta all’HuffPost. Dal salvataggio dei bambini sono passati sedici mesi.
Accoglienza senza integrazione
Un migrante che arriva in Italia e non rientra nelle categorie dei permessi speciali, non potendo più contare sulla protezione umanitaria, che garantiva alle persone non bisognose di protezione internazionale il diritto a restare nel Paese, cosa può fare?
Nel primo Decreto Sicurezza è prevista, per i richiedenti asilo con problemi di salute, la possibilità  di richiedere il permesso di soggiorno per cure mediche. Ma va dimostrato che nel Paese di origine non riceverebbe cure adeguate e la richiesta va inoltrata al Questore, con tempi di risposta – non necessariamente positiva – che possono superare i dodici mesi.
Mettiamo che il migrante in questione sia in buona salute: dove sarà  accolto per effetto delle norme volute da Salvini?
Di certo non in uno dei centri Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), le strutture della rete degli enti locali per realizzare progetti di accoglienza integrata e diffusa sui territori, dal Decreto Sicurezza trasformati in Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e riservati, per l’appunto, solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati.
Il migrante, che avrà  inoltrato richiesta di asilo, sarà  quindi destinato a un Centro di prima accoglienza o a un Centro di accoglienza straordinaria, i famosi Cas che fanno capo alle Prefetture – strutture di grandi dimensioni che ospitano centinaia di persone – nel quale dovrà  attendere l’esito della domanda e quello dell’eventuale ricorso a un diniego della Commissione.
Che, nel caso in cui, come previsto dal primo Decreto Sicurezza, si ricorra a procedura accelerata, può arrivare nel giro di tre mesi e concludersi con un rifiuto e l’uscita dal centro del richiedente asilo.
In genere, però, la risposta arriva in un tempo stimato mediamente in 18 mesi. Un anno e mezzo – ma si arriva anche oltre i 2 anni – nel quale il richiedente asilo non potrà  seguire corsi di orientamento o programmi di inclusione. Con il rischio, tutt’altro che peregrino, di finire a ingrossare le file della manovalanza sfruttata dalla criminalità .
“Tale riforma – si legge nel report di Idos – ha contribuito, insieme al forte calo degli sbarchi, a svuotare il sistema di accoglienza di migliaia di persone, facendole disperdere sul territorio”.
Dai 135.800 del 2018, nei primi 6 mesi di quest’anno i migranti ospitati nei centri di accoglienza è sceso a circa 108.900, di cui 82.600 nei Cas e 26.200, meno di un quarto, nei Siproimi
Tagli e esuberi nel settore dell’accoglienza
Nelle strutture e nel mercato del lavoro legato all’accoglienza e all’integrazione dei migranti si registrano altri effetti delle norme, conseguenza diretta del taglio dei fondi del massimale giornaliero procapite (da 35 a 26 o 21 euro) disposti con il nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza.
Come documentato da HuffPost a giugno scorso erano circa 5 mila i posti di lavoro sfumati – gran parte di italiani – con i quali si era trovata a dover fare i conti solo la Cgil. Oggi la situazione è ulteriormente peggiorata.
“Continuano ad arrivare comunicazioni di esuberi, ma per avere dati aggiornati dobbiamo aspettare che si concludano le procedure di affidamento dei nuovi bandi per l’assegnazione dei servizi di accoglienza nelle strutture di primo livello – puntualizza Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil nazionale – In alcune province, per alcuni lotti, ci risulta che siano andati deserti. Per ora gli ammortizzatori sociali che stiamo mettendo in campo per gestire la situazione, mi riferisco soprattutto al fondo di integrazione salariale che durerà  fino a dicembre-gennaio, sono armi spuntate. Va modificato il Decreto Sicurezza, i profili professionali cancellati devono essere ripristinati”.
E tanti professionisti – insegnanti di italiano, psicologi, mediatori linguistico culturali – il cui profilo è stato soppresso dal primo decreto, pur di non perdere il lavoro, stanno accettando mansioni inferiori alla loro qualifica. Succede al Centro, ancor di più al Sud. “Nel Centro-Sud la situazione è ancora più drammatica perchè le possibilità  di essere ricollocati su altri servizi sono minime”, sottolinea Sabato.
Contratti comprati, lavoro nero per i migranti
A proposito di lavoro, all’entrata in vigore del primo Decreto Sicurezza i richiedenti asilo che avevano la protezione umanitaria, per non precipitare nell’irregolarità , si sono trovati di fronte all’obbligo di convertirla in permessi di soggiorno per lavoro autonomo o dipendente.
Bisogna dunque ottenere un contratto di lavoro: centinaia di migliaia non ce l’hanno fatta e si sono ritrovati irregolari, altri un contratto l’hanno comprato. Tanti lo fanno, il prezzo va dai 300 ai 500 euro.
Una prassi consolidata, che rende queste persone, già  esposte al sopruso perchè prive di diritti fondamentali, ancora più ricattabili. “Non abbiamo una statistica perchè non tutti accettano di parlarne, ma sappiamo della compravendita dei contratti, che avviene soprattutto nel settore agricolo – fa notare Rita Vitale, dell’associazione “A buon diritto”, da anni impegnata per la tutela dei diritti umani sociali e civili – Le persone fanno a gara per avere un contratto di lavoro perchè sanno che è l’ultima possibilità  per ottenere un documento”.
Ghetti rurali…
Quanto gli effetti dei due Decreti Sicurezza abbiano contribuito a creare “le condizioni per un ulteriore ampliamento dei ghetti e del bacino di manodopera a disposizione delle aziende, dello sfruttamento e della criminalità ” è tra i temi del rapporto “La cattiva stagione”, sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti nella Capitanata, provincia di Foggia, al termine del progetto “Terragiusta” portato avanti dell’organizzazione umanitaria “Medici per i diritti umani” (Medu) in collaborazione con diverse associazioni tra cui “A buon diritto”, in uno dei ghetti rurali più grandi d’Italia.
Nel quale vivono e lavorano, in condizioni spesso ai limiti dell’umana sopportazione, fino a 7 mila lavoratori stranieri, in gran parte braccianti in balìa di caporali. L’abolizione della protezione disposta col primo Decreto Sicurezza, rendendo la conversione del permesso in motivi di lavoro una scelta obbligata, ha prodotto “tra i braccianti una sorta di “ansia da contratto di lavoro” – si legge nel report – la ricerca attiva per il migrante si è trasformata nella spasmodica necessità  di possedere un contratto di lavoro a tutti i costi, anche acquistandolo, se necessario”.
Il fatto è che, in assenza di permesso di soggiorno, non si può avere nè contratto di locazione in regola, nè regolare contratto di lavoro. Per cui l’attività  in nero diventa scelta obbligata.
Una circolare voluta da Salvini per accompagnare il Decreto prevede che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non possa essere utilizzato per chiedere l’iscrizione anagrafica. Il che comporta difficoltà  ad avere la carta d’identità , a iscriversi al Servizio sanitario nazionale, ad aprire un conto corrente in banca o alle Poste, dunque ostacoli nell’accesso al mondo del lavoro e l’impossibilità  ad affittare regolarmente un’abitazione, quindi problemi per la residenza.
“Pertanto questa previsione normativa finisce con l’alimentare il mercato del lavoro nero, fornendo manodopera a basso costo e senza diritti”, precisa il rapporto Medu.
…e ghetti urbani
“Una situazione, quella della provincia di Foggia, dove abbiamo anche assistito a un aumento delle aggressioni xenofobe, purtroppo comune a tante parti d’Italia. Penso ai ghetti rurali della Basilicata, della Calabria, ma anche a quelli urbani di alcune zone di Roma, con centinaia di migranti che vivono per strada – ragiona Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu – i Decreti hanno effetti negativi anche sulla salute”. Riferendosi all’emarginazione, alle condizioni igienico-sanitarie in cui i migranti sospinti nell’irregolarità  si trovano a vivere, Barbieri definisce le norme su immigrazione e sicurezza volute dall’ex vicepremier leghista “fattori patogeni per la salute dei migranti perchè generano condizioni sociali che rappresentano fattori di rischio per le malattie. Con costi che, inevitabilmente, pesano sul Servizio sanitario nazionale. I Decreti Sicurezza stanno generando insicurezza e questo clima fa sì che i migranti, molti dei quali reduci dalla Libia, quindi psicologicamente provati, si rivolgano meno al pronto soccorso e agli ospedali”.
Senza medico di base
In Lombardia, per effetto del primo Decreto, quanti attendono la protezione internazionale verranno iscritti al Servizio sanitario regionale per un anno al massimo e senza poter contare sull’assistenza continuativa da parte di un medico di base.
“Abolire la protezione umanitaria è stata una follia. Ci auguriamo che il nuovo Governo faccia qualcosa”, conclude Barbieri.
Mentre per Francesco Portoghese, di “A buon diritto”, “anche nel caso in cui non si voglia reintrodurre l’umanitaria deve esserci una tutela per le persone che non rientrano nello status di rifugiato e non sono titolari di protezione sussidiaria. Quanto ai salvataggi in mare che ben venga qualsiasi azione della società  civile, nel rispetto delle leggi come è avvenuto finora”.
Più rischi in mare
La previsione di sanzioni o sequestro della nave in caso di violazione del divieto di ingresso in acque italiane fino all’arresto del comandante, contenuta nel Decreto Sicurezza bis, è ancora valida.
I dati del Ministero dell’Interno dimostrano che negli ultimi due anni gli arrivi sono diminuiti – dal 1 gennaio al 25 ottobre 2017 erano 111.244 contro i 21.935 dello stesso periodo del 2018 e 9.432 del 2019 – quelli dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati che anche il numero dei morti lungo la rotta del Mediterraneo centrale è calato – 2.688 da gennaio a ottobre del 2017, 1.253 nello stesso periodo del 2018, 688 nel 2019.
Ma in proporzione, a fronte della diminuzione degli arrivi, il tasso di mortalità  è diventato più alto – ogni cento arrivi, 2,41% da gennaio a ottobre 2017, 5,68% nello stesso periodo del 2018, 7,4% quest’anno.
La rotta mediterranea è diventata più pericolosa. Come conferma anche il dossier Idos nel quale il crollo degli arrivi via mare è “collegato all’elevato numero di migranti o fermati lungo la traversata dalla Guardia costiera libica e riportati nei campi di detenzione del Paese oppure annegati lungo la rotta del Mediterraneo centrale, ancora la più letale al mondo con più di 25.000 morti o dispersi dal Duemila a oggi”.
Ong, ieri la guerra oggi il dialogo
Salvini aveva dichiarato guerra alle Ong, sbarrando i porti e obbligando le navi a restare in alto mare per settimane. Diversi gli episoti, ma soprattutto l’eco del caso “Sea Watch 3”, con lo scontro frontare con la comandante Carola Rackete, è ancora viva.
Per Giorgia Linardi, portavoce della Ong tedesca, i Decreti Sicurezza sono “parte di una campagna di criminalizzazione delle Ong iniziata con gli accordi di Minniti con la Libia, con il codice di condotta in mare, le ingerenze della Guardia costiera libica, le dichiarazioni del ministro Di Maio che ci definì per la prima volta “taxi del mare”. Rappresentano l’evoluzione normativa di un’aspra campagna sul piano politico, mediatico e giudiziario iniziata già  anni prima. Via via abbiamo registrato un accanimento, contro il lavoro delle Ong, da parte di alcuni magistrati, un accanimento ispettivo, abbiamo dovuto fare i conti con campagne mediatiche denigratorie violentissime che ci hanno costretto a concentrarci, come mai prima, sulla difesa delle nostre azioni.
Con i Decreti Sicurezza – spiega ancora Linardi all’HuffPost – si è arrivati a legiferare ai danni dei migranti nel primo, ai danni delle Ong nel secondo. Le Ong, che altro non sono che la società  civile in mare, sono state utilizzate strumentalmente come arma di distrazione di massa. Da quando è cambiato il Governo, che sembra voglia tentare di normalizzare la comunicazione, di fatto il Decreto Sicurezza bis è stato considerato lettera morta, in quanto non più applicato, e tuttavia restano ad oggi in vigore i suoi effetti nelle multe fino a 300.000 euro e nei sequestri che gravano su quattro navi e tre Ong. Su tali conseguenze un’azione del Governo è imprescindibile”.
Due giorni fa il nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha incontrato al Viminale le Ong, che “hanno apprezzato la riapertura di un dialogo”. Ma per giudicare sul cambio di strategia servono atti concreti: la Ocean Viking attende risposte da Roma per poter far sbarcare i 104 migranti a bordo. Il memorandum d’intesa con la Libia sarà  rinnovato. E i Decreti Sicurezza restano in vigore.

(da “Huffingtonpost”)

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BUSSETTI SI E’ FATTO RIMBORSARE DAGLI ITALIANI ANCHE 440,95 EURO PER ANDARE AL COMPLEANNO DI SALVINI

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

LE OTTANTA MISSIONI IMMOTIVATE SONO COSTATE AGLI ITALIANI 25.456,24 EURO… NEL CONTO RIMBORSI ANCHE FARSI ACCOMPAGNARE DAL DENTISTA E A VISITARE UNA CASA DA ACQUISTARE

Il caso dell’ex ministro della pubblica istruzione Marco Bussetti e dei rimborsi spese per i suoi viaggi scoppia e diventa politico
“La Corte dei conti apra un’indagine sulle missioni fantasma di Bussetti”, chiede il deputato del Partito Democratico Ubaldo Pagano, “visto che si è fatto rimborsare anche le spese per andare al compleanno di Salvini”.
Bussetti da ministro guadagnava 4.500 euro netti al mese, la sua diaria era di 3.500 euro netti. Quest’ultimi li ha incassati comunque – lo prevede la legge – che abbia affrontato spese di lavoro oppure no.
Tra le missioni 2018-2019 dell’ex ministro ci sono stati undici appuntamenti elettorali pagati con i soldi pubblici.
Su tutti, “la colazione in onore di Salvini” – testuale, secondo agenda – tenuta il 19 marzo 2019 all’Hotel Principe di Savoia di Milano. Marco Bussetti va a spegnere le candeline per il Capitano che compie 46 anni. Costo dell’osanna, 440,95 euro.
Il giorno dopo, buon peso, interverrà  alla scuola politica della Lega. Con i denari di tutti seguirà  il segretario nel famoso comizio di Pontida «governeremo per i prossimi trent’anni» e nell’adunata per l’Immacolata di Piazza del Popolo, a Roma (rientro a casa pagato 135,58 euro).
Ha affiancato candidati leghisti sindaci a Forlì (“Zattini sindaco”), Sant’Arcangelo di Romagna, Ascoli, a Can zo, ad Albavilla. Ha partecipato alle feste della Lega di Alzano Lombardo, Treviglio, Lezzeno.
Le ottanta missioni immotivate sono costate, secondo i conteggi fatti da Repubblica, 25.456,24 euro.
«Non ricordo, dovrei rivedere tutte le carte», ha detto lui, «forse l’agenda è stata gestita male dalla segreteria». L’ex capo della segreteria, Biagio Del Prete, viceprefetto aggiunto, assicura: «L’abbiamo aggiornata minuziosamente, non possiamo sapere se poi il ministro ha partecipato agli incontri».
Alla fine di un tour nel Nord-Est, un autista-agente lo ha accompagnato anche dal dentista milanese lunedì 25 marzo 2019. La mattina dopo il leghista andrà  a controllare il trilocale che sta acquistando a Gallarate per 190 mila euro (rientro su Roma pagato dallo Stato).

(da agenzie)

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GABRIELLI MINACCIA DI QUERELARE IL LEGHISTA MOLINARI: “MAI DETTO CHE LUCA SACCHI FACESSE USO DI DROGHE”

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

IL CAPO DELLA POLIZIA REPLICA AL CAPOGRUPPO DELLA LEGA CHE AVEVA DISTORTO LE SUE PAROLE

“Non ho mai fatto riferimento all’uso di droghe, men che mai da parte della vittima. Chiunque lo sostiene fa affermazioni prive di fondamento, calunniose verso le istituzioni e chi le rappresenta, rischiando tra l’altro di provocare ulteriore dolore ai familiari della vittima”.
Lo dice il capo della Polizia Franco Gabrielli replicando al capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari che ieri aveva criticato le sue parole dopo l’omicidio di Luca Sacchi, annunciando azioni legali in caso di ulteriori “mistificazioni”.
Il giorno dopo l’omicidio, sottolinea ancora Gabrielli “mi sono limitato a dichiarare, per evitare letture distorte e strumentali dell’accaduto, che gli accertamenti investigativi, una volta resi pubblici dall’Autorità  giudiziaria, avrebbero evidenziato come non si fosse trattato di un semplice scippo”.
In ogni caso, senza “mai proferire quindi le parole ‘droga’ o ‘drogato’. “Inoltre, ricorda, “ho chiesto a tutti di adottare un atteggiamento di riflessione e rispetto di fronte alla morte di un ragazzo di 24 anni”. Per questo, conclude Gabrielli, “ulteriori mistificazioni delle mie parole comporteranno conseguenti azioni legali”.
Cosa aveva detto ieri Molinari? Ieri aveva rilasciato alle agenzia di stampa questa dichiarazione: “Da un capo della Polizia ci si aspetta silenzio e rispetto, perchè è indegno accostare Luca Sacchi all’idea di un drogato. Più che mettere bavagli social ai propri uomini, Gabrielli si dovrebbe preoccupare di tutelarli e farli lavorare in condizioni decenti”.
Quindi Gabrielli ha fatto bene a minacciare querela, anzi avrebbe già  dovuto farla

(da agenzie)

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ILARIA CUCCHI OSPITE A DOMENICA IN: SUI SOCIAL INSULTI VERGOGNOSI DEI SOLITI DELINQUENTI CHE NESSUNO VA A CERCARE

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

SIAMO UN PAESE DOVE VIGE L’IMPUNITA’ PER DIFFAMATORI E RAZZISTI

“Mi manca mio fratello, mi manca da morire” e intanto, mentre Ilaria Cucchi legge su Rai Uno alcuni passi del libro dedicato alla morte del fratello Stefano, sotto il post dedicato all’ospite condiviso sui social da Domenica In spunta una vergognosa sequenza di insulti.
“Pensi ai soldi”, “Ma basta! E i poliziotti e i carabinieri che hanno perso la vita?”, “Morto da solo come un cane…hai detto bene ma questo è accaduto per scelta sua e vostra come famiglia” . E anche, “Scusa, perchè non parli di Bibbiano?”.
E’ questo il tenore di moltissimi dei commenti, in tutto oltre 400, postati sotto una breve clip dell’intervista a Ilaria Cucchi, accompagnata dall’avvocato ( e suo compagno) Fabio Anselmo.
Una testimonianza forte che evidentemente però ha “disturbato” il pubblico della tivvù domenicale.
C’è chi se la prende direttamente con la Venier: “Domenica la gente vuole un pò di leggerezza ed in questo tu sei brava, e invece quel tono di voce lacrimevole non ci sta proprio”, chi contro la giovane donna: “Quando finirà  questa telenovela, ancora a lucrare sul fratello, sappiamo vita morte e miracoli di questa storia, non se ne può più”. E un altro che commenta: “Oggi mio figlio si è sintonizzato su Rai 1 per sbaglio. Mi ha rovinato la domenica. Ho smemorizzato il primo canale, così neanche per sbaglio lo vedremo più”.
E questi sono i commenti diffamatori pubblicabili, poi ci sono gli insulti.
Questo è il Paese dell’illegalità  dove si può istigare all’odio sui social, tanto nessuno li va a cercare a casa.

(da agenzie)

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GENOVA, LA MULTA LEGHISTA AI POVERI CHE FRUGANO NEI CASSONETTI E’ UN FLOP: APPENA 2 MULTE PAGATE SU 217 IN DUE ANNI

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

COME AVEVAMO DENUNCIATO: UNA MISURA INUTILE E VERGOGNOSA PER UMILIARE CHI CERCA NEI RIFIUTI QUALCOSA CON CUI CAMPARE… E ORA IL M5S DENUNCIA IL COMUNE ALLA CORTE DEI CONTI PER DANNO ERARIALE DA ATTIVITA’ DI POLIZIA

Due multe pagate su 217 emesse, per un’entrata di un centinaio di euro in oltre due anni.
Sono il topolino partorito dalla norma del comune di Genova, voluta dalla giunta del sindaco leghista Marco Bucci, che punisce chi fruga nei cassonetti in cerca di cibo.
Già  dal 2011 l’articolo 28, comma 1 del regolamento di polizia urbana prevede una sanzione di 200 euro per chi bivacca in luogo pubblico, applicata per la prima volta lo scorso luglio a un senzatetto che dormiva sotto i portici del centro.
A marzo 2018, la maggioranza di centrodestra ha “aggiornato” il testo inserendo una multa anche per chi “deturpa il suolo pubblico con rifiuti solidi urbani, indebitamente prelevati dai contenitori”: pena prevista, in questo caso, 50 euro.
Ma com’era prevedibile l’efficacia è risultata quasi nulla, con meno dell’1% di sanzioni riscosse da luglio 2017 a oggi.
Tanto che pure l’assessore leghista alla Sicurezza Stefano Garassino, il principale sponsor della guerra ai clochard (“Il primo che mi chiede l’elemosina lo prendo a calci nel sedere”, dichiarò in pubblico), ha dovuto ammettere il fallimento: “Da questi dati risalta che, in quanto rivolti a nullatenenti, la maggior parte dei verbali non venga pagata, riducendo in pratica l’intervento a un richiamo della persona che compie questi atti”, ha scritto in risposta a un’interrogazione del consigliere comunale M5S Stefano Giordano.
Che da parte sua ha presentato alla Corte dei conti un esposto per danno erariale, con riferimento sia all’attività  degli agenti municipali, sia a quella degli uffici giudiziari.
Già , perchè per ogni persona sorpresa a rovistare la polizia è tenuta non solo a notificare la multa, ma anche a segnalare in Procura la notizia di reato con l’ipotesi di furto.
E poco importa che i pm genovesi finora abbiano sempre chiesto l’archiviazione: un fascicolo viene aperto e tanto basta, secondo Giordano, a integrare uno spreco di denaro pubblico.
“L’esposto è rimasta l’unica mossa possibile dopo che la giunta ha rifiutato ogni tipo di confronto”, dice il consigliere pentastellato a Ilfattoquotidiano.it. “Dopo appena una settimana dalla modifica del regolamento al sindaco sono state consegnate 10mila firme contrarie, che ha ignorato. Ad aprile abbiamo presentato una mozione per chiedere di modificare la delibera, bocciata col voto unanime dei gruppi di maggioranza, e a luglio, dopo il caso del clochard multato, un’interrogazione rimasta senza risposta. Eppure sappiamo per certo che anche ad alcuni assessori questa norma non va giù, perchè, oltre ad essere inutile, è un pessimo esempio per tutti. Va contro la Costituzione e i più basilari principi di civiltà , e dimostra che per Bucci gli spot vengono prima della sostanza. Con tutto quello che potrebbero fare agenti e magistrati, è davvero necessario metterli a perseguire chi fruga nei cassonetti?”, si chiede.
“È del tutto evidente che lo spiegamento di forze che comporta l’emissione di ben 217 verbali non è giustificato da quanto riscosso con l’attività  sanzionatoria — scrive il consigliere Giordano nell’esposto ai magistrati contabili — In più, queste multe rischiano di essere controproducenti per la risocializzazione dei clochard sanzionati, dal momento che i pochi di loro che riescono a trovare un’occupazione preferiscono, di fronte alla prospettiva di subire azioni esecutive forzose, rimanere nullatenenti e sprovvisti di un lavoro regolare”.
“Non è un’iniziativa di bandiera, ma crediamo davvero che i soldi dei cittadini genovesi dovrebbero essere impiegati meglio — commenta — E insieme ai nostri avvocati abbiamo ritenuto che ci fossero gli estremi per ipotizzare un danno erariale. Speriamo sia un modo per mettere la giunta di fronte alle sue responsabilità ”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ELEZIONI TURINGIA: VINCE LA SINISTRA DI LINKE, RADDOPPIANO I CONSENSI I NEONAZISTI DI AFD

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

IL LEADER AFD CHE SFILA CON I NEONAZISTI E GLI HOOLIGAN RAGGIUNGE IL 24%… INVECE DI METTERLO IN GALERA GLI PERMETTONO PURE DI PRESENTARSI ALLE ELEZIONI

Secondo le prime proiezioni il 24%, dunque un elettore su quattro, ha scelto di mettere la crocetta sull’Afd. Un partito guidato oltretutto, in questo Land della vecchia Germania Est, da un personaggio controverso come Bjoern Hoecke. Un politico noto per aver definito il monumento all’Olocausto “una vergogna” e per aver sfilato in mezzo ai neonazisti e gli hooligan di Chemnitz, a settembre del 2018. Cinque anni fa, l’Afd aveva preso il 10,6%.
Ottimo anche il risultato incassato dal governatore uscente, Bodo Ramelow: la sua Linke raggiunge il 29,7%, guadagna un punto rispetto alle ultime elezioni.
Intervistato a caldo, Ramelow ha detto che “la stragrande maggioranza ha scelto partiti democratici”. A chi gli chiedeva del balzo dell’Afd, Ramelow ha replicato “il 76% non li ha votati”. E si è detto soddisfatto dell’alta partecipazione al voto.
I socialdemocratici subiscono l’ennesima sconfitta e scendono sotto il 10%, all’8,5%. I Verdi arrivano al 5,5%.
Secondo il leader della Cdu, Mike Mohring, che perde undici punti e scivola al 22,5%, c’è ancora la possibilità  di un’alternativa, se Ramelow non riuscisse a mettere insieme un governo.
Ad esempio con una coalizione Zimbabwe: Cdu-Spd-Verdi-Fdp. Ma i liberali Fdp dovranno aspettare i risultati definitivi; sono al 5%, proprio sulla soglia di sbarramento.
Quello che è certo, e il vicecancelliere Olaf Scholz (Spd) lo ha già  chiarito in un’intervista all’Ard, è che “nessuno farà  una coalizione con l’Afd”.

(da agenzie)

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“BAGHDADI SARA’ ANCHE MORTO MA I MILIZIANI CI SONO ANCORA”

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

I CURDI NON SI FANNO ILLUSIONI, SI TEMONO FUGHE DAI CENTRI DI DETENZIONE E RAPPRESAGLIE

A Qamishlo, Rojava, Siria del Nord Est, sono le 3 del pomeriggio quando il presidente statunitense Donald Trump conferma che Abu Bakr al Baghdadi, il leader dell’Isis, è stato ucciso in un’operazione condotta dalle forze speciali.
In strada non si parla d’altro, anche se molti non ci credono. “Magari è scappato, forse non era lui”, mormorano gli anziani mentre si avviano a fare colazione verso il bazar.
Ed è proprio qui che un’autobomba è esplosa 5 giorni fa. Nessun morto, nessun ferito. Ma è la dimostrazione che Isis è stato sconfitto ma non è finito. E anche oggi che viene annunciata la morte del suo leader, non significa che la pace sia finalmente arrivata.
Murat, un venditore di miele e formaggio sorride mentre serve i clienti come ogni giorno. Quando parla del futuro però la sua espressione cambia, si vela di preoccupazione. “Baghdadi sarà  anche morto ma i miliziani ci sono ancora”.
Bali continua a guidare con gli occhi fissi sulla strada e le mani serrate sul volante. È pensieroso mentre guida verso al Hol dove un vecchio campo profughi risalente alla prima guerra del golfo ospita oggi i familiari dei combattenti di Daesh (ISIS in arabo) e dove oggi tra i foreign fighters e i miliziani locali sono trattenute anche le donne del califfato.
Adesso che il loro leader è stato ucciso si temono rappresaglie, i miliziani vorranno vendetta. A dirlo è stato anche Mazloum Abdi, comandante generale delle Forze Democratiche Siriane, che in un tweet ha definito storica e di successo l’operazione in cui è stato ucciso il Califfo.
Girando per le vie del villaggio di al Hol la tensione è evidente. Bali non è contento di fermarsi, figurarsi scendere dalla macchina. Anche i residenti hanno paura. Temono che la morte del leader dello Stato islamico possa rendere più aggressivi i tentativi di fuga dei jihadisti rinchiusi nel campo. “Abbiamo paura, anche se la città  è molto controllata tutti sanno dei tentativi di fuga” racconta un uomo che si protegge dal sole sotto la tettoia del suo negozio.
Alcuni sostengono che un gruppo di miliziani ancora in libertà  possano aver cercato di facilitare la fuga. Una sensazione di pericolo diffusa dunque, tanto che Redur Xelil, un ufficiale delle Forze Democratiche Siriane, ha dichiarato in conferenza stampa che da oggi il lavoro di intelligence sarà  intensificato per individuare cellule dormienti in grado di compiere attentati.
Intanto però nel Rojava si aspetta. Perchè tra poche ore scade l’ultimatum che il presidente turco Erdogan ha dato ai curdi per ritirarsi dalla “safe zone”. Uno scenario che la morte di Al Baghdadi potrebbe sicuramente cambiare. In che modo, però, è ancora tutto da vedere.

(da “Huffingtonpost”)

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ASPETTANDO MARA: COSA SI MUOVE AL CENTRO TRA RENZI, CALENDA, BONINO E PARISI

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

CARFAGNA E’ L’UNICA A POTER FEDERARE LE VARIE ANIME DEL CENTRO, MA PRIMA DI USCIRE ALLO SCOPERTO VUOLE VEDERE CHE LEGGE ELETTORALE SARA’ ADOTTATA

Il Pd verso la possibile alleanza strutturale con i Cinquestelle. Forza Italia in piazza al fianco dei sovranisti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
E il centro che rimane scoperto, oggetto di una vera e propria corsa che per il momento, però, è ancora senza vincitori.
In questi giorni impazziti non tutto è perduto, perchè esistono ancora personalità  politiche del fu centrodestra che non alimentano rabbia e risentimento popolare, che non costruiscono consenso sull’odio, che non diffondono fake news, che non strizzano l’occhio a populisti e sovranisti, che non si piegano alle più malsane teorie della cospirazione, che non si adeguano al tempo dei Trump e dei Putin, che non vogliono affondare le barche dei migranti, che si indignano per le sofferenze dei curdi, che difendono la libertà  di stampa, che si battono contro i femminicidi,
La domanda, in fondo, rimane la stessa. Chi sarà  in grado di ereditare la parte principale dei voti moderati di centrodestra? Gli elettori che, per intenderci, un tempo sceglievano in massa il Popolo delle libertà  e Forza Italia. O anche, seppur ovviamente in misura minore, partiti come l’Udc
Con un’avvertenza, quella che lo storico e politologo Giovanni Orsina ha consegnato qualche giorno fa a Formiche.net: “Ricordiamoci sempre che si tratta di un’area piuttosto ridotta: i cittadini ormai vanno conquistati con provocazioni, con parole d’ordine forti. La scena pubblica è così rissosa che bisogna strillare. E strillare dal centro non è mai stato facile”.
Chi ha fatto chiaramente intendere di puntare al centro, o a quello che ne resta, è Matteo Renzi che domenica scorsa, dal palco della Leopolda, ha spiegato le sue ambizioni macroniane e rivolto un appello inequivocabile ai dirigenti azzurri delusi dalle ultime decisioni del Cavaliere: “A chi crede che c’è spazio per un’area liberale e democratica dico di venire a darci una mano. Italia Viva è aperta”. Certo, il centro che immagina Renzi sembrerebbe rimanere ancorato, almeno per ora, al centrosinistra, se non altro per il fatto che Italia viva è uno degli azionisti fondamentali della maggioranza guidata da Giuseppe Conte.
Discorso diverso per Carlo Calenda che proprio in virtù della decisione di dar vita al governo giallorosso ha deciso di abbandonare il Pd per fondare un nuovo soggetto politico in tandem con l’altro ex democratico Matteo Richetti. Nome e simbolo sono ancora in fase di gestazione ma una data ipotetica c’è. “A metà  novembre lancio il mio partito”, ha annunciato qualche settimana fa l’ex ministro dello Sviluppo economico. Che nel frattempo si muove in cerca di possibili compagni di viaggio.
In quest’ottica non è un mistero che Calenda sia sempre stato legato da un rapporto di stima a Emma Bonino e Benedetto Della Vedova di + Europa, di cui avrebbe potuto far parte in occasione della campagna elettorale del 2018 quando, infine, scelse di non candidarsi e poi, a qualche giorno dal voto, di iscriversi al Pd.
Un partito che però ad oggi, e salvo improbabili ripensamenti, non è più il suo e dal quale si è ormai allontanata definitivamente pure + Europa orgogliosamente all’opposizione del governo Conte.
Il partito di Bonino e Della Vedova — che nelle ultime settimane ha perso i deputati Bruno Tabacci e Alessandro Fusacchia, entrati entrambi in maggioranza — rimane tra i più attivi per creare una casa comune liberale e popolare. In questo senso lavora, ad esempio, Piercamillo Falasca che l’11 ottobre scorso ha promosso a Napoli un incontro pubblico, dal titolo simbolico “Un’alternativa c’è”, al quale
hanno partecipato Calenda, Bonino e anche Stefano Parisi.
In questi giorni il leader di Energie per l’Italia ha criticato la scelta berlusconiana di presentarsi in piazza San Giovanni al fianco di Lega e Fratelli d’Italia ma, a differenza di Calenda e Bonino, ha una caratteristica: quella di essere da sempre parte del centrodestra verso il quale spesso non ha lesinato parole polemiche in questi anni, senza però mai mettere in discussione la propria partecipazione a quel fronte.
Un dato che, a seconda di come si comporrà  la prossima geografia politica, potrebbe risultare non indifferente. Perchè un conto è immaginare che nasca un centro autonomo e contrapposto al centrodestra e tutt’altro che possa rinascere la gamba moderata del centrodestra, oggi sempre meno rappresentata da Forza Italia. Anche se poi molto dipenderà  dalla prossima legge elettorale
Per questa ragione in molti guardano a Mara Carfagna — che a piazza San Giovanni non è andata — come possibile federatrice di un nuovo partito popolare e centrista.
“Vogliamo dare voce a quella parte di Forza Italia che non si rassegna a diventare succube del sovranismo”, ha affermato qualche giorno fa da Bianca Berlinguer su Rai Tre la vicepresidente della Camera. Che poi però ha aggiunto: “Pensare di abbandonare Forza Italia è fuori discussione. Sono nata e cresciuta lì. È casa mia”.
Al momento, dunque, Carfagna non saluterà  gli azzurri. Ma, se dovesse accadere, sarebbe probabilmente lei la candidata naturale a guidare un nuovo partito di centrodestra di stampo, però, liberale e popolare. Sempre che, nel caso, non sia troppo tardi.
La prudenza di Mara Carfagna contrasta con l’irruenza di Renzi, ma non ci sono elezioni in vista, non sappiamo nemmeno con quale legge elettorale andremo a votare e non serve affrettare i tempi, almeno per ora. Carfagna fa bene a giocare la partita interna dentro Forza Italia, anche se il movimento fondato da Silvio Berlusconi non è un partito contendibile, ma sono lì i voti da recuperare ai nazionalpopulisti.
Prima o poi, però, Carfagna dovrà  fare una scelta, tra ricostruire una casa moderata e liberale dentro il vecchio centrodestra e liberarsi una volta per tutte del rapporto con sovranisti, filorussi e razzisti. Ovviamente molto dipenderà  dalla legge elettorale, perchè più sarà  maggioritaria più sarà  difficile tagliare il cordone ombelicale con l’ex Polo.
Ma se il metodo dovesse essere proporzionale, come da vago accordo di governo, la trama potrebbe davvero mutare

(da agenzie)

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L’EX MINISTRO LEGHISTA BUSSETTI HA CHIESTO IL RIMBORSO ANCHE QUANDO E’ ANDATO AL COMPLEANNO DI SALVINI

Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile

DAL PARLAMENTO SI CHIEDE L’INTERVENTO DELLA CORTE DEI CONTI SULLE MISSIONI FANTASMA PAGATE DAI CONTRIBUENTI

Una cosa incredibile sulla quale fare chiarezza: “La Corte dei Conti apra un’indagine sulle missioni fantasma e i viaggi elettorali dell’ex ministro dell’Istruzione Bussetti, pagati con i soli dei contribuenti. Le carte pubblicate da “Repubblica”, 80 missioni non giustificate su 133, tra le quali molte nella sua terra natale in Lombardia in coincidenza con il fine settimana, svelano un quadro imbarazzante, con una presunta ‘cresta’ da oltre 25mila euro”
Lo ha scritto su Facebook il deputato del Partito democratico Ubaldo Pagano. “Cè’ anche il rimborso chiesto – prosegue Pagano – per andare a spegnere le candeline per il compleanno di Matteo Salvini: 440,95 euro. Questo è il modo in cui la Lega intende usare i soldi dei cittadini? Il partito dei 49 milioni di euro rubati dalle tasche dei cittadini, il partito delle trattative per presunte tangenti all’Hotel Metropol a Mosca. Caro Salvini, parlaci di Bussetti!”.
Fratoianni presenterà  un’interrogazione
“Nella saga leghista non bastavano i capitoli dedicati ai 49 milioni di euro dei cittadini italiani spariti o i rubli. Ora si arriva pure alle centinaia di missioni fantasma a spese dello Stato del ministro leghista dell’Istruzione per poter tornare a casa a gratis. Certo una vicenda minore se paragonata ai misteri milionari degli altri capitoli, ma che segna un malcostume inaccettabile.
Lo afferma Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana-Leu, dopo l’inchiesta sulle missioni dell’Ex ministro dell’istruzione che appare sulle pagine de La Repubblica
“Ci auguriamo che le autorità  competenti – prosegue il parlamentare di Leu della commissione scuola di Montecitorio – verifichino tutto e prendano gli adeguati provvedimenti.”
“Tuttavia, poichè Bussetti è tornato a fare il direttore dell’ufficio scolastico di Milano, una domanda si pone – conclude Fratoianni – è opportuno che continui a dirigere un così importante ufficio finchè l’inchiesta non sarà  conclusa? È quello che chiederemo al ministro Fioramonti con un’interrogazione parlamentare.”

(da Globalist)

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