Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
IL PREMIER A MOSCA LE SPARA GROSSE: “SU DI ME SOLO GOSSIP E FALSITA’… “IL TERZO POLO? VOGLIONO ALLEARSI CON LA SINISTRA”…
FINI REPLICA: “E’ RIDICOLO, GOVERNARE NON VUOL DIRE COMANDARE”
“Non sono malato, non ho mai fatto affari privati con la Russia e non ho nessuna
intenzione di farmi da parte”.
E’ questo, in estrema sintesi, il messaggio che Silvio Berlusconi lancia all’indomani dell’ennesima tempesta scatenata da WikiLeaks.
Ironia delle sorte, le rivelazioni del sito di Julian Assange sulle preoccupazioni americane per i rapporti troppo stretti tra palazzo Chigi e il Cremlino sono arrivate proprio in occasione dell’ennesima visita del presidente del Consiglio in Russia.
Quindi non molla la poltrona e, quanto al voto di fiducia del 14 dicembre, il premier si è detto certo ” che non avrà comunque la forza di mandarlo a casa in quanto la raccolta di firme alla mozione di sfiducia, che prefigura una nuova maggioranza, è semplicemente “una bufala”.
Berlusconi ha rivendicato anche il merito di aver contribuito con il suo aiuto all’assegnazione del Mondiale di calcio 2018 alla Russia.
Che ormai Berlusconi abbia perso il contatto con la realtà lo si può notare anche dal fatto che non sono solo gli avversari del premier a parlare di una nuova maggioranza in Parlamento.
A contraddire Berlusconi ci sono anche membri della sua coalizione. «Facendo i conti della serva la maggioranza non c’è più», ha detto ieri ad Annozero Roberto Castelli, mentre Roberto Maroni ha ammesso che «in Parlamento c’è una maggioranza alternativa».
Ma Silvio vive ormai in un’altra dimensione e aggiunge: “il terzo polo è esile nei numeri ma certamente smisurato nelle ambizioni”.
Senti chi parla…
Immediata la replica di Fini alle parole del premier: «È stato molto divertente quello che ho sentito dire, che il terzo polo sarebbe composto da alleati naturali della sinistra. Trovo ridicolo quello che ha detto Berlusconi».
Parlando del terzo polo, Fini ha aggiunto: «In quest’area si sono ritrovati i parlamentari di Fli, Casini dell’Udc, che è stato nel governo Berlusconi, l’Mpa di Lombardo, alleato di Berlusconi, La Malfa, Tanoni, Melchiorri, Tabacci dell’Api, tutti nel governo di Berlusconi. Per cui – ha proseguito Fini – prima di dire che chi non la pensa come lui è della sinistra, rifletta sul fatto che uomini e donne del Pdl hanno detto che avanti così non si poteva andare. A Berlusconi ricordo – ha concluso Fini – che governare non vuol dire comandare».
Fini sostiene che “con questi chiari di luna non si può chiedere il voto”: «L’Italia ce la può fare se iniziamo a tenere sotto controllo il debito pubblico. È fuori d’opera dire che se non ci sono le condizioni si va al voto».
Secondo Fini « è il momento in cui l’Italia deve mettere sul tappeto 120 miliardi di euro in titoli: e con questi chiari di luna si va verso la campagna elettorale? Bisogna che tutti si assumano le responsabilità e io – ha aggiunto Fini – credo di essermele assunte negli ultimi tempi».
E sul governo dice: «Credo che il Parlamento tra qualche giorno testimonierà quello che tutti sanno, e cioè che il governo non c’è più o non è in grado di governare».
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE PROVINCIALE LEGHISTA PIETRO GIOVANNONI CHIEDE DI NEGARE UN AIUTO ECONOMICO ALLA “MARATONA DEL SANTO” PERCHE’ “CORRONO E VINCONO SOLO EXTRACOMUNATARI IN MUTANDE”… POTREBBE PROVARE A BATTERLI LUI: SIAMO CERTI CHE A CALCI NEL CULO CORREREBBE PIU’ VELOCE
La dodicesima edizione, organizzata come sempre da Assindustria Sport Padova, si svolgerà il 17 aprile 2011.
E, come è accaduto in passato, saranno gli atleti stranieri i grandi favoriti della Maratona di Sant’Antonio, che ogni anno spinge migliaia di atleti a correre lungo il percorso del Santo fino in Prato della Valle a Padova.
Un appuntamento importante nella tradizione delle maratone che si svolgono in Italia e che vede sempre la partecipazione di quotati atleti di valenza internazionale.
Non a caso il 25 aprile 2010, sul gradino più alto del podio, è salito, tra gli uomini, Gilbert Chepkwoni. Mentre tra le donne si è imposta Rael Kiyara. Entrambi keniani.
Un predominio del “continente nero” che non va giù al Carroccio.
Meglio allora, come ha sostenuto ieri sera, in consiglio provinciale, l’esponente leghista Pietro Giovannoni, intervenuto nel dibattito sul tracciato della maratona, che gli enti locali non continuino a finanziare una manifestazione alla quale in maggioranza partecipano “atleti africani o comunque extracomunitari in mutande”.
Giovannoni non è nuovo a esprimere affermazioni offensive.
In occasione della discussione della mozione contro l’omofobia parlò di “culattoni e lesbiche”.
Giustificandosi poi per l’uso del termine ingiurioso con il fatto che “in Veneto si dice così”.
Questo è il prodotto della cultura leghista e di quella pseudo-destra affaristica che ne ha favorito l’espansione.
Un ringraziamento al premier che, per salvarsi da due processi, ha regalato il Veneto a soggetti come questo di cui può andare fiero quando parla di “eleganza”.
Quanto al Giovannoni non sia pessimista, partecipi pure lui alla maratona, qualche buona possibilità l’avrebbe.
Soprattutto siamo certi che con il sostegno di una giusta e continuativa dose di calci nel culo finirebbe per correre più veloce degli odiati “negri”.
In alternativa c’è sempre il trattamento sanitario obbligatorio.
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
SI SONO SVOLTI STAMANE I FUNERALI DI PAOLO SIGNORELLI, PROFESSORE DI FILOSOFIA, IDEOLOGO DEL MSI E TRA I FONDATORI DI ORDINE NUOVO…HA SUBITO 7 ANNI DI CARCERE E 3 DI ARRESTI DOMICILIARI PRIMA DI ESSERE RICONOSCIUTO COMPLETAMENTE ESTRANEO AI REATI CONTESTATIGLI
Si è spento giovedì notte, dopo aver lottato contro una lunga malattia Paolo Signorelli,
professore e ideologo del Movimento sociale italiano e tra i fondatori di Ordine nuovo.
Signorelli è stato protagonista di molte vicende politiche e giudiziarie legate alla storia politica della destra italiana.
E’ stato imputato per la strage alla stazione di Bologna e altri numerosi omicidi politici, ma sempre assolto. Le esequie si terranno venerdì alle 10, nella chiesa di Santa Chiara, a piazza dei Giochi Delfici, a Roma. È morto in una clinica a Roma.
Signorelli, 76 anni, era nato a Viterbo il 14 marzo 1934.
Professore di filosofia, aveva fondato Ordine Nuovo, poi sciolto dall’allora ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, e il Fronte Sociale Nazionale.
È stato imputato per gli omicidi dei giudici Vittorio Occorsio, avvenuto il 10 luglio del 1976, e Mario Amato, assassinato dai Nar il 23 giugno del 1980 a Roma.
In entrambi i casi è stato assolto in appello dopo essere stato condannato all’ergastolo in primo grado.
L’accusa più grave mossa a Signorelli è stata di aver ideato la strage alla stazione di Bologna, ma anche per questa imputazione è stato assolto.
Prima che la sua innocenza fosse riconosciuta, Signorelli aveva subito tre condanne all’ergastolo e aveva scontato sette anni di carcere e mille giorni di arresti domiciliari.
Della sua vicenda di «perseguitato politico» si sono occupati a lungo Amnesty International e il Partito Radicale, con il quale aveva collaborato negli ultimi anni di vita.
Nel suo più recente libro, “Di professione imputato”, Signorelli aveva ricostruito tutte le sue disavventure giudiziarie.
Dopo essere stato scagionato da tutte le accuse si era ritirato a Marta sul lago di Bolsena, in provincia di Viterbo, dove vive e lavora anche il fratello Ferdinando Signorelli, parlamentare per varie legislature del Msi.
Pubblichiamo un ricordo di lui.
Canuto, occhiali Rey-ban neri, sigaro chiuso tra le labbra sottili, che con cadenza regolare libera la bocca lasciando il posto ad un sorriso da uomo ludens, stile casual, mai borghese, sempre giovane, camicia sbottonata anche d’inverno, passo cadenzato, fine osservatore dall’eloquenza pungente e allegorica.
Questa la prima immagine che elabora la mia mente di Paolo Signorelli.
Figlio di un tempo ingrato, giovane soldato di una generazione che, per una manciata di minuti non ha preso parte all’ultima battaglia della guerra del “sangue contro l’oro”, conserverà sempre viva la rabbia per non essere stato “nel tempo giusto un leone morto”.
La politica per Paolo comincia così, con una sassaiola contro gli occupanti americani, all’età di 11 anni; in questa prima “intifada” si sprigiona la sua essenza di eretico, grazie alla quale potè estraniarsi, alla ricerca di una salutare solitudine, dagli insegnamenti dei cattivi maestri, “vili, felloni, voltagabbana”, del suo tempo.
“Il viandante intraprende il suo viaggio con due libri nel tascapane Rivolta contro il mondo moderno di Evola e i Proscritti di Von Salomon. Poi impara a coniugare Nietzsche ed Heiddeger con Platone, Marinetti con Papini, Codreanu con La Rochelle, Brasillac con Cèline, Ortega y Gasset con Ezra Pound. Poi Berto Ricci e Junger…”e diventa correttamente eretico e jungerianamente ribelle, al punto da rappresentare un problema, per la chiusura dogmatica di un partito, poi un pericolo, per uno stato di “camerieri”, che richiede un popolo schiavo.
1980 il suo tormento, l’accusa di strage e dell’omicidio Amato e Occorsio, stimolate dalle rivelazioni di un pentito, reati dai quali soltanto dopo dieci anni di carcere sarà scagionato.
Dieci anni per sperimentare la verga della macchina stato, per guardare in faccia i veri nemici, per sognare la vittoria, il sole, le catene che si spezzano. Dieci anni riversati nel libro di “Professione imputato” del 1996, la sua confessione arrabbiata dell’imputato e dell’uomo.
Esce nel 1990, umiliato, stanco, ma non desideroso della resa, sempre la stessa luce negli occhi, lo stesso fuoco nel cuore, un po’ di chili in meno, qualche botta in più sul corpo, lo spirito intatto, privo di macchia, pronto a ripartire.
E riparte con entusiasmo fonda il periodico Giustizia Giusta e l’associazione per la Giustizia e il diritto Enzo Tortora, uomo dimenticato e ugualmente spezzato dalla malafede di quanti “non possono volare”.
Entra nelle carceri, nelle aule di tribunale, in difesa di popoli, uomini offesi e privati della dignità oltre che della libertà ; Giustizia Giusta il suo mezzo per gridare al mondo che si è in gioco e non ci si è arresi, si aspetta soltanto il momento giusto per cavalcare la Tigre.
Rincorre i momenti, l’indifferenza degli “amici” non lo spaventano, le lotte studentesche, le ribellioni degli ultras, le realtà di gruppi giovanili, ma si accorge di trovarsi in uno stato in cui anche la gioventù è diventata anemica.
Quel momento finalmente arriva, ci crede ed entra nel Fronte Sociale Nazionale, dove lungi dal voler per forza essere un capo, si accontenta soltanto di parlare con i suoi ragazzi, condividerne la passione e l’energia.
Rimane volontariamente, non per mancanza di capacità , lontano dai giochini della dirigenza, li sopporta, ma comincia a scalpitare, troppo partito, poca politica. Teneva nel giusto conto gli interessi elettorali, garantiti da un sistema che definiscono democratico, al punto da lasciare il Fronte per non piegarsi ad essi, portando via con sè la mia generazione, affascinata più dalla sua utopia, che dalle promesse di carriera e soldi.
E continuiamo insieme sulla strada diritta che non va nè a destra nè a sinistra, ma vanti, per farla finita con la destra, con i ghetti con il folklore vuoto e privo di vita.
Benevento 2006, Laboratorio politico forza uomo, una nuova partenza, un progetto abbastanza utopico da essere vincente, ci crediamo, lo seguiamo, fieri e convinti.
Si riparte dai territori, da quelle sassaiole per difendere uno spazio proprio, dal risveglio delle coscienze assopite ed umiliate dei popoli del sud, più confacenti alla ribellione a suo dire, perchè a più stretto contatto con il sole; si riparte dalla immagine di rivoluzione, di nichilismo attivo, perchè solo sulle rovine si può tornare a costruire.
Il laboratorio una scelta definitiva per provare a spostare più avanti i paletti del possibile, un altro sentiero del “terribile”da battere.
Una scelta che affronta come garzone di bottega non come capo, avendo sempre ritenuto non fosse quello il suo ruolo, un capo coagula, gestisce,ci disse una volta, a me piace correre da solo.
Viene fermato nella marcia da una malattia, dai fantasmi di un isolamento che lo aveva logorato, si addormenta giovedì 1 dicembre con il consenso degli Dei.
Starà ora brindando e banchettando con gli eroi, come amava fare con noi, sorridente, arrabbiato, fiero, per non essersi piegato nemmeno un momento dinanzi ai colpi inflitti al suo spirito, sicuro di aver lasciato un esempio ed una speranza, che non potremo dimenticare, perchè Paolo ha fatto quello che doveva esser fatto, senza inganni nè ripensamenti.
Un’avanguardia procede senza voltarsi indietro a guardare cosa fanno le salmerie.
E una pattuglia di notte ha come guida il sogno e le stelle.
Marina Simeone
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
LA FUGA DEI CERVELLI E’ COSTATA ALL’ITALIA 4 MILIARDI DI EURO: IN VENTI ANNI OGNI RICERCATORE “TOP” VALE 148 MILIONI DI EURO IN BREVETTI…QUELLI CHE RESTANO IN ITALIA HANNO UN OTTIMO INDICE DI PRODUTTIVITA’ RISPETTO AD ALTRI PAESI EUROPEI….IL 35% DEI 500 MIGLIORI RICERCATORI ITALIANI HA ABBANDONATO L’ITALIA, ADDIRITTURA IL 50% DEI PRIMI 100
La fuga dei ricercatori italiani all’estero ha un costo, un costo molto alto.
Ha provato a calcolarlo l’Icom, Istituto per la Competitività , in un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly, che promuove la ricerca medica: negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro.
La cifra corrisponde a quanto ricavato dal deposito di 155 domande di brevetto, dei quali “l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero” e di altri 301 brevetti ai quali diversi ricercatori italiani emigrati hanno contribuito come membri del team di ricerca.
Questi brevetti in 20 anni sono arrivati a un valore di 3,9 miliardi di euro, “cifra che può essere paragonata all’ultima manovrina correttiva dei conti pubblici annuncaita dal governo qualche mese fa”, osservano gli autori della ricerca.
Certo, si potrebbe obiettare, questi brevetti sono frutto, oltre che del genio italico, di èquipe ben strutturate, ben finanziate, sostenute da università o centri di ricerca di valore.
Probabilmente se questi preziosi cervelli, perfino i ‘top 20’ considerati dalla ricerca, fossero rimasti in Italia, non avrebbero brevettato un bel niente.
E però se invece in Italia fossero stati adeguatamente sostenuti, il nostro Paese sarebbe stato più ricco.
Secondo l’Icom, che ha presentato la ricerca al Senato, in media ogni cervello in fuga può valere fino a 148 milioni di euro (nel caso in cui arrivi ai livelli degli scienziati più produttivi della Top 20 elaborata dall’associazione Via Academy, costituita da un gruppo di ricercatori italiani che vivono e lavorano all’estero).
Un calcolo che nello specifico può essere contestato, ma è indubbio che i tanti brevetti depositati dagli scienziati italiani all’estero si traducano in danaro.
“Guardando alla classifica elaborata da Via-Academy 1 – spiega il coordinatore della ricerca, Stefano da Empoli – si vede come man mano che si arriva in cima alla graduatoria, la Top Italian Scientists, diminuisca il numero dei residenti in Italia e aumenti quello dei residenti all’estero”.
Insomma, il cervello quando fugge è più produttivo, probabilmente perchè viene messo nelle condizioni migliori.
“La ricerca non è solo in teoria uno dei motori dello sviluppo di ogni sistema Paese, ma è anche in pratica un grande investimento”, afferma il presidente del Consiglio Universitario Nazionale Andrea Lenzi.
Che non manca di sottolineare come anche la riforma attualmente in via di approvazione, fortemente constestata dagli studenti, non migliori assolutamente nulla dal punto di vista della ricerca: “Il difetto vero è che mancano le risorse per i ricercatori – spiega – questo non va bene perchè sono la categoria più debole. Si devono trovare le risorse, non si parla di cifre astronomiche ma serve un miliardo di euro, che corrisponderebbe a un viadotto sull’autostrada Bologna-Firenze”.
Per arrivare ai quattro miliardi di perdite calcolate, spiegano gli autori della ricerca, si fa riferimento al database dell’Organizzazione Mondiale per la proprietà Intellettuale, che associa ad ogni scienziato il numero di domande internazionali presentate in base all’anno di pubblicazione.
Se il ‘top scientist’ l’autore principale, è italiano, emergono 11 brevetti nel settore chimico, 5 nell’ITC, e 139 nel settore farmaceutico, che comprende anche la medicina.
Secondo lo studio, il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca ha abbandonato il Paese.
Ma se si considerano i primi 100, ad essersene andato è addirittura la metà .
In rapporto alla scarsità di stanziamenti e al fatto che in Italia il numero dei ricercatori sia più basso rispetto agli altri principali Paesi del G7 (da noi sono complessivamente 70.000, in Francia 155.000, in Regno Unito 147.000, in Germania 240.000, negli USA 1.150.00, in Canada 90.000 e in Giappone 640.00), i nostri ricercatori possiedono un indice di produttività individuale eccellente con il 2,28 % di pubblicazioni scientifiche.
La ricerca scientifica italiana risulta così essere superiore alla media dei principali Paesi europei, nonostante il più basso numero di ricercatori: l’Italia infatti si posiziona al terzo posto (2,28%), dopo l’Inghilterra (3,27%) ed il Canada (2,44%).
Dopo di noi ci sono, in ordine, gli Stati Uniti (2,06%), la Francia (1,67%) la Germania (1,62%) e il Giappone (0,41%)”.
Insomma, si fa di necessità virtù.
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
PER LA SUCCESSIONE I NOMI DI LETTA, TREMONTI E ALFANO….IL SENATUR FURIOSO: “ORA BERLUSCONI CI DEVE DIRE CHI SAREBBERO I FINIANI PRONTI A SOSTENERLO”….CONFALONIERI E MARINA: UN TRACOLLO METTEREBBE A RISCHIO MEDIASET
Ora i conti non tornano più. 
Ora che anche le colombe finiane firmano la mozione di sfiducia, ora che la “dichiarazione di guerra” viene depositata alla Camera con 85 firme in calce, ora che il premier Berlusconi guida un governo di minoranza (309 voti contro 317), adesso Umberto Bossi non si fida più del Cavaliere.
Un presidente del Consiglio fiaccato di minuto in minuto dalle banderillas dei dossier WikiLeaks, costretto sulla difensiva, a rintuzzare una rivelazione dopo l’altra.
E infine a correggere a distanza le tabelle che gli ex “colonnelli” gli avevano girato sulla tenuta della maggioranza.
“Dove sono i 320 di cui si diceva certo? Adesso deve chiarire, chi sono questi di Fli disposti ancora a votargli la fiducia?” è stato lo sfogo del Senatur raccolto da uomini di governo leghisti.
Attende Berlusconi al varco, Umberto Bossi, al rientro dalla lunga missione internazionale.
Proverà a “farlo ragionare: avevamo ragione noi, bisogna sedersi al tavolo e trattare con Fini”.
La mediazione che anche nelle ultime 48 ore ha portato avanti Gianni Letta col presidente della Camera, aprendo sulla riforma della legge elettorale, non ha sortito i risultati sperati.
Adesso i leghisti vogliono che sia il premier ad aprire un confronto coi “nemici”.
Tentare così l’unica via d’uscita ormai possibile: dimissioni e Berlusconi-bis. Dato che, per dirla con Roberto Castelli, “facendo i conti della serva, la maggioranza non c’è più”.
Ma ci sono altre pressioni che il presidente del Consiglio subisce già da qualche giorno.
Sono quelle del presidente Mediaset Fedele Confalonieri.
L’amico di una vita si è fatto portavoce del pensiero e delle preoccupazioni dei figli di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, invitandolo a muoversi con maggiore cautela.
Perchè incaponirsi?, è stato il ragionamento: un tracollo politico metterebbe “a rischio la tenuta del gruppo”.
Il suggerimento insistente è quello di cedere lo scettro a un uomo di fiducia, sia Gianni Letta o Giulio Tremonti o Angelino Alfano.
Purchè “Silvio” si tiri fuori da un gioco che si fa “pericoloso”.
Ma sono consigli non richiesti e già cestinati.
Non appena, in serata, i tre capoversi della mozione di sfiducia sono messi a punto, il premier chiama da Astana Verdini e Alfano e detta la controffensiva. “Nessun accordo con Fli e Udc per un Berlusconi-bis” dichiara il coordinatore pdl, “il presidente non si dimette” annuncia il Guardasigilli.
Si va alla guerra, insomma.
Nel vertice mattutino nella stanza del presidente della Camera, Fini, Casini, Rutelli, Lombardo e Tanoni la sfiducia la danno ormai per scontata.
Si soffermano sul dopo. Confidano ancora in prudenti dimissioni del premier prima del voto in aula.
Reincarico a Berlusconi? “Decide il capo dello Stato, non noi” risponde Pier Ferdinando Casini a chi gli chiede.
Il fatto è che un B-bis viene escluso da tutti i big del nuovo polo.
“E ho elementi abbastanza solidi che mi inducono ad escludere le elezioni anticipate” ripete loro Gianfranco Fini.
Il nome di Gianni Letta è l’unico fatto tra i cinque quale possibile alternativa per un governo di centrodestra allargato all’Udc. “Ma non ci sono preclusioni su altri nomi che dovessero essere indicati dal premier” hanno ripetuto.
Il governo d’emergenza da affidare a un tecnico sarebbe l’ultimo passaggio, appena accennato nel vertice in presidenza.
“Ma se qui si parla solo di sfiducia io mi alzo e vado, pensavo si parlasse di terzo polo” sbotta il libdem Tanoni, che rappresenta la Melchiorre e il rientrante (dopo la fuga) Grassano.
“È chiaro che qui si pongono le basi per la costruzione della futura alleanza elettorale” è la riflessione di Rutelli sulla quale tutti concordano.
Ma prima ci sarà la mozione da approvare.
“Mozione costruttiva”, la definisce Bocchino.
Nel senso che servirà a costruire il nuovo governo senza Berlusconi. Raccogliere le firme non è stato facile, Fini ha dovuto riunire tutto il suo gruppo, è lì che si annidavano gli ultimi incerti.
Unico assente ingiustificato, e ormai “ex”, Giampiero Catone.
Gli altri danno battaglia, da Menia a Consolo, perplessi per l’accelerazione “eccessiva”. Patarino, Moffa e Polidori firmano solo in un secondo momento, ma alla fine lo fanno tutti. Le sigle Fli sono 35.
Forte del risultato, Fini incontra più sereno Montezemolo.
Il presidente della Ferrari gli conferma, prima del convegno Telethon, che per ora non ha alcuna intenzione di fare un passo avanti in politica.
Quindi, Pisanu, ancora una volta. Il senatore voterà la fiducia.
Entrerà in gioco con altri colleghi Pdl dopo l’eventuale caduta di Berlusconi alla Camera.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
ROBERTO CASTELLI : “IO NON C’ENTRO, TUTTE FANDONIE”… IL BOSS COCO TROVATO, SECONDO IL PENTITO “ATTENDIBILE” GIUSEPPE DI BELLA, NEL 1992 FECE VOTARE A LECCO UN LEGHISTA EMERGENTE CHE POI DIVENNE MINISTRO: CASTELLI ENTRO’ PER LA PRIMA VOLTA ALLA CAMERA PROPRIO NEL 1992…LA PROCURA DI ROMA HA APERTO UN FASCICOLO
“Saviano ha rotto i Maroni”, titolava Libero appena tre settimane fa, riportando le dichiarazioni dell’autore di Gomorra, colpevole di aver denunciato che “la ‘ndrangheta al nord interloquisce con la Lega”.
Adesso due giornalisti dello stesso quotidiano pubblicano un libro in cui, attraverso la testimonianza del pentito Giuseppe Di Bella, ricostruiscono l’ascesa al potere della criminalità organizzata in Lombardia.
E raccontano come proprio la ‘ndrangheta nel 1990 abbia scelto i cavalli su cui scommettere tra gli emergenti politici del Carroccio, portandoli fino a “importanti incarichi di Governo”, scrivono gli autori di Metastasi Claudio Antonelli e Gianluigi Nuzzi.
Quest’ultimo ieri ha anticipato le critiche: “Non è colpa mia nè di Libero se al Nord c’è la malavita”.
Spiegando che la differenza è che “Metastasi è un’indagine compiuta in un anno di lavoro” mentre “Saviano ha sigillato un assioma televisivo”.
Sempre di fango si tratta, secondo gli esponenti del Carroccio.
In particolare per il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli e Stefano Galli, capogruppo in regione Lombardia: “Tutte fandonie”.
I due si sono sentiti tirati in ballo: sono entrambi nati e politicamente cresciuti a Lecco .
La città in cui, secondo quanto ricostruito nel libro, nel 1990 gli uomini del clan di Franco Coco Trovato scelsero un anonimo uomo dell’emergente e ancora sconosciuto Carroccio trasformandolo, negli anni e a sberle di voti, in un politico di rango governativo.
“Coco Trovato — ricorda Di Bella — aveva scelto il suo cavallo: è Gamma. Lo dice a tutti. Votare Lega, votare Gamma”.
Gli autori di Metastasi nascondono il nome del politico con questo pseudonimo: ‘Gamma’, “nome in codice di soggetto che potrebbe essere sottoposto a indagini — scrivono gli autori — Gamma è una figura che ha ricoperto importanti incarichi di governo”.
Non a caso la prima copia del libro è stata consegnata al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Procura di Roma, che ieri ha annunciato l’apertura di un fascicolo.
Se il racconto troverà riscontri, la Lega celodurista della caccia al “terrone mafioso” ne uscirebbe con le ossa rotte.
In particolare Castelli. Che da anni racconta la sua città come una zona sana. “Nel 1993 il Comune sconfisse la famiglia Trovato”, ha detto ieri e, intervistato da Enrico Mentana al tg La7, ha invitato Nuzzi “a fare il nome di questo politico”, riconoscendo che “l’identikit si adatta perfettamente a me”.
E gli anni coincidono: nel 1990 alle regionali la Lega registra il primo boom (18,9%) e nel 1992 Castelli è eletto per la prima volta alla Camera.
“Ma io con Coco Trovato non ho mai parlato”.
Nel 2006 “ho ricevuto una lettera con 29 proiettili” ha ricordato, sottolineando che agli amici si inviano altri messaggi. E di amici, l’ingegnere di Lecco, ne sa qualcosa.
Da ministro della Giustizia nel secondo governo Berlusconi distribuì talmente tante consulenze, ritenute di dubbia utilità , da finire indagato da procura e Corte dei Conti accusato di un danno erariali di circa un milione di euro. Secondo il procuratore Guido Patti, il ministro Castelli avrebbe creato “la figura del consulente personale a tempo pieno”.
Il Senato e il Tribunale dei ministri negarono l’autorizzazione a procedere, la Corte dei Conti, nell’aprile 2009, lo ha condannato al rimborso di 33.100 euro a titolo di risarcimento erariale, definendo “irrazionale e illegittima” una delle consulenze: quella affidata alla società Global Brain.
Società di Alberto Uva, lo stesso finito pochi giorni fa nel mirino della procura milanese per corruzione nella vicenda Teleospedale.
Una storia di mazzette lombarde in salsa leghista-ciellina, denunciata da Galli, capogruppo del Carroccio in regione.
A lui, Uva ha offerto una tangente da 15mila euro in vista di una gara d’appalto per l’assegnazione della gestione del sistema tv da installare negli ospedali lombardi.
Galli si è rivolto prima ai magistrati, poi al Corriere della Sera: “Io certe persone le denuncio, altri danno loro le consulenze”.
Anche Giuseppe Magni, amico e braccio destro di Castelli al ministero, è finito indagato dalla procura di Roma: è stato filmato di nascosto negli uffici dell’imprenditore romano Angelo Capriotti a parlare di appalti ed “esigenze” che, secondo i pm, altro non erano che tangenti.
È poi toccato ad un altro uomo di fiducia di Castelli: l’avvocato Antonello Martinez sorpreso, rivelò Marco Lillo su L’Espresso, a chiedere soldi agli imprenditori del settore carcerario in cambio di una spintarella per gli appalti. In ballo c’erano i 25 nuovi carceri che il Guardasigilli voleva costruire.
Tutte vicende legate al periodo in cui è stato ministro, venti anni dopo quel 1990 quando la ‘ndrangheta scelse di sostenere Gamma e portarlo fino al governo.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
AVEVA SMENTITO GLI AFFARI POCO LIMPIDI DEL PARTITO: ORA UN LIBRO INCHIESTA RIVELA CHE ERA TUTTO VERO…ECCO I DOCUMENTI RISERVATI PUBBLICATI SUL LIBRO “UMBERTO MAGNO”:.. 3.000 EURO AL FIGLIO RICCARDO NEL 2000 E L’ ISCRIZIONE NELL’85 ALLA SEZIONE PCI DI VERGHERA DI SAMARATE
Si intitola “Umberto Magno, l’imperatore della Padania” la biografia non autorizzata del
leader della Lega Nord che esce oggi in libreria i per Aliberti (480 pagine).
E’ un’accurata inchiesta di Leonardo Facco, giornalista che ha conosciuto la Lega (e Bossi) da molto vicino, avendo tra l’altro lavorato per quattro anni al quotidiano “la Padania”.
L’autore parte dagli “albori della Lega”, quando un giovanotto della provincia di Varese senza un lavoro riesce a coagulare attorno all’idea autonomista — non senza screzi e fatti poco chiari — prima alcune decine di amici, poi centinaia e infine migliaia di persone pronte a dare il loro consenso a un progetto politico sempre in bilico tra il federalismo e la secessione.
Bossi è la Lega e la Lega è Bossi, secondo Facco, anche oggi, nonostante la malattia abbia ridotto il senatùr all’ombra di quel personaggio movimentista del passato recente.
Per dimostrarlo, l’autore racconta fatti, episodi, ricordi personali, con tanto di documentazione (sono quasi 400 le note bibliografiche).
«Bossi», sostiene l’autore, «è il responsabile principale della trasformazione della Lega in un soggetto politico partitocratico, dove agli scandali si uniscono le truffe perpetrate ai danni, in primis, dei militanti e simpatizzanti”.
“I crac delle Cooperative Padane, del Villaggio in Croazia e della banca padana rappresentano l’epitome del modo di fare politica del “lumbard”, circondato da sempre di yes-men (and women) in carriera».
Nel libro ci sono diversi fatti inediti, mai conosciuti e-o raccontati: dalla strana busta paga del figlio primogenito a spese dei militanti ignari, fino alla famosa questione della militanza comunista del giovane Umberto: da lui sempre negata, ma ora provata da un documento scoperto in una vecchia sezione del Pci.
E poi si va dai tempi in cui elogiava “Mani pulite” alla sequela di condanne penali incassate dai leghisti odierni.
Un capitolo, infine, è dedicato alla vita privata di Bossi che «ama la famiglia tradizionale» ma, secondo l’inchiesta di Facco, non sembra negarsi svaghi al di fuori di essa.
«E’ un’inchiesta che dovevo a me stesso perchè ho un passato da leghista, ho creduto in questo movimento e sono stato anche sul Po, alla metà degli anni ’90», dice l’autore.
«Era giusto scrivere questo libro adesso, in cui la Lega si sente particolarmente forte e pensa di fare il pieno di voti. Bisogna che tutti gli elettori sappiano chi è il padrone del partito che pensano di votare: un cialtrone, nè più nè meno».
Foto 1
La tessera: Bossi Umberto, medico (non era vero, non essendosi mai laureato), ha versato lire 5.000 per l’iscrizione al Pci nell’anno 1975. Il documento proviene dalla sezione di Verghera di Samarate del Pci.
Foto 2
La busta paga del figlio: molto prima del “trota” Renzo, anche un altro figlio del premier è stato beneficiato dal potere politico del padre: si tratta del primogenito Riccardo, che il Senatur ha avuto dalla prima moglie Gigliola Guidali. Il documento attesta uno dei versamenti (tre milioni di vecchie lire) ottenuti dal giovanotto dalle cosiddette Cooperative padane, finanziate con i soldi dei militanti e che già in quel periodo stavano andando incontro a un clamoroso crac.
(da “L’Espresso“)
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
GLI ISPETTORI DEL MINISTERO: “NON POSSONO ESSERE QUALIFICATE COME INVESTIMENTI”… DECINE DI INIZIATIVE CLIENTELARI NEL MIRINO DELLA CORTE DEI CONTI…ECCO L’INCREDIBILE LISTA DELLA SPESA CON I SOLITI CONTRIBUTI A PIOGGIA PER TUTTI
Gli ispettori del ministero dell’Economia fanno le pulci alle spese dell’ex giunta Bassolino.
Tutto denaro che “non può essere qualificato come investimento”.
Un fiume di milioni di euro per fiere, spettacoli e sagre, impiegati sotto le etichette più qualificanti di “promozione turistica” e “sostegno alle attività agricole”, per aggirare il divieto di impiego dei fondi europei utilizzabili solo per investimenti.
Tra le spese allegre della Regione Campania indebitata a livelli record c’è di tutto.
Compresi 10.000 euro per il Carciofo di Paestum, 10.000 euro per il Fagiolo di Controne, 10.000 euro per il Tartufo in mostra a Colliano, 24.000 euro per due Sagre del Fungo Porcino a Cusano Mutri (Benevento) e a Castelcivita (Avellino), 10.000 euro per la Cipolla Ramata di Montoro (Avellino) e 171.200 euro per il finanziamento del progetto speciale “Missione sorriso”: una serie di interviste plurilingue ai turisti stranieri per la rilevazione del loro grado di soddisfazione.
Immaginiamo alta, se saranno riusciti a fare il giro di tutte le sagre campane per assaggiare i loro prelibatissimi prodotti.
Peccato che tutte queste attività “non possono essere qualificate come investimento” scrivono gli ispettori del ministero dell’Economia inviati a Napoli per spulciare i conti della Campania dopo lo sforamento del patto di stabilità deciso dalla giunta uscente del Pd Antonio Bassolino.
Gli ispettori per due mesi hanno scartabellato tra delibere e bilanci. E hanno concluso il loro lavoro redigendo una lunga relazione di “condanna” dell’operato degli ex amministratori campani, inviata anche alla Corte dei conti.
La lista delle spese censurate alla precedente giunta Bassolino è lunga e qui si offre un elenco assai parziale.
Ci sono 100.000 euro per gli eventi promozionali durante l’incontro di Coppa Davis a Torre del Greco (l’Italia delle racchette vinse, e tutto finì in gloria) e altri 100mila euro per la Biennale del Mare, 100.000 euro per il Maggio dei Monumenti, storica manifestazione culturale che anima i musei napoletani, e 20.000 euro per il Borgo in Festa a Castevetere, in provincia di Avellino.
La rassegna di musica etnica a Summonte (Av) ha meritato 10.000 euro, la rassegna Neapolis un po’ di più, 30.000, mentre 70.000 euro sono finiti nell’organizzazione dei percorsi enogastronomici della Costa del Vesuvio.
Per la Notte Bianca di Napoli del 2006, la Regione ha tirato fuori 250.000 euro.
Per “Comunicare i vini della Campania”, altri 100.000 euro.
Per partecipare alle fiere agro-alimentari estere, nel solo 2006, sono stati spesi 1.248.000 euro.
E siccome certe attività vanno ben promozionate tra le testate locali, ecco sbucare 90.000 euro per un piano di comunicazione integrata con il gruppo editoriale “Il Denaro”.
E altri 500.000 euro spesi sotto il capitolo “Azioni Promo — Pubblicità e Stampa materiale divulgativo e azioni promozionali nei mass-media”.
Ecco poi 6 milioni e mezzo di euro “investiti” in una serie di manifestazioni catalogate sotto il cartellone “Eventi in… Campania”.
Alcuni dai nomi suggestivi, come “Il sussurro delle sorgenti” (200.000 euro) o il “Park to Park” (150.000 euro).
Ben 400.000 euro sono andati a “Benevento Città Spettacolo”, 150.000 euro al Festival delle culture giovanili di Salerno, 250.000 euro al Classico Pompeiano, 630.000 euro al Positano Art Festival, 237.000 euro al Capri Film Festival, 750.000 euro per Piedigrotta e 378.000 euro per ‘L’enigma degli avori a Salerno’.
Alcune iniziative hanno conquistato il successo di critica e di pubblico, di altre, francamente, si è saputo poco.
Attenzione: la Piedigrotta in questione non è quella finita nel mirino dell’Unione Europea, che chiede la restituzione dei 720.000 euro del cachet di Elton John per il concerto del settembre 2009.
E’ la Piedigrotta di tre anni prima, e stiamo parlando di una manifestazione che negli anni ’50 rappresentava l’anima verace e popolare di una Napoli che oggi non c’è più, e che in anni più recenti si è cercato di resuscitare.
I contabili del ministero dell’Economia censurano l’impiego di altri 11 milioni e mezzo di euro circa per una nuova raffica di concerti, feste, rassegne.
Elenco folto.
Guardando qua e là sbucano i 50.000 euro per i Canti Parteni ad Avellino, gli 80.000 euro dell’Estate Musicale Sorrentina, i 50.000 euro della Festa a Mare agli Scogli di Sant’Anna di Ischia, i 160.000 euro per l’ ‘Equinozio d’Autunno’ a San Giovanni a Piro e i 100.000 euro per l’ ‘Arte delle Certose dell’Italia Meridionale’.
Manifestazioni di respiro paesano, al massimo provinciale.
E’ possibile definirle ‘investimenti’?
Gli ispettori dicono di no: di queste cose non resterà nulla, nessun ritorno nel medio e lungo periodo.
Ma la prassi si è ripetuta nel tempo.
Ecco quindi altri 3 milioni di euro per la partecipazione alle fiere nazionali e internazionali enogastronomiche del 2007.
Di cui poco più di un milione per la sola partecipazione al Vinitaly di Verona. Mentre 880.000 euro, complessivi, si spendono per essere presenti alle fiere di Essen, Berlino, Norimberga, Copenaghen e Bordeaux (per il Vinexpò, in Francia, se ne vanno 300.000 euro).
Eppoi gli eventi di quella stagione: 1.000.000 di euro per il Concorso Ippico in Piazza del Plebiscito, e molto si polemizzò sul galoppo dei cavalli nel salotto buono della Napoli che conta.
E ancora: 600.000 euro per una mostra sugli Impressionisti a Caserta, 500.000 euro per la Lirica negli Scavi di Ercolano, 600.000 euro per “L’Impero dell’Arte, l’Iran da Dario a Farah Diba” a Napoli, e 320.000 euro per il Festival delle Antiche Repubbliche Marinare ad Amalfi, solo per dirne alcuni.
E che dire dei 455.000 euro per l’iniziativa “Vibrazioni e bisbigli” ad Avellino? E i 420.000 euro per il “Litorale Domitio — Un Mare di Energia”? E i 327.888 euro concessi per “Il Filo Ritrovato — tessuti e intrecci dell’Italia Antica’ erogati alla direzione regionale dei Beni Culturali?
A leggere questo elenco, il filo non si ritrova, ma si perde.
Come l’equilibrio dei conti della Campania: perso anche quello, è scomparso tra i debiti.
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
UNA PROFONDA ANALISI DEL MONDO UNIVERSITARIO, UNA BOCCIATURA DELLA RIFORMA GELMINI…. DIECI PUNTI CONCRETI SU CUI LAVORARE PER RESTITUIRE DIGNITA’ AGLI ATENEI ITALIANI… UNA ANALISI ANTICONFORMISTA DA PARTE DI UN UOMO DI CULTURA “SCOMODO” E NON ALLINEATO
Mi prendo la libertà di presentare alcune considerazioni sul decreto di legge astraendo da
quello che sarà il risultato del suo iter parlamentare.
Premetto di lavorare ininterrottamente nell’Università da oltre quarant’anni, per quanto abbia insegnato parecchio all’estero e abbia sempre rifiutato — per una specie di allergia — di assumere incarichi direttivi negli Atenei.
Non ho quindi una speciale competenza amministrativa o gestionale da rivendicare per corroborar le mie ragioni.
Tuttavia, posso — e debbo — dire qualcosa che a mio avviso dev’esser detto.
Sono entrato nell’Università nel 1967: si erano abolite da poco le “libere docenze” e si sarebbe di lì a poco eliminata l’istituzione (benemerita) degli “assistenti volontari”.
Erano i primi segni dell’incertezza e del caos che si sarebbero imposte e sarebbero regnate nei decenni successivi, tra provvedimenti e controprovvedimenti.
La Riforma Gentile del 1923, più liberale che non fascista (il fascismo si sarebbe trasformato in regime solo nel ’25), aveva retto piuttosto bene per quasi mezzo secolo: si sarebbe trattato solo di ritoccarla con misura e senso di responsabilità .
Ma gli eventi ci obbligarono a scegliere una strada differente: alcuni politici, docenti e studenti erano convinti che si fosse alla vigilia di grandi mutamenti sociali e politici e desideravano affrettare i tempi per un mutamento che, – secondo qualcuno tra loro — sarebbe stato addirittura rivoluzionario, per cui si trattava di rovesciare le vecchie “istituzioni borghesi”; altri (e fra loro, lo confesso, un po’ anch’io) si lasciarono sedurre dal fascino del vento che veniva da Berkeley e da Parigi e cedettero, spesso anche in buona fede, al we shall overcome; altri ancora, per viltà o per conformismo o per opportunismo o per disinteresse, pensarono che opporsi a un movimento che si annunziava impetuoso e perfino violento fosse inopportuno, o inutile, o che si potesse addirittura tentar di “cavalcare la tigre”.
Le prospettive della “rivoluzione giovanile” del Sessantotto e dintorni, l’inadeguatezza di molti politici e la viltà e/o la disonestà almeno intellettuale (ma non solo…) di troppi docenti ci hanno gradualmente portato — attraverso circa un quarantennio di scelte sbagliate e di deterioramento sia civile, sia culturale, sia morale – a questo punto: Università allo sbando, “tagli” e storni di fondi pubblici verso gli Atenei privati, una classe docente screditata in seguito a decenni di concorsi “ritoccati” o “truccati” (e, direttamente o indirettamente, tutti noi docenti ne siamo respnsabili: se non altro per aver accettato, sottovalutato, taciuto), l’impossibilità pratica di rinnovare correttamente il personale docente e ricercatore, “mortalità universitaria” (cioè studenti che abbandonano gli studi senza aver conseguito la laurea), disoccupazione dei laureati e dei “dottori (e postdottori”) di ricerca alla quale la “fuga dei cervelli all’estero” — su cui si è fatto troppo battage, e che troppo spesso si risolve in una nuova delusione) è lungi dal poter porre rimedio anche solo parziale.
Non nego che, nella lettera del testo di riforma e nelle intenzioni di chi l’ha redatto, ci siano cose buone: per esempio la “lista nazionale” per i concorsi, che si rende necessaria anche visto il tragico fallimento delle “idoneità a lista aperta” degli Anni Ottanta.
Ma l’idea di proporre come commissari solo i docenti ordinari è inopportuna: ed è ridicolo che provenga da un ministro che dice di voler combattere lo strapotere dei “Baroni”.
Ma i “Baroni”, ormai — a parte qualche residuale caso lobbistico, soprattutto in alcune facoltà scientifiche — non ci sono più: i professori universitari sono ormai una categoria screditata e oggetto quasi di dileggio, il loro prestigio sociale è ridotto a zero in una società che valuta pochissimo la cultura e non ne ha quasi alcun rispetto, i livelli economici delle loro riproduzioni li fanno apparire ridicolo in un mondo che rispetta la gente in misura direttamente proporzionale ai suoi profitti e alla sua visibilità .
Altri aspetti del disegno di legge presentato dal ministro Gelmini appaiono positivi, o comunque interessanti: la fusione degli Atenei più piccoli (la loro proliferazione era uno dei segni più ridicoli e allarmanti della licealizzazione delle istituzioni universitarie), la razionalizzazione delle Facoltà (per quanto il limite massimo di 12 per Ateneo appaia inopportuno nel caso di alcune sedi più grandi e prestigiose), la limitazione a otto anni nella durata dei mandati. Queste sono caratteristiche da tenere presenti per un eventuale nuovo progetto di riforma.
Quello attuale, però, dev’essere respinto per due ragioni: una immediata, a carattere politico, istituzionale e gestionale; una pregiudiziale, a carattere etico.
Procedo per ordine, cominciando però dall’illustrare brevemente la seconda ragione.
Anzitutto, l’insufficienza delle risorse assegnate: prova che l’attuale governo non attribuisce per nulla alla riforma universitaria e all’Università il peso ch’esso dovrebbe a mio avviso avere nella vita del paese.
L’alibi avanzato — i tagli sarebbero giustificati dagli sprechi passati — è al riguardo ridicolo. Gli sprechi si rimediano migliorando gli strumenti di governo e i metodi di controllo, non azzerando i fondi a disposizione. Continua »
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