I RICERCATORI IN ITALIA SONO 70.000, IN FRANCIA 155.000, IN GERMANIA 240.000, IN GIAPPONE 640.000, NEGLI USA 1.150.000
LA FUGA DEI CERVELLI E’ COSTATA ALL’ITALIA 4 MILIARDI DI EURO: IN VENTI ANNI OGNI RICERCATORE “TOP” VALE 148 MILIONI DI EURO IN BREVETTI…QUELLI CHE RESTANO IN ITALIA HANNO UN OTTIMO INDICE DI PRODUTTIVITA’ RISPETTO AD ALTRI PAESI EUROPEI….IL 35% DEI 500 MIGLIORI RICERCATORI ITALIANI HA ABBANDONATO L’ITALIA, ADDIRITTURA IL 50% DEI PRIMI 100
La fuga dei ricercatori italiani all’estero ha un costo, un costo molto alto.
Ha provato a calcolarlo l’Icom, Istituto per la Competitività , in un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly, che promuove la ricerca medica: negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro.
La cifra corrisponde a quanto ricavato dal deposito di 155 domande di brevetto, dei quali “l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero” e di altri 301 brevetti ai quali diversi ricercatori italiani emigrati hanno contribuito come membri del team di ricerca.
Questi brevetti in 20 anni sono arrivati a un valore di 3,9 miliardi di euro, “cifra che può essere paragonata all’ultima manovrina correttiva dei conti pubblici annuncaita dal governo qualche mese fa”, osservano gli autori della ricerca.
Certo, si potrebbe obiettare, questi brevetti sono frutto, oltre che del genio italico, di èquipe ben strutturate, ben finanziate, sostenute da università o centri di ricerca di valore.
Probabilmente se questi preziosi cervelli, perfino i ‘top 20’ considerati dalla ricerca, fossero rimasti in Italia, non avrebbero brevettato un bel niente.
E però se invece in Italia fossero stati adeguatamente sostenuti, il nostro Paese sarebbe stato più ricco.
Secondo l’Icom, che ha presentato la ricerca al Senato, in media ogni cervello in fuga può valere fino a 148 milioni di euro (nel caso in cui arrivi ai livelli degli scienziati più produttivi della Top 20 elaborata dall’associazione Via Academy, costituita da un gruppo di ricercatori italiani che vivono e lavorano all’estero).
Un calcolo che nello specifico può essere contestato, ma è indubbio che i tanti brevetti depositati dagli scienziati italiani all’estero si traducano in danaro.
“Guardando alla classifica elaborata da Via-Academy 1 – spiega il coordinatore della ricerca, Stefano da Empoli – si vede come man mano che si arriva in cima alla graduatoria, la Top Italian Scientists, diminuisca il numero dei residenti in Italia e aumenti quello dei residenti all’estero”.
Insomma, il cervello quando fugge è più produttivo, probabilmente perchè viene messo nelle condizioni migliori.
“La ricerca non è solo in teoria uno dei motori dello sviluppo di ogni sistema Paese, ma è anche in pratica un grande investimento”, afferma il presidente del Consiglio Universitario Nazionale Andrea Lenzi.
Che non manca di sottolineare come anche la riforma attualmente in via di approvazione, fortemente constestata dagli studenti, non migliori assolutamente nulla dal punto di vista della ricerca: “Il difetto vero è che mancano le risorse per i ricercatori – spiega – questo non va bene perchè sono la categoria più debole. Si devono trovare le risorse, non si parla di cifre astronomiche ma serve un miliardo di euro, che corrisponderebbe a un viadotto sull’autostrada Bologna-Firenze”.
Per arrivare ai quattro miliardi di perdite calcolate, spiegano gli autori della ricerca, si fa riferimento al database dell’Organizzazione Mondiale per la proprietà Intellettuale, che associa ad ogni scienziato il numero di domande internazionali presentate in base all’anno di pubblicazione.
Se il ‘top scientist’ l’autore principale, è italiano, emergono 11 brevetti nel settore chimico, 5 nell’ITC, e 139 nel settore farmaceutico, che comprende anche la medicina.
Secondo lo studio, il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca ha abbandonato il Paese.
Ma se si considerano i primi 100, ad essersene andato è addirittura la metà .
In rapporto alla scarsità di stanziamenti e al fatto che in Italia il numero dei ricercatori sia più basso rispetto agli altri principali Paesi del G7 (da noi sono complessivamente 70.000, in Francia 155.000, in Regno Unito 147.000, in Germania 240.000, negli USA 1.150.00, in Canada 90.000 e in Giappone 640.00), i nostri ricercatori possiedono un indice di produttività individuale eccellente con il 2,28 % di pubblicazioni scientifiche.
La ricerca scientifica italiana risulta così essere superiore alla media dei principali Paesi europei, nonostante il più basso numero di ricercatori: l’Italia infatti si posiziona al terzo posto (2,28%), dopo l’Inghilterra (3,27%) ed il Canada (2,44%).
Dopo di noi ci sono, in ordine, gli Stati Uniti (2,06%), la Francia (1,67%) la Germania (1,62%) e il Giappone (0,41%)”.
Insomma, si fa di necessità virtù.
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