PAOLO SIGNORELLI: UNA VITA SULLA TRINCEA DELL’ANTAGONISMO
SI SONO SVOLTI STAMANE I FUNERALI DI PAOLO SIGNORELLI, PROFESSORE DI FILOSOFIA, IDEOLOGO DEL MSI E TRA I FONDATORI DI ORDINE NUOVO…HA SUBITO 7 ANNI DI CARCERE E 3 DI ARRESTI DOMICILIARI PRIMA DI ESSERE RICONOSCIUTO COMPLETAMENTE ESTRANEO AI REATI CONTESTATIGLI
Si è spento giovedì notte, dopo aver lottato contro una lunga malattia Paolo Signorelli, professore e ideologo del Movimento sociale italiano e tra i fondatori di Ordine nuovo.
Signorelli è stato protagonista di molte vicende politiche e giudiziarie legate alla storia politica della destra italiana.
E’ stato imputato per la strage alla stazione di Bologna e altri numerosi omicidi politici, ma sempre assolto. Le esequie si terranno venerdì alle 10, nella chiesa di Santa Chiara, a piazza dei Giochi Delfici, a Roma. È morto in una clinica a Roma.
Signorelli, 76 anni, era nato a Viterbo il 14 marzo 1934.
Professore di filosofia, aveva fondato Ordine Nuovo, poi sciolto dall’allora ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, e il Fronte Sociale Nazionale.
È stato imputato per gli omicidi dei giudici Vittorio Occorsio, avvenuto il 10 luglio del 1976, e Mario Amato, assassinato dai Nar il 23 giugno del 1980 a Roma.
In entrambi i casi è stato assolto in appello dopo essere stato condannato all’ergastolo in primo grado.
L’accusa più grave mossa a Signorelli è stata di aver ideato la strage alla stazione di Bologna, ma anche per questa imputazione è stato assolto.
Prima che la sua innocenza fosse riconosciuta, Signorelli aveva subito tre condanne all’ergastolo e aveva scontato sette anni di carcere e mille giorni di arresti domiciliari.
Della sua vicenda di «perseguitato politico» si sono occupati a lungo Amnesty International e il Partito Radicale, con il quale aveva collaborato negli ultimi anni di vita.
Nel suo più recente libro, “Di professione imputato”, Signorelli aveva ricostruito tutte le sue disavventure giudiziarie.
Dopo essere stato scagionato da tutte le accuse si era ritirato a Marta sul lago di Bolsena, in provincia di Viterbo, dove vive e lavora anche il fratello Ferdinando Signorelli, parlamentare per varie legislature del Msi.
Pubblichiamo un ricordo di lui.
Canuto, occhiali Rey-ban neri, sigaro chiuso tra le labbra sottili, che con cadenza regolare libera la bocca lasciando il posto ad un sorriso da uomo ludens, stile casual, mai borghese, sempre giovane, camicia sbottonata anche d’inverno, passo cadenzato, fine osservatore dall’eloquenza pungente e allegorica.
Questa la prima immagine che elabora la mia mente di Paolo Signorelli.
Figlio di un tempo ingrato, giovane soldato di una generazione che, per una manciata di minuti non ha preso parte all’ultima battaglia della guerra del “sangue contro l’oro”, conserverà sempre viva la rabbia per non essere stato “nel tempo giusto un leone morto”.
La politica per Paolo comincia così, con una sassaiola contro gli occupanti americani, all’età di 11 anni; in questa prima “intifada” si sprigiona la sua essenza di eretico, grazie alla quale potè estraniarsi, alla ricerca di una salutare solitudine, dagli insegnamenti dei cattivi maestri, “vili, felloni, voltagabbana”, del suo tempo.
“Il viandante intraprende il suo viaggio con due libri nel tascapane Rivolta contro il mondo moderno di Evola e i Proscritti di Von Salomon. Poi impara a coniugare Nietzsche ed Heiddeger con Platone, Marinetti con Papini, Codreanu con La Rochelle, Brasillac con Cèline, Ortega y Gasset con Ezra Pound. Poi Berto Ricci e Junger…”e diventa correttamente eretico e jungerianamente ribelle, al punto da rappresentare un problema, per la chiusura dogmatica di un partito, poi un pericolo, per uno stato di “camerieri”, che richiede un popolo schiavo.
1980 il suo tormento, l’accusa di strage e dell’omicidio Amato e Occorsio, stimolate dalle rivelazioni di un pentito, reati dai quali soltanto dopo dieci anni di carcere sarà scagionato.
Dieci anni per sperimentare la verga della macchina stato, per guardare in faccia i veri nemici, per sognare la vittoria, il sole, le catene che si spezzano. Dieci anni riversati nel libro di “Professione imputato” del 1996, la sua confessione arrabbiata dell’imputato e dell’uomo.
Esce nel 1990, umiliato, stanco, ma non desideroso della resa, sempre la stessa luce negli occhi, lo stesso fuoco nel cuore, un po’ di chili in meno, qualche botta in più sul corpo, lo spirito intatto, privo di macchia, pronto a ripartire.
E riparte con entusiasmo fonda il periodico Giustizia Giusta e l’associazione per la Giustizia e il diritto Enzo Tortora, uomo dimenticato e ugualmente spezzato dalla malafede di quanti “non possono volare”.
Entra nelle carceri, nelle aule di tribunale, in difesa di popoli, uomini offesi e privati della dignità oltre che della libertà ; Giustizia Giusta il suo mezzo per gridare al mondo che si è in gioco e non ci si è arresi, si aspetta soltanto il momento giusto per cavalcare la Tigre.
Rincorre i momenti, l’indifferenza degli “amici” non lo spaventano, le lotte studentesche, le ribellioni degli ultras, le realtà di gruppi giovanili, ma si accorge di trovarsi in uno stato in cui anche la gioventù è diventata anemica.
Quel momento finalmente arriva, ci crede ed entra nel Fronte Sociale Nazionale, dove lungi dal voler per forza essere un capo, si accontenta soltanto di parlare con i suoi ragazzi, condividerne la passione e l’energia.
Rimane volontariamente, non per mancanza di capacità , lontano dai giochini della dirigenza, li sopporta, ma comincia a scalpitare, troppo partito, poca politica. Teneva nel giusto conto gli interessi elettorali, garantiti da un sistema che definiscono democratico, al punto da lasciare il Fronte per non piegarsi ad essi, portando via con sè la mia generazione, affascinata più dalla sua utopia, che dalle promesse di carriera e soldi.
E continuiamo insieme sulla strada diritta che non va nè a destra nè a sinistra, ma vanti, per farla finita con la destra, con i ghetti con il folklore vuoto e privo di vita.
Benevento 2006, Laboratorio politico forza uomo, una nuova partenza, un progetto abbastanza utopico da essere vincente, ci crediamo, lo seguiamo, fieri e convinti.
Si riparte dai territori, da quelle sassaiole per difendere uno spazio proprio, dal risveglio delle coscienze assopite ed umiliate dei popoli del sud, più confacenti alla ribellione a suo dire, perchè a più stretto contatto con il sole; si riparte dalla immagine di rivoluzione, di nichilismo attivo, perchè solo sulle rovine si può tornare a costruire.
Il laboratorio una scelta definitiva per provare a spostare più avanti i paletti del possibile, un altro sentiero del “terribile”da battere.
Una scelta che affronta come garzone di bottega non come capo, avendo sempre ritenuto non fosse quello il suo ruolo, un capo coagula, gestisce,ci disse una volta, a me piace correre da solo.
Viene fermato nella marcia da una malattia, dai fantasmi di un isolamento che lo aveva logorato, si addormenta giovedì 1 dicembre con il consenso degli Dei.
Starà ora brindando e banchettando con gli eroi, come amava fare con noi, sorridente, arrabbiato, fiero, per non essersi piegato nemmeno un momento dinanzi ai colpi inflitti al suo spirito, sicuro di aver lasciato un esempio ed una speranza, che non potremo dimenticare, perchè Paolo ha fatto quello che doveva esser fatto, senza inganni nè ripensamenti.
Un’avanguardia procede senza voltarsi indietro a guardare cosa fanno le salmerie.
E una pattuglia di notte ha come guida il sogno e le stelle.
Marina Simeone
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