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I FUNZIONARI DELLA CAMERA DICONO NO AI TAGLI, MENTRE AL SENATO CONTINUANO LE SPESE PAZZE

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

UNA DIFFIDA PROVOCA IL CONGELAMENTO DELLA SPENDING REVIEW SUI COSTI DI FUNZIONAMENTO DI MONTECITORIO

Si fa presto a dire Spending   review.
La Camera per far   passare quella sui conti interni (e   sul personale) dovrà  prima fare i   conti con i veti e le minacce di   azioni legali dei funzionari.
A   Montecitorio, l’ufficio di Presidenza   riunito ieri si è dovuto limitare   ad approvare le sole «linee   guida».
Rinviato al 19 settembre   – dopo apposita «concertazione   » – il via libera al documento   che dovrebbe portare a risparmi   da 150 milioni in tre anni, più di 13   solo per il personale.
La ragione va rintracciata in   una lettera-avvertimento di 11 righe   che l’Associazione dei consiglieri   della Camera, sindacato dei   più alti funzionari, ha inviato ieri   mattina alla Presidenza.
Il testo è   in burocratese, ma il monito perentorio:   «Un’eventuale delibera con efficacia dispositiva che incida   sullo stato giuridico e il trattamento   economico del personale   della Camera assunta al fuori delle   procedure di contrattazione   con le organizzazioni sindacali   costituirebbe una grave violazione.
I consiglieri si riservano, fin   d’ora, di adire le vie della tutela   giurisdizionale». Ricorso ai giudici,   dunque, se prima i vertici “politici”   di Montecitorio non tratteranno.
Tra le misure più temute, la   ventilata cancellazione di uno   scatto di anzianità  e il blocco dell’adeguamento   all’indice Istat.
Nel documento presentato ieri ai   colleghi dal “questore” Francesco   Colucci si sottolinea come sacrifici   li stiano facendo tutti i dipendenti   e pensionati pubblici e alla   Camera vanno risparmiati 13,20   milioni di euro l’anno.
Per il momento   si prorogano le vecchie disposizioni   (e privilegi) ma bisognerà    in qualche modo recuperare   quelle risorse.
Oggi i dipendenti   sono 1.566, erano 1.933 nel 2007.
Intanto, Montecitorio procede   col risanamento, destinato a far   risparmiare allo Stato 50 milioni   l’anno, come si legge nelle 15 pagine   di relazione discusse in Presidenza.   Diciassette milioni di risparmi   vengono stimati per la «riduzione   dell’indennità , della diaria   e del contributo per il portaborse   » dei deputati.
Ma quell’uno   per cento l’anno in meno, in   realtà , deriva dalla rinuncia all’aumento   che il passaggio al contributivo   del sistema pensionistico   avrebbe paradossalmente determinato.
E poi 2 milioni e mezzo   in meno dal 2014 per la ristorazione,   con la trasformazione del ristorante   in self service, 3,5 milioni   in meno ai gruppi e via tagliando.
Ma è tempo di forbici anche al   Senato.
Dove, sotto il coordinamento   del presidente Schifani e   del segretario generale Elisabetta   Serafin, viene approvato in aula il   bilancio interno che prevede risparmi   da 110 milioni nei prossimi   tre anni.
Virtuosismi obbligati.   Ma non sufficienti, protesta il senatore   di Coesione nazionale Alberto   Filippi che elenca sprechi e   spese ritenute ingiustificate.
«Ogni anno spendiamo per attività    di traslochi e facchinaggio la   stessa cifra: 1,5 milioni. Ma che   fanno, cosa spostano? Per la manutenzione   degli impianti di condizionamento   si è speso nel 2012   due milioni e 200 mila euro. Quella   della tappezzeria costa 428 mila   euro: siamo all’asilo, bambini   che si appendono alle tende? Si   spendono 3,4 milioni per la pulizia   e 500 mila euro per manutenzione   degli ascensori. Neanche se   ci trovassimo in un grattacielo di   New York».

(da “La Repubblica“)

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LA CRISI IN SICILIA TRASCINA IL VOTO NAZIONALE

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

PARTITI IN DIFFICOLTA’: LA MODIFICA DEL PORCELLUM POTREBBE CONSENTIRE DI UNIRE LE DUE ELEZIONI

Le elezioni anticipate siciliane potrebbero essere un anticipo delle elezioni politiche nazionali, potrebbero dare cioè una plastica rappresentazione dello stato disastroso in cui versano i partiti.
Perciò – pur di rimandare il voto sull’Isola – le forze della «strana maggioranza» sono pronte a tutto, anche ad anticipare il voto sul «continente».
Ragioni diverse e interessi convergenti, uniscono Pdl, Pd e Udc a Idv e Sel, siccome tutti sono timorosi di specchiarsi subito nelle urne sicule dopo quanto è successo con le urne di Palermo.
Potrà  sembrare paradossale, ma un filo rosso tiene insieme il rinnovo dell’Assemblea siciliana, la riforma della legge elettorale e l’ipotesi non ancora tramontata di anticipare in autunno il voto per il Parlamento.
L’idea di cambiare il Porcellum per indire le elezioni nazionali in novembre potrebbe consentire infatti di unire i due appuntamenti.
Ma l’accorpamento non è facile, servirebbe una norma – magari da infilare nella Finanziaria – per evitare un conflitto con le prerogative costituzionali siciliane.
A Roma però dovranno fare i conti con Palermo, dove il dimissionario Lombardo potrebbe a sua volta giocar d’anticipo, indicendo il voto non più a fine ottobre ma agli inizi di settembre, e garantendosi così due risultati: intanto si vendicherebbe di antichi alleati e avversari, sapendo che li coglierebbe impreparati; eppoi allontanerebbe da sè il problema che già  s’intravvede all’orizzonte, visto che nelle casse regionali le risorse scarseggiano e a breve potrebbero essere a rischio gli stipendi dei lavoratori precari.
Il voto in Sicilia è un rompicapo politico e giuridico di prima grandezza, una faccenda davvero complicata, e in cui – a vario titolo – sono coinvolti anche il Quirinale e Palazzo Chigi.
La sfida si è iniziata a giocare tra le pieghe del contenzioso economico che ha visto contrapporsi il governo nazionale a quello locale, con i partiti che in quei giorni incitavano Monti al «redde rationem» con Lombardo.
E se ora le forze della «strana maggioranza» (e quelle di opposizione) temono il voto siciliano c’è un motivo: a parole giurano di esser pronti alla competizione nel giro di un paio di settimane.
Ma non è vero.
Il Pdl è prossimo ormai all’implosione.
Ad accelerare il processo ci sta pensando il leader di Grande Sud, Miccichè, ostile ad Alfano, che ai tempi delle Comunali di Palermo ha strappato al Cavaliere la «promessa» di appoggiarlo nella corsa a governatore e ora chiede che i patti siano mantenuti.
Al suo fianco si è schierata l’ex ministro Prestigiacomo, mentre un altro berlusconiano ha annunciato di «scendere in campo»: è il capogruppo all’Assemblea, Leontini, un piede fuori dal partito, che vanta il sostegno del Pid di Romano, un tempo amico di «Angelino».
E proprio ad «Angelino» la corte di cui si circonda Sua Emittenza non fa mancare la propria solidarietà : tal Volpe Pasini – che nonostante le smentite millanta di essere consigliere di Berlusconi – ha detto che «Silvio per la Sicilia pensa ad Alfano».
Un sorso di cicuta. Intanto, ai blocchi di partenza, si scaldano anche il coordinatore regionale Castiglione, il presidente uscente dell’Ars Cascio e il «destro» catanese Musumeci, che ha una buona immagine e i migliori sondaggi.
A sinistra non stanno certo meglio.
Nella caserma del Pd, ai minimi storici nell’Isola, l’eurodeputato Crocetta ha annunciato il «rompete le righe», autocandidandosi, nonostante il partito non lo abbia autorizzato.
Non è una finta, «non mi ritirerò», ha confidato giorni fa l’ex sindaco di Gela: «Alla peggio, farò eleggere con me una decina di deputati regionali».
Bersani ne sarà  lieto.
In lizza per la poltrona di governatore si annunciano pure Sonia Alfano, che dopo il divorzio con l’Idv corteggia Grillo, e Fava, che profittando del divorzio dalla Alfano ci sta provando con Di Pietro.
E mentre la Sicilia brucia a Roma i vertici del Pd discutono, tentano di indurre all’alleanza l’Udc con un candidato di antica speme, Bernardo Mattarella, figlio di Piersanti.
Anche Casini però è nei guai. Nei mesi scorsi il leader dei centristi aveva confidato al segretario del Pdl le sue mosse: «Quello che farò in Sicilia, farò anche a livello nazionale».
Ma il voto in autunno nell’Isola sconvolgerebbe i suoi piani, perchè un accordo regionale con il Pd scoprirebbe anzitempo il suo gioco nazionale, l’idea di accordarsi dopo le urne con Bersani, l’obiettivo della presidenza del Senato per la successiva corsa al Colle…
Per non parlare degli inevitabili contraccolpi a livello elettorale.
E allora contrordine, «potremmo andare anche da soli», diceva ieri il segretario siciliano D’Alia.
«Servirebbero le larghe intese anche a Palermo», aggiungeva a tono il segretario nazionale Cesa.
L’Isola fa più paura del continente, ecco perchè tutti i partiti vorrebbero evitare che in Sicilia si giocasse l’anticipo del campionato nazionale.
Anche perchè quella è la terra di tanti esperimenti, compreso quello «milazzista» che mise insieme fascisti, comunisti e democristiani.
Leoluca Orlando ha iniziato a ripassare qualche pagina di quella storia, magari per trovare ispirazione e vendicarsi (con un accordo eterodosso) di chi a sinistra provò a farlo incespicare nella sfida per il comune di Palermo.
Ma sì, i partiti sono pronti.
Quasi…

Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera“)

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SICILIA, LA CARICA DEI 12 CANDIDATI PER IL DOPO-LOMBARDO

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

IL PDL PUNTA SU CASCIO, SFIDA A TRE NEL CENTROSINISTRA

Mentre scaldano i muscoli Francesco Cascio e Gianfranco Miccichè, Gianpiero D’Alia, Massimo Russo e tanti altri, la prima campagna elettorale balneare dell’autonomia siciliana comincia a colpi di fioretto all’interno del centrosinistra.
Fra due dei dieci, forse dodici, candidati già  in corsa per la successione a Raffaele Lombardo.
Con un fendente di Claudio Fava, l’ex eurodeputato di Sel, coordinatore nazionale del partito di Vendola, diretto contro Rosario Crocetta, l’eurodeputato del Pd che arriva dalle lotte a mafia e racket, accusato di non avere «mai espresso un commento critico su Lombardo, nemmeno sui suoi ultimi indecenti atti».
Un modo per chiamare a raccolta «chi vuol davvero rompere col vecchio sistema», a cominciare dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, destinatario di un appello di Fava lanciato forse nell’ora sbagliata perchè, mentre lui si augurava «di condividere con Italia dei valori la battaglia alternativa e di liberazione della Regione», le agenzie rilanciavano la notizia su Vendola pronto a stracciare la foto di Vasto, annunciando a Bersani «un sì all’alleanza con l’Udc» e bollando Di Pietro di «populismo».
Quanto basta per capire quanto questa campagna balneare sia intercettata da un dibattito nazionale che rischia di spiazzare perfino i candidati già  partiti in quarta.
Crocetta non si lascia condizionare, definisce la sua «una candidatura popolare che parte dalla gente» invitando Fava e tutta l’area alle primarie, deciso in alternativa a restare in sella.
Anche contro il suo partito.
O davanti alle perplessità  del capogruppo Pd all’Assemblea Antonello Cracolici, critico con la «fiera delle vanità » e soddisfatto dal salto di Vendola, anche perchè una delle strategie alle quali si pensa, dopo gli infondati boatos su Ivan Lo Bello e Piero Grasso, è proprio quella di «una larga maggioranza in grado di reggere la botta in arrivo su una Regione destinata comunque a ridurre la spesa del 20%, con i tagli di servizi essenziali».
È l’amaro quadro che si prospetta per il nuovo governatore chiamato ad amministrare una Sicilia lasciata con tanti nodi irrisolti, dal rischio default alla bloccata spending rewiew.
E «una larga maggioranza» non potrebbe non coinvolgere per larga parte del Pd proprio l’Udc richiamata da Vendola, un tempo qui egemonizzata da Totò Cuffaro, ma oggi guidata in Sicilia da Gianpiero D’Alia, l’ex sottosegretario all’Interno, dai suoi amici dato in pole position.
Un dibattito che non esalta Stefania Prestigiacomo, l’ex ministro per l’Ambiente, ieri pronta a scuotere il Pdl perchè faccia sua la candidatura dell’autonomista Gianfranco Miccichè.
E lui parla con Angelino Alfano. Ma sarà  dura.
Perchè, da una parte, il Pdl ufficiale potrebbe convergere su Francesco Cascio, determinato presidente dell’Assemblea spesso in questi anni in aperta contrapposizione con Lombardo e i suoi sostenitori.
E c’è pure Giuseppe Castiglione, il vicepresidente delle Province italiane.
Mentre risorge sempre da «tecnico» papabile Roberto Lagalla, il rettore di Palermo.
Dall’altra, freme un pezzo di Pdl che con la candidatura di Vincenzo Leontini s’avvicina al Pid di Rudy Maira e Saverio Romano, l’ex ministro appena assolto.
Un turbinio dal quale prende le distanze Gaspare Sturzo, il magistrato dei «liberi e forti», pronipote del sacerdote che nel 1919 fondò il Partito Popolare.
Anche lui in corsa, come i bastian contrari dei grillini, qui incerti sul nome da candidare, forse orientati su un geometra nisseno, Giancarlo Cancellieri, nessuna parentela col ministro.
Mentre affilano le lame i leader dei «Forconi», gli indignados spaccati in due aree, una delle quali aperta al partito della rivoluzione di Sgarbi che lancia un acuto e candida niente di meno che Franco Battiato, il cantautore che sui blog figura, però, come sponsor di Claudio Fava.

Felice Cavallaro
(da “il Corriere della Sera“)

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FORMIGONI E LE CENE DI DACCO’: “QUEI PAGAMENTI PER PROMUOVERE CL”

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

LE TESI DEI PM MENTRE FORMIGONI CAMBIA AVVOCATO

L’avvocato di Roberto Formigoni rinuncia al mandato.
E ora è da capire se il mutamento significhi anche un cambio di strategia del presidente pdl della Regione Lombardia, indagato per l’ipotesi di corruzione aggravata nell’inchiesta sui 60 milioni di euro pagati dalla Fondazione Maugeri ai mediatori Pierangelo Daccò e Antonio Simone per le loro «consulenze» nei rapporti contabili con la Regione.
Una settimana fa Formigoni dichiarò di voler rispondere alle domande per le quali i pm lo invitavano a comparire sabato scorso, in un interrogatorio per il quale il giorno prima chiese alla Procura solo un breve differimento e offrì in cambio la propria disponibilità  a un’altra data ravvicinata.
Adesso, invece, l’avvocato Salvatore Stivala, che venerdì scorso aveva appunto rappresentato questa richiesta coerente con l’approccio di replicare nel merito alle accuse mosse dalla Procura, esce dal procedimento: lo si ricava dal deposito in cancelleria della sua irrevocabile rinuncia al mandato difensivo di Formigoni, con il quale sono notori gli ottimi rapporti.
Il governatore, che fino a ieri non aveva ancora nominato un nuovo legale, deve dunque ora decidere se mantenere l’orientamento di rispondere all’interrogatorio conoscendo solo la contestazione, oppure se mutare linea e riservarsi di farsi interrogare soltanto alla chiusura delle indagini dopo il deposito di tutti gli atti d’indagine.
Gli addebiti elencati dai pm scendono nel dettaglio dei benefit da quasi 8 milioni di euro (viaggi, soggiorni, lo sconto su una villa, l’uso esclusivo di tre yacht, sostegni elettorali) pagati da Daccò agli amici Formigoni e Alberto Perego nelle misure sintetizzate nello schema qui sopra, e sembrano eccedere di parecchio la «cortesia» di qualche weekend o le compensazioni di «vacanze di gruppo».
Inoltre per la prima volta compare in una contestazione dei pm un riferimento esplicito a Cl: circa i 70.000 euro spesi da Daccò per l’organizzazione di cene e convention nel corso del Meeting di Rimini. Infatti, la Procura le qualifica «occasioni volte a promuovere consenso elettorale» non solo «per Formigoni», ma anche «per il movimento di Comunione e liberazione».
Il governatore, Perego, definito dai pm «”capo-casa” di Formigoni», il direttore generale dell’assessorato alla Sanità  Carlo Lucchina, Umberto Maugeri e il suo ex manager Costantino Passerino sono accusati di essersi accordati dal 2011 da un lato affinchè Daccò e Simone ricevessero dal polo della sanità  privata Fondazione Maugeri compensi per 60 milioni, parte dei quali impiegati appunto per procurare le elencate «utilità  economiche» a Formigoni; e dall’altro lato, in cambio, affinchè la Giunta regionale presieduta da Formigoni, su proposta di Lucchina, includesse tra le «funzioni non tariffabili» quelle di «riabilitazione di alta complessità » e di «qualità  nella riabilitazione», così costruendo su misura parametri di liquidazione che assicurassero alla Maugeri 12 milioni di euro nel 2002, 15,6 nel 2003, 17 nel 2004, 19,2 nel 2005, 22,7 nel 2006, 24,3 nel 2007, 23,7 nel 2008, 25,1 nel 2009, 26,4 nel 2010 e 20 milioni nel 2011.

Luigi Ferrarella
(da “Il Corriere della Sera“)

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SALERNO, FALSE TESSERE PDL: INDAGATO IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA CIRIELLI

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

LA DECISIONE DELLA PROCURA DOPO APPROFONDIMENTI INVESTIGATIVI E L’ACQUISIZIONE DI CARTE E DELIBERE

E’ una tranche di Linea d’Ombra, l’inchiesta sulle collusioni tra la camorra e la politica a Pagani, sfociata nell’arresto dell’ex sindaco e consigliere regionale Pdl Alberico Gambino, attualmente sospeso dalla carica elettiva.
E’ l’indagine sul falso tesseramento del Pdl a Salerno e in provincia, culminata nell’acquisizione dei tabulati di circa 25mila iscrizioni.
Nell’ambito di questo procedimento Edmondo Cirielli, deputato Pdl e presidente della Provincia di Salerno, sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati.
Lo anticipa la versione on line del quotidiano La Città .
La decisione della Procura di Salerno guidata da Franco Roberti sarebbe arrivata dopo alcuni approfondimenti investigativi.
In questi mesi i carabinieri hanno acquisito carte e delibere del Palazzo Sant’Agostino. Nel mirino dell’inchiesta condotta dal pm della Dda Vincenzo Montemurro ci sarebbero — scrive La Città  — gli atti relativi all’affidamento di alcuni lavori di manutenzione stradale e di una fornitura a una cooperativa sociale di Nocera Superiore.
Ai primi boatos Cirielli ha replicato con una nota ufficiale: “Apprendo da fonti giornalistiche di un’indagine a mio carico per la vicenda del tesseramento del mio Partito, e mi sembra logico, atteso che ne sono il leader. Non conosco, ovviamente, i contorni della vicenda ma so per certo che ho sempre rispettato la legge, per cui chiederò di andare dai magistrati per chiarire qualsiasi eventuale dubbio che potrebbero nutrire sul mio operato. D’altro canto — prosegue Cirielli — la mia posizione sulla giustizia non cambia di certo: sono garantista ma rispetto la Magistratura e ho fiducia nella sua azione complessiva. Non credo a teorie complottiste e sono convinto che ci si debba difendere nei processi e non dai processi”.
Delle 25mila tessere staccate nel salernitano, la quasi totalità  farebbero capo a Cirielli e ai suoi referenti territoriali, tra i quali era annoverato anche Gambino.
Solo 3000 sarebbero attribuibili all’ex ministro Mara Carfagna.

Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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CONFCOMMERCIO, ALLARME SU CONSUMI: “E’ IL CALO PEGGIORE DAL DOPOGUERRA”

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

PREVISTO UN RIBASSO DEL 2,8%: “NON ACCADEVA DAGLI ANNI TRENTA”…LE PREVISIONI DANNO UNA ULTERIORE DISCESA NEL 2013

Quest’anno si registrera’ in Italia il peggiore calo dei consumi dal dopoguerra ad oggi. E’ quanto emerge dal Rapporto sulle economie territoriali ed il terziario di mercato presentato da Confcommercio.
In particolare, secondo le stime della confederazione, i consumi delle famiglie dovrebbero scendere nel 2012 del 2,8%.
Si tratta, ha spiegato il direttore dell’Ufficio studi, Mariano Bella, ”del dato peggiore nella storia repubblicana in termini di consumi pro capite”.
Consumi che continueranno a scendere dello 0,8% anche nel 2013.
L’ufficio studi di Confcommercio ha rivisto al ribasso anche le stime sul prodotto interno lordo.
Le nuove stime indicano un calo del Pil per il 2012 del 2,2% (dal -1,3% di marzo). Anche il 2013 peggiora: se nei mesi precedenti Confcommercio aveva previsto un pareggio, oggi stima una riduzione dello 0,3%.
«Il livello del Prodotto interno lordo in Italia «sta raggiungendo i suoi minimi storici», ha affermato Mariano Bella.
I picchi negativi, spiega, si sono raggiunti tra aprile-giugno e saranno riaggiornati tra luglio e settembre 2012.

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UN MILIONE DI MILIONARI: I CINESI SONO PIU’ RICCHI MA SOGNANO DI FUGGIRE

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

I PATRIMONI PRODOTTI DALLA BOLLA IMMOBILIARE IN PATRIA….MA SOLO IL 28% HA FIDUCIA NELL’ECONOMIA NAZIONALE

Più di un milione di milionari: secondo l’ultimo Hurun Report, pubblicato ieri a Shanghai assieme al Gruppo M Knowledge, che fa la fotografia dei ricchi cinesi, quest’anno il Paese registra il più alto numero di milionari mai visto.
Hanno superato il milione raggiungendo quota 1,020,000, un aumento del 6,3% rispetto al 2011.
Ovvero, dice Hurun, un cinese ogni 1300 è milionario: il tetto minimo per entrare in classifica è fissato a 10 milioni di yuan, pari a 1.3 milioni di euro, e comprende tutta la fortuna dei diretti interessati, in beni mobili, immobili e liquidi.
Ci sono anche i super-ricchi, ovvero quelli con più di 100 milioni di yuan — una fortuna di 130 milioni di euro o più — che hanno raggiunto quota 63,500: di nuovo, un discreto aumento: 5,3% in più dello scorso anno.
Nell’ordine, le città  interessate da questo fiorir di milionari sono Pechino, con 179,000 (e 10,500 superricchi), poi l’intera regione urbana del Guangdong che ne vanta 167,000 (di cui 9,500 super-ricchi) e terza arriva Shanghai, con 140,000 milionari e 8,200 multimilionari (Hong Kong, Macao e Taiwan non rientrano nello studio).
Queste fortune sono state fatte nella stragrande maggioranza nell’immobiliare, e l’aumento dei paperoni cinesi è dovuto all’inflazione immobiliare, che non ha risentito significativamente dei tentativi del governo centrale di riportarne i prezzi a più miti consigli.
Secondo l’Ufficio nazionale di Statistica cinese, infatti, nel corso del 2011 l’immobiliare è aumentato del 13,7% in tutto il paese, e del 21% per i prezzi dell’immobiliare di lusso, consentendo quindi a chi ha investito nel mattone di vedersi aumentare il capitale a sua disposizione senza aver bisogno di fare nulla.
La metà  dei ricchi possiede un’azienda (non è specificato in quale settore) e l’altra metà  vive di investimenti — in Borsa e nel mercato immobiliare, per l’appunto.
Ma c’è anche un gruppo chiamato dei «colletti d’oro», o executives di alto livello.
Il sondaggio cerca di analizzare chi sono e cosa amano fare i ricchi cinesi, e ci mostra che al primo posto per i consumi dei ricconi ci sono i viaggi: in patria, in particolare nell’isola tropicale di Hainan, e nelle terre pre-himalayane e sub-tropicali dello Yunnan (ai confini con Vietnam, Laos e Birmania) e Hong Kong.
All’estero si riconfermano le mete ambite degli scorsi anni: la Francia, dove i cinesi accorrono per acquistare alta moda, vini famosi (e l’occasionale vigneto) e familiarizzarsi con la migliore cucina francese, seguita dagli Usa e dall’Australia, queste ultime due privilegiate anche per l’educazione dei figli. Infatti, l’85% dei ricchi manda o manderà  i figli a studiare all’estero, una percentuale che sale al 90% se si interpellano i ricchissimi.
Per studiare si spedisce la prole in America, in Canada e in Gran Bretagna, seguite dall’Australia.
Per vivere, ed emigrare in modo più permanente, si scelgono invece gli Stati Uniti, Singapore (dove il regime d’immigrazione nei confronti dei cinesi al momento è piuttosto aperto), e il Canada (dove sono state già  imposte alcune restrizioni, dopo un iniziale entusiasmo).
Tornando agli investimenti e alle spese, però, di nuovo è l’immobiliare che la fa da padrone: il 60% dei ricchi cinesi lo reputa il miglior posto per piazzare la ricchezza.
La fiducia dei ricconi cinesi nel proprio Paese non è ai massimi livelli, se consideriamo che il 16% di loro è già  emigrato, o ha iniziato i preparativi per farlo, e il 44% ha intenzione di farlo quanto prima: un bel 60% del totale dei milionari che vuole lasciare la Cina.
Questo si accompagna a un investimento all’estero crescente, che di nuovo privilegia l’immobiliare, e che in alcuni dei luoghi prediletti dai cinesi sta portando a significative tensioni con i locali, che si ritrovano a gestire un’inflazione crescente esportata dalla Cina, fenomeno visibile in particolare a Singapore e Hong Kong. Questo malgrado il divieto ufficiale a esportare più di 50,000 yuan (circa 6300 euro) l’anno a persona — ma i ricchi che vogliono fare le cose in modo legale «acquistano» il numero di carta di identità  dei meno abbienti, prendendo a prestito il potere di esportazione di contante da chi il contante non ce l’ha, e trasferendo fondi.
Molti altri, invece, arrivano a Hong Kong con valigie piene di soldi, e da lì vedono come sbrigarsela.
Del resto, i ricchi cinesi, che abbiano la valigia in mano o meno, sono piuttosto preoccupati dell’andamento economico nazionale: soltanto il 28% di essi si è detto ottimista al riguardo: nel 2011, gli ottimisti erano il 54%.

Ilaria Maria Sala
(da “il Corriere della Sera“)

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FINLANDIA, PATRIA DEL RIGORE EUROPEO: “NON PAGHEREMO PER LE CICALE”

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CON LA CRISI CRESCE IL SENTIMENTO NAZIONALISTA CHE PREMIA LA DESTRA POPULISTA

Oggi Jukka ha bisogno di «sisu». I finlandesi la chiamano così: forza, coraggio, razionalità , voglia di lottare quando le forze sembrano non esserci più.
E’ l’ultimo giorno nell’ufficio al centro di ricerche della Nokia di Ruoholathi, tre fermate di metro dal centro di Helsinki.
«Dalla prossima settimana mi sposto nella sede centrale. Hanno detto che non c’era alternativa».
L’enorme palazzo ecosostenibile è ormai deserto. Le porte sono serrate, le luci spente, qualche parete di vetro comincia a mostrare i segni dell’incuria.
A giugno il gruppo ha annunciato un piano di ristrutturazione che costerà  il posto a diecimila persone in giro per il mondo.
Il simbolo industriale della rinascita finlandese del dopo guerra fredda e della recessione seguita al crollo degli scambi con la fu Unione Sovietica, paga il conto della concorrenza spietata di Apple e Samsung.
Nokia taglia, eppure sul viale alberato che costeggia l’isolato tutto procede con apparente tranquillità .
All’Itameren Helm c’è chi approfitta dell’ultimo sole dell’estate per godersi una birra. Il proprietario, un immigrato indiano, alza le spalle: «Mi mancano i clienti nel week-end, ma non mi lamento».
Le mamme passeggiano, i ciclisti sfrecciano sulla ordinatissima ciclabile. Internet impazzisce per buffi passeri colorati, gli «Angry Birds» di Rovio, la letteratura mondiale consacra Sofi Oksanen e i suoi romanzi.
Il Giappone d’Europa, la patria intoccata della tripla A, non si arrende alle difficoltà . E’ lo spirito «sisu» che permise ai finlandesi di tenere testa ai russi nel 1940.
Di fronte al disastro spagnolo, alla tragedia greca, alle ricette imposte a Irlanda e Portogallo quel che accade qui non è ancora nulla.
Il Pil quest’anno crescerà  dell’1,5%, il deficit è sotto controllo, la disoccupazione è all’8%, i consumi interni tengono.
La Finlandia resta il Paese in Europa con la più alta spesa per la ricerca in rapporto al Pil, quasi il 4%.
E però quella stessa crescita è la metà  di due anni fa, la disoccupazione giovanile sfiora il 20%, il tasso di invecchiamento della popolazione minaccia la tenuta del sistema pensionistico, il debito pubblico è 8 punti superiore a tre anni fa.
L’ultimo rapporto Ocse ha sottolineato la crisi dell’export di un Paese povero di materie prime: dal +7,8% del 2010 l’anno scorso è crollato a -0,8%, quest’anno dovrebbe risalire al 2,2%.
La Banca centrale ha dedicato gran parte del suo ultimo rapporto all’enorme scarto fra i prezzi (troppo alti) delle case e gli affitti.
Il governo ha pianificato la costruzione di due centrali nucleari, ma intanto il progetto finanziato insieme ai francesi di Areva è in stallo, sepolto da polemiche e ritardi tecnici.
L’anno scorso la politica ha dovuto fare i conti con uno scandalo che ha fatto esplodere al 20% i consensi di un partito populista, xenofobo e antieuropeista che fino ad allora era rimasto ai margini della vita pubblica, i «veri finlandesi».
Il leader si chiama Tino Soini, è cattolico, un mix fra Beppe Grillo e Umberto Bossi.
I più critici, come il ministro degli Affari europei Alexander Stubb, interpretano il boom di Soini come la reazione alla scarsa disciplina di alcuni partner europei e alla crisi dell’Eurozona.
In Finlandia oggi al governo c’è un’inedita maggioranza destra-sinistra, per metterla insieme ci sono voluti due mesi.
Per tenere in ordine i conti pubblici, anche i finlandesi stanno tagliando le spese.
A pochi mesi dalle elezioni amministrative, in Parlamento si discute una riforma che – in nome del rigore finanziario – punta a dimezzare gli attuali 330 Comuni.
Nonostante i sacrifici, i sondaggi dicono che la «strana maggioranza» guidata dal giovane Jyrki Katainen gode di ampio consenso e che i voti di Soini calano.
Merito a quanto pare della scelta di non nascondere le difficoltà  e la fermezza con la quale si è posto rispetto alle crisi greca espagnola: il via libera di Helsinki al pacchetto di aiuti europeo è stato condizionato alla firma di due accordi bilaterali che vincolano Atene e Madrid a offrire al governo finlandese garanzie reali.
«Negli anni novanta abbiamo dovuto fare scelte drastiche. Come allora abbiamo bisogno di un nuovo slancio», dice spesso Katainen.

Alessandro Barbera

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LA MERKEL TRA DUE FUOCHI, COSI’ LA SVOLTA EUROPEISTA RISCHIA DI RIMANERE INCOMPIUTA

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

LA CANCELLIERA TEDESCA DEVE CONIUGARE EURO E INTERESSI TEDESCHI

«Se esistesse ancora la Ddr, lei sarebbe stata capace di conquistare il posto di numero uno», dicono di lei i critici più maligni, nel suo partito.
«Chi la sottovaluta, la ritiene solo una tatticista abile ma debole e vuole sfidarla ha già  perso il duello», ribatte Gerd Langguth, il suo biografo più autorevole.
All’inizio della crisi dell’euro lei negava ogni concessione, passo per passo ha ceduto su questioni chiave.
Più lenta rispetto alla crisi, per trascinarsi dietro i tedeschi.
Adesso nella tempesta perfetta continua a difendere gli interessi di Berlino, ma si è avvicinata in modo decisivo a Draghi, Monti e Hollande.
Fa ancora muro contro la licenza bancaria e quindi crediti illimitati per il nuovo fondo salva-Stati, l’Esm, sa di essere più debole di prima rispetto ai due Mario e all’Eliseo. Rischia forte su due fronti, mette in gioco la sua immagine internazionale quanto il suo potere a casa, come in una duplice roulette russa con gli elettori e gli alleati, lei cui fans e detrattori attribuiscono tanto istinto e voglia di potere.
Rischia consapevole una “no win situation”: se il salvataggio dell’euro fallisce il resto d’Europa la vedrà  come prima colpevole, se costerà  troppo ai contribuenti federali la Germania le volterà  le spalle.
Certo, parliamo di lei, Angela Merkel.
Non è davvero invidiabile, la posizione della “donna più potente del mondo” temuta e spesso anche odiata tra la gente a sud delle Alpi e a ovest del Reno, ma vista non senza diffidenze e paure a casa.
Ancora una volta, lei l’apparente tatticista incerta di fino a ieri reagisce sfoderando carattere d’acciaio e coraggio di tentare svolte.
Decisionista e amletica insieme, qui un sì e là  un no a Monti, chi sa quanta tensione si tiene dentro, celata da sorrisi di circostanza.
Per due volte – venerdì e domenica – con i segnali lanciati ai telesummit con Hollande e Monti – ha imposto una doccia fredda agli elettori: supremazia Bundesbank un corno, la Bce è ind ipendente da tutti, anche da Jens Weidmann e dai suoi falchi, e per la salvezza dell’euro va fatto tutto il possibile.
Segnali a distanza, dalle vacanze semplici in Alto Adige, poi per rassicurare a casa il no alla licenza bancaria per l’Esm.
Tra gite e trekking con Reinhold Messer come guida, “Angie” cerca, probabilmente invano, di scacciare lo stress.
Tiene duro, o ci prova. La svolta non è totale, ma fa riflettere.
Fino a ieri appariva temporeggiamento tattico, per poi cedere poco a poco a Parigi o Roma senza traumatizzare gli elettori.
Ora non più: «sa dove vuole andare, non spera più nella Grecia, ma ritiene che se l’euro fallisce sarà  la catastrofe totale», dice di lei il professor Michael Stuermer, un duro ortodosso, ex consigliere di Kohl.
«Sta cambiando e come fece Kohl mostra di non temere frizioni con la Bundesbank.
Quell’immagine di leader tiepida verso l’Europa se l’è scrollata di dosso, e sta imparando ad affrontare le spinte populiste », incalza Karl Lamers, un altro ex del team del cancelliere della riunificazione, ma leader del fronte delle colombe.
Conversione da patriota ad europeista, o adattamento allo Zeitgeist, uno spirito dei tempi che attorno alla “fanciulla dell’est”, con Hollande e Monti al posto di Sarkozy e Berlusconi, è cambiato come un nuovo vento?
Forse nelle scelte dure di Angela Merkel in questi giorni c’è qualcosa di entrambi gli elementi.
Abilità  tattica e ricerca di alleanze per restare leader si esprimono in modo nuovo. Audacia seminascosta, come quando studentessa nella Ddr rispettava il regime, ma a Mosca o Varsavia si procurava al nero dischi dei Beatles o pamphlets di Solidarnosc. Non è da ieri che mostra un carattere capace di svolte e strappi temerari.
Come quando lei per prima nel partito denunciò il padre e mèntore Helmut Kohl per lo scandalo dei fondi neri.
Quando, a una Cdu che tra i partiti fratelli in Europa ha quello di Orbà n, impose col “Programma di Berlino” una netta svolta a sinistra, mano tesa ai sindacati, ai migranti e alle coppie di fatto etero e gay.
O quando – lei che credeva nel nucleare – dopo Fukushima, cogliendo la paura della gente, ha scelto di spegnere i reattori.
Sorriso impassibile, arrivo puntuale alla prima del festival wagneriano di Bayreuth con l’abito scollato (ma vecchio di dieci anni, sul guardaroba si risparmia), Angie finora ha vinto, o superato le sconfitte, con questo understatement sempre all’attacco. Stress nei momenti difficili affrontato a sera con una rara sigaretta e un bicchiere di Sauvignon.
A volte anche con humour. Se la intervisti e il registratore ti s’inceppa, lei sorride e cerca subito di riavviartelo.
Se la incontri a un ricevimento a Washington con politici vip americani a braccetto e lei sa che scrivi per Repubblica, per spiegare agli ospiti chi sei dice sogghignando “tranquilli, è solo una spia di Berlusconi”.
Guanto di velluto e mano d’acciaio.
La mostrò in tanti summit europei, ma anche a Bush chiedendo la chiusura di Guantanamo, e a Putin denunciando la repressione.
Ma questa volta la sfida di Angie è più difficile: non è una grande comunicatrice, e ha fretta di spiegare al suo popolo che la solidarietà  con gli altri europei conviene anche alla Germania globale e forte, con una donna al comando.
Potrebbe anche non riuscirci, e tornare rigida o perdere.
Allora magari in mancanza di meglio qui rimpiangeremmo un po’ i suoi moniti, i suoi enigmatici sorrisi, persino i suoi “nein”.

Andrea Tarquini
(da “La Repubblica”)

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