LA CRISI IN SICILIA TRASCINA IL VOTO NAZIONALE
PARTITI IN DIFFICOLTA’: LA MODIFICA DEL PORCELLUM POTREBBE CONSENTIRE DI UNIRE LE DUE ELEZIONI
Le elezioni anticipate siciliane potrebbero essere un anticipo delle elezioni politiche nazionali, potrebbero dare cioè una plastica rappresentazione dello stato disastroso in cui versano i partiti.
Perciò – pur di rimandare il voto sull’Isola – le forze della «strana maggioranza» sono pronte a tutto, anche ad anticipare il voto sul «continente».
Ragioni diverse e interessi convergenti, uniscono Pdl, Pd e Udc a Idv e Sel, siccome tutti sono timorosi di specchiarsi subito nelle urne sicule dopo quanto è successo con le urne di Palermo.
Potrà sembrare paradossale, ma un filo rosso tiene insieme il rinnovo dell’Assemblea siciliana, la riforma della legge elettorale e l’ipotesi non ancora tramontata di anticipare in autunno il voto per il Parlamento.
L’idea di cambiare il Porcellum per indire le elezioni nazionali in novembre potrebbe consentire infatti di unire i due appuntamenti.
Ma l’accorpamento non è facile, servirebbe una norma – magari da infilare nella Finanziaria – per evitare un conflitto con le prerogative costituzionali siciliane.
A Roma però dovranno fare i conti con Palermo, dove il dimissionario Lombardo potrebbe a sua volta giocar d’anticipo, indicendo il voto non più a fine ottobre ma agli inizi di settembre, e garantendosi così due risultati: intanto si vendicherebbe di antichi alleati e avversari, sapendo che li coglierebbe impreparati; eppoi allontanerebbe da sè il problema che già s’intravvede all’orizzonte, visto che nelle casse regionali le risorse scarseggiano e a breve potrebbero essere a rischio gli stipendi dei lavoratori precari.
Il voto in Sicilia è un rompicapo politico e giuridico di prima grandezza, una faccenda davvero complicata, e in cui – a vario titolo – sono coinvolti anche il Quirinale e Palazzo Chigi.
La sfida si è iniziata a giocare tra le pieghe del contenzioso economico che ha visto contrapporsi il governo nazionale a quello locale, con i partiti che in quei giorni incitavano Monti al «redde rationem» con Lombardo.
E se ora le forze della «strana maggioranza» (e quelle di opposizione) temono il voto siciliano c’è un motivo: a parole giurano di esser pronti alla competizione nel giro di un paio di settimane.
Ma non è vero.
Il Pdl è prossimo ormai all’implosione.
Ad accelerare il processo ci sta pensando il leader di Grande Sud, Miccichè, ostile ad Alfano, che ai tempi delle Comunali di Palermo ha strappato al Cavaliere la «promessa» di appoggiarlo nella corsa a governatore e ora chiede che i patti siano mantenuti.
Al suo fianco si è schierata l’ex ministro Prestigiacomo, mentre un altro berlusconiano ha annunciato di «scendere in campo»: è il capogruppo all’Assemblea, Leontini, un piede fuori dal partito, che vanta il sostegno del Pid di Romano, un tempo amico di «Angelino».
E proprio ad «Angelino» la corte di cui si circonda Sua Emittenza non fa mancare la propria solidarietà : tal Volpe Pasini – che nonostante le smentite millanta di essere consigliere di Berlusconi – ha detto che «Silvio per la Sicilia pensa ad Alfano».
Un sorso di cicuta. Intanto, ai blocchi di partenza, si scaldano anche il coordinatore regionale Castiglione, il presidente uscente dell’Ars Cascio e il «destro» catanese Musumeci, che ha una buona immagine e i migliori sondaggi.
A sinistra non stanno certo meglio.
Nella caserma del Pd, ai minimi storici nell’Isola, l’eurodeputato Crocetta ha annunciato il «rompete le righe», autocandidandosi, nonostante il partito non lo abbia autorizzato.
Non è una finta, «non mi ritirerò», ha confidato giorni fa l’ex sindaco di Gela: «Alla peggio, farò eleggere con me una decina di deputati regionali».
Bersani ne sarà lieto.
In lizza per la poltrona di governatore si annunciano pure Sonia Alfano, che dopo il divorzio con l’Idv corteggia Grillo, e Fava, che profittando del divorzio dalla Alfano ci sta provando con Di Pietro.
E mentre la Sicilia brucia a Roma i vertici del Pd discutono, tentano di indurre all’alleanza l’Udc con un candidato di antica speme, Bernardo Mattarella, figlio di Piersanti.
Anche Casini però è nei guai. Nei mesi scorsi il leader dei centristi aveva confidato al segretario del Pdl le sue mosse: «Quello che farò in Sicilia, farò anche a livello nazionale».
Ma il voto in autunno nell’Isola sconvolgerebbe i suoi piani, perchè un accordo regionale con il Pd scoprirebbe anzitempo il suo gioco nazionale, l’idea di accordarsi dopo le urne con Bersani, l’obiettivo della presidenza del Senato per la successiva corsa al Colle…
Per non parlare degli inevitabili contraccolpi a livello elettorale.
E allora contrordine, «potremmo andare anche da soli», diceva ieri il segretario siciliano D’Alia.
«Servirebbero le larghe intese anche a Palermo», aggiungeva a tono il segretario nazionale Cesa.
L’Isola fa più paura del continente, ecco perchè tutti i partiti vorrebbero evitare che in Sicilia si giocasse l’anticipo del campionato nazionale.
Anche perchè quella è la terra di tanti esperimenti, compreso quello «milazzista» che mise insieme fascisti, comunisti e democristiani.
Leoluca Orlando ha iniziato a ripassare qualche pagina di quella storia, magari per trovare ispirazione e vendicarsi (con un accordo eterodosso) di chi a sinistra provò a farlo incespicare nella sfida per il comune di Palermo.
Ma sì, i partiti sono pronti.
Quasi…
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera“)
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