Agosto 24th, 2012 Riccardo Fucile
QUASI UNA METAFORA DELLA CRISI DI LEADERSHIP DEL PARTITO… MARONI PROVA A PRENDERE IL PALCOSCENICO DI BOSSI, MA QUALCUNO COMINCIA A PENSARE CHE PORTI SFIGA
Tuoni, fulmini e saette. 
La tempesta che ha squassato la Lega non ha risparmiato nemmeno Albertone da Giussano, la grande statua alta cinque metri con cui le migliaia di festanti padani sono sempre stati accolti alla Bèrghem Fest di Alzano Lombardo.
Per parecchi anni ha resistito ad ogni vento, prima di crollare sotto un temporale e sfasciarsi.
Un segno premonitore, manifestatosi in tempi non sospetti e che non andava sottovalutato. Adesso, con le ossa e il basamento rotto, la statua è in riparazione, un pò come tutto il popolo leghista che si ritrova, dopo la sera delle «scope» e del pollaio ripulito, dello scorso aprile, all’appuntamento che, dopo 23 anni, è più che una tradizione.
È storia, un capitolo di vita politica.
Ci sono state fratture e le ferite sanguinano ancora, ma il basamento, o meglio la base è chiamata qui, per una «Fest» che, da qui al due settembre, dovrà dire molto di «Bèrghem» e della sua fede leghista.
Bossi ci sarà , arriverà domani sera «perchè ha ancora molto da dire e da dare», rimarca Roberto Pedretti, il consigliere regionale che sfodera un paio di jeans verdi, ma fluo, trasgredendo cromaticamente al verdone d’ordinanza.
Maroni parlerà quasi alla fine dei dieci giorni di festa, in un ordine per la prima volta rovesciato (era sempre il Senatur a chiudere la faccenda in un’apoteosi di proclami e battimani).
Dieci sere per un festival a temi, tra cui quello atteso, delle riforme costituzionali ed elettorali.
Intanto l’unico porcellum che ha tenuto banco ieri sera è riconducibile alla porchetta alla griglia con salsa verde, uno dei piatti di un menù ricchissimo.
Dire Bossi o Maroni è un pò come dire Francia o Spagna: la risposta, sotto i tendoni afosi, è stata univoca: «purchè se magna».
E qui se magna, benissimo.
La cucina, organizzata come un reparto di cavalleria agli ordini della regiura Aurora Azzola, è scattata puntuale, alle diciannove ha cominciato a ricevere e sfornare come un orologio le prime comande.
Una concessione local è il capù alla bergamasca, ma lo chef indica come specialità uno gnocco fritto alle ortiche e gli strozzapreti con lumache e pecorino, che con altre specialità denotano infiltrazioni culinario-regionali in grado di accontentare anche i palati più sofisticati.
Lo strinù resiste come un evergreen e anche l’euro resiste.
L’idea di far tornare in auge la lira, come avvenuto in Trentino, proprio in una festa leghista, non è stata presa in considerazione, ma Pedretti, in veste di coordinatore festaiolo, non esclude «qualche sorpresa».
Nel quartier generale del Carroccio il tempo e le bufere non sembrano passate, la gente alla spicciolata arriva e impugna la forchetta.
In sottofondo si sentono le note di una bachata e i mega schermi sono sintonizzati su Sky. «Domenica sera gioca l’Atalanta», ricorda Pedretti.
Zaia e Cota arriveranno ad Alzano Lombardo per illustrare le «macro regioni» tra un dribbling di Denis e un assist di Moralez.
Donatella Tiraboschi
(da “Il Corriere della Sera”)
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Agosto 24th, 2012 Riccardo Fucile
SA DI ESSERE FINITO: SOLO APPOGGIANDO UNA “GRANDE COALIZIONE” POTRA’ ANCORA ESSERE DECISIVO, MA NON SI DEVE DIRE IN PUBBLICO
La grande coalizione? Si fa ma non si dice.
E Berlusconi la vorrebbe tanto fare, almeno così ha confidato nei giorni scorsi.
«Se si dovesse votare a novembre – ha spiegato agli amici più stretti – noi e il Pd saremmo entrambi intorno al 20-25 per cento. Di fatto un pareggio. E, a quel punto, chiunque vinca sarà obbligato alla grande coalizione dalla gravità della situazione». Per il Cavaliere, a dispetto dell’ostilità manifestata ieri da Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Giorgia Meloni, il governissimo è dunque «una soluzione possibile».
A patto di non dirlo in pubblico, «perchè i nostri elettori non capirebbero e andremmo solo a regalare voti a Grillo».
Per questo Berlusconi ritiene «sbagliate» e incaute le aperture a un’alleanza con il Pd e l’Udc che alcuni esponenti del Pdl – da Frattini a Quagliariello, da Bondi a Gelmini – vanno facendo da qualche tempo sui giornali.
Ma la frattura interna tra forzisti “grancoalizionisti” ed ex An non è l’unica grana che sta per esplodere nel Pdl.
La vera guerra, se dovesse essere approvata la nuova legge elettorale, scoppierà quando si dovrà scegliere chi candidare nei collegi e chi inserire nei listini blindati. Tra sommersi e salvati la lotta sarà al coltello, visto che una metà dei parlamentari eletti nel 2008 dovrà rassegnarsi a tornare a casa.
Si sa che Berlusconi pensa a un «profondo rinnovamento» delle liste, riempite soprattutto di giovani amministratori locali che sappiano farsi valere in una competizione che sarà basata molto sul radicamento territoriale.
Ma c’è anche chi punta a introdurre una regola draconiana.
Daniela Santanchè è infatti pronta a lanciare la sua bomba alla prima riunione dell’ufficio di presidenza: nessuno dovrà essere candidato se non ha già un lavoro a cui tornare dopo l’esperienza in Parlamento.
Una proposta che potrebbe mettere in imbarazzo chi ha sempre fatto soltanto politica, come appunto i vari Gasparri, Cicchitto, Meloni, per non parlare dello stesso Angelino Alfano (che domenica è andato in Sardegna con la famiglia a trovare il Cavaliere).
In ogni caso l’ex premier, a dispetto delle titubanze e dell’indecisione che lascia filtrare, ha ormai attraversato il suo Rubicone.
Si candiderà in prima persona.
«Si sta preparando come una rockstar», racconta chi è andato a trovarlo in Sardegna: «Ripassare al doppiopetto per lui è stata dura, così ha deciso di perdere 8 chili con le passeggiate e la dieta del brodo».
È convinto di stare «appena cinque punti dietro Bersani» e ricorda che nel 2006 ne recuperò dieci con Prodi nelle ultime tre settimane.
Oltre ai sondaggi di Alessandra Ghisleri, il Cavaliere ogni volta che può testa il gradimento della sua ricandidatura con chi gli capita a tiro.
«La mia famiglia – dice spesso – non sarebbe d’accordo, cercano di convincermi a godermi la vita. Ma è la gente che me lo chiede, come faccio a ritirarmi?».
Anche il nome del nuovo-vecchio partito sarebbe già scelto.
Alla fine, dopo tanto girovagare, è tornato ad accarezzare quel «Grande Italia» che difficilmente può essere ridotto ad acronimo.
Oltre al nuovo nome, alle liste rinnovate, alla dieta, al programma in cottura con Antonio Martino, a una nuova legge elettorale che gli consentirà di correre senza la Lega, a Berlusconi mancava un ultimo tassello per presentarsi: la benedizione della ex moglie.
Troppo grande la caduta d’immagine con l’elettorato femminile per pensare di candidarsi senza essersi riavvicinato a Veronica.
Non si parla di tornare insieme, come aveva scritto qualcuno. Ma la riconciliazione c’è stata, favorita dalla chiusura delle pendenze legali e dall’accordo patrimoniale post-separazione.
Raccontano che negli ultimi mesi «Silvio» e «Veronica» abbiano ripreso a frequentarsi saltuariamente in maniera civile.
Dopo il muro alzato da entrambi (Berlusconi diceva agli amici: «Mi ha sparato in faccia, non la perdonerò mai»), ci sono stati anche degli inviti.
La Lario lo ha accolto a cena a Macherio, dove è tornata ad abitare, insieme ai suoi tre figli. E Berlusconi ha ricambiato invitandola a colazione ad Arcore.
Un’intesa cordiale favorita, in queste ultime settimane, anche dalla gravidanza della figlia Eleonora, che li farà diventare entrambi nuovamente nonni.
E, giurano i bene informati, non mancherà qualche servizio fotografico per immortalare la pace ritrovata tra i due ex coniugi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Agosto 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL PREMIER IGNORA LE TENSIONI NELLA MAGGIORANZA E PROVA A RILANCIARE LA SUA AZIONE
Le manovre nei partiti per votare a novembre lasciano Monti piuttosto
freddo, nonostante l’afa. Freddo, e scettico.
In casi del genere che farebbe un presidente del Consiglio di rientro a Roma, se fosse realmente preoccupato per la tenuta della sua compagine?
Come prima cosa si attaccherebbe al telefono e si informerebbe con i leader della maggioranza; cercherebbe di capire che cosa c’è di vero nel mare di chiacchiere.
Ebbene: non risulta che Monti abbia preso contatto con «A-B-C», nè che intenda farlo.
Bersani e Casini si stanno godendo gli ultimi scampoli di vacanza, il loro smartphone ieri è rimasto muto.
Nel caso di Alfano, invece, una chiamata da Palazzo Chigi avrebbe raggiunto il segretario del Pdl in Sardegna, dove Angelino è ospite del Cavaliere.
I due stanno decidendo le mosse future, dunque mai telefonata del premier sarebbe potuta arrivare più tempestiva.
Magari Monti ne avrebbe potuto profittare anche per chiedere conto a Berlusconi dell’ultimo attacco sul «Giornale» di famiglia, che gli ha rimproverato di spendere ben 10mila euro di affitto a settimana per la casa in Engadina laddove sono 12 mila 500 spalmati in un arco di quattro mesi, precisa la presidenza del Consiglio…
Niente chiarimento, silenzioso anche il centralino di Villa La Certosa.
La verità , raccontano personaggi vicini al Prof, è che ogni colloquio sarebbe superfluo.
L’ultima volta che parlò coi tre segretari, alla vigilia delle vacanze, Monti ne ricevette suggerimenti fattivi su come rilanciare la crescita (in particolare da Bersani) e su come tagliare lo stock del debito pubblico (incontro con Alfano, presente il ministro dell’Economia Grilli).
Il Consiglio dei ministri di stamattina si muoverà esattamente nel solco di quelle indicazioni.
Sarà uno scambio di idee con i ministri per definire l’agenda di qui allo scadere della legislatura. Verranno dibattute misure a sostegno delle attività economiche perchè questo reclamano i mercati, di rigore ce n’è già stato abbastanza.
E nelle prossime settimane si concentrerà l’attenzione sulla vendita di cespiti patrimoniali… Ovviamente Monti è al corrente di quanto bolle in pentola, specie sulla riforma elettorale.
Senza bisogno di inseguire i retroscena, gli è bastato metter piede domenica a Rimini, sede del Meeting ciellino e cassa di risonanza di tutte le trame agostane.
Sa che forte resta in alcuni ambienti la tentazione di cambiare in fretta il «Porcellum» con l’obiettivo di chiudere la legislatura in autunno.
Però Monti non ci vede necessariamente una trappola.
Al suo entourage sfugge questo presunto automatismo per cui, una volta varata la nuova legge elettorale, l’Italia dovrebbe precipitarsi immediatamente alle urne.
E perfino se così fosse, l’umore generale del Prof non sembra di chi vuole battersi per resistere a cavallo un paio di mesi in più; qualora i leader volessero congedare lui e i suoi «tecnici», non avrebbero che da dirlo.
A maggior ragione se fosse il Presidente della Repubblica a giudicare conclusa la parabola del governo…
Monti, confermano dalle sue parti, pende letteralmente dalle labbra di Napolitano.
Tuttavia anche in questo caso non risulta che il Capo dello Stato voglia precorrere i tempi. Perlomeno a Palazzo Chigi non ne hanno fin qui sentore, semmai l’esatto rovescio: le ultime dal Colle raccontano di una legislatura che si concluderà a marzo 2013, come da copione.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Agosto 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE REGIONALE LIGURE PER DIFENDERE LE SUE 1000 PREFERENZE SI SCHIERA CON TRE DENUNCIATI PER TENTATO OMICIDIO: “ERA UN LADRO, QUALCUNO DOVEVA FERMARLO”… L’UDC REGIONALE PRENDE LE DISTANZE
Marco Limoncini, ex sindaco leghista di Cicagna oggi capogruppo dell’Udc nel Consiglio della Regione Liguria, difende a spada tratta i tre giustizieri suoi compaesani denunciati a piede libero per il tentato omicidio di un marocchino 34enne.
Un raid tanto vigliacco quanto violento contro uno sbandato, con precedenti per furto e oramai diventato il principale sospettato di tutti i reati – per altro molto pochi secondo i carabinieri – commessi a Cicagna e dintorni.
Limoncini scrive su facebook: “La verità è che bravi cittadini arrivano a farsi giustizia da soli perchè la giustizia non funziona! La realtà dei fatti è che un delinquente di professione ladro visitava le nostre case e negozi. Qualcuno doveva fermarlo. Non puoi continuare a subire furti sapendo chi è l’autore e vederlo girare impunito! Leggetela come volete ma noi siamo dalla parte dei tre nostri concittadini!!!”.
Limoncini ottiene tante condivisioni e numerosi di “mi piace”.
Chi prende invece le distanze è Rosario Monteleone, segretario regionale del partito di Limoncini: “Mi auguro che Marco riveda certe frasi che io non condivido e non accetto. Spero che siano state dettate dall’emotività , perchè se così non fosse… Per come conosco Limoncini posso dire che non è nè un giustizialista, nè un razzista. Penso che si sia fatto trascinare dalla tensione che vive il paese e dalla pressione mediatica”.
Il gesto che nel Limoncini-pensiero va difeso a spada tratta, era stato condannato anche da polizia e carabinieri, così come dal sindaco e dal parroco di Cicagna. Quest’ultimo ieri è anche andato a far visita alla vittima dell’aggressione dei tre giustizieri, i quali rischiano di essere arrestati.
Il commento del ns. direttore
Se esistono ragioni per essere contro le “liste bloccate” con le quali le segreterie dei partiti scelgono e impongono i propri uomini nelle assemblee elettive, il caso delle infelici dichiarazioni di Limoncini dimostra quanto sia illusoria anche la strada delle preferenze.
Perchè il caso è tutto qua: di fronte a tre delinquenti che hanno ridotto in fin di vita uno sbandato solo perchè sospettato di “decine di furti” (cosa peraltro smentita dai carabinieri), il consigliere regionale dell’Udc, ex Lega, prende le difese non “del territorio” come lui sostiene, ma squallidamente del suo bacino elettorale, da cui ha ricavato i 1000 voti che gli hanno permesso di entrare in Regione.
Il caso Limoncini è emblematico: leghista da sempre, sindaco di Cicagna, segretario prov della Lega nel Tigullio, entra in collisione con Belsito che gli preferisce il figlio del sindaco di Chiavari come candidato in Regione.
A due mesi dal voto passa così all’Udc: improvvisamente i 1000 voti che prendeva a Cicagna si trasferiscono al partito di Casini e lui diventa il primo degli eletti dell’Udc.
La tesi dei “bravi cittadini” costretti a farsi giustizia da soli non regge:
1) Se i cittadini avessero avuto le prove che il marocchino era davvero responsabile di “decine di furti” e le avessero fornite alle forze dell’ordine, non sarebbe stato a piede libero a causa della reiterazione del reato.
2) Uno degli organizzatori delle ronde, intervistato da un quotidiano locale, ha esplicitamente detto che mai si farebbe registrare in base alla normativa Maroni.
Invocando quindi “mano libera”, tanto per capire chi sono i “bravi cittadini” cari a Limoncini.
3) Se “la giustizia non funziona” chi meglio di un politico regionale può avere titolo per fare i passi necessari per ripristinarla?
Perchè Limoncini non lo ha fatto prima che la situazione degenerasse, invece che cavalcare la protesta dopo?
4) La sicurezza è garantita dallo Stato e dalle forze dell’ordine: un segnale in senso opposto è segno di irresponsabilità per qualsiasi forza politica.
Se quei cittadini avranno diritto a delle attenuanti lo stabilirà il giudice, non Limoncini.
Fino a quel momento, da rei confessi, sono solo dei delinquenti.
Poi ognuno è libero di rappresentare politicamente anche questa categoria, basta non spacciarla per gente che ha agito per valori etici.
Materia su cui Limoncini non è titolato a dare lezioni.
argomento: criminalità, denuncia, Giustizia | Commenta »