Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
DA OGGI NIENTE RISCOSSIONI, I COMUNI ESATTORI IN PROPRIO
Tredici miliardi che rischiano di rimanere nel limbo, con danni gravissimi per 6.000 Comuni italiani.
Sono tutti gli arretrati non ancora riscossi da Equitalia, anni di multe non pagate e di tributi non versati che la società rispedirà ai Comuni nelle prossime settimane.
Infatti Equitalia, come ha stabilito due anni fa il decreto Sviluppo, e dopo ben tre proroghe disposte da normative successive, non si occuperà più della riscossione dei tributi locali per conto dei Comuni a partire dal primo luglio di quest’anno.
E ha chiesto ai Comuni di non inviare nuovi ruoli a partire dal 20 maggio, per avere il tempo di gestire il passaggio delle vecchie pratiche.
Duemila Comuni hanno già risolto il problema da tempo: Torino, per esempio, si è affidato alla Soris.
Bologna si occupa autonomamente delle riscossioni avvalendosi del supporto di Engineering e Poste Italiane.
Per gli altri 6.000 Comuni invece da lunedì potrebbe scattare il caos, perchè quasi tutti si stanno attrezzando, ma pochissimi contano di essere pronti nel giro di due giorni, e non tutti lo saranno per il primo luglio.
Ma anche se tutto funzionasse alla perfezione, se le gare venissero bandite in tempo, e se venissero recuperati gli arretrati di questo mese e mezzo di transizione, che ne sarà delle pratiche aperte negli ultimi anni?
Per Milano ci sono in gioco un milione di multe, effettuate negli ultimi due anni.
Il Comune conta di concludere gli invii del 2010 lunedì.
Palazzo Marino si attrezzerà per gestire le nuove multe, presumibilmente dal primo luglio, ma per il resto serve un provvedimento che faccia chiarezza sul passaggio di consegne.
E non solo per Milano, spiega Guido Castelli, delegato Anci per la finanza locale e sindaco di Ascoli Piceno: «La formulazione della norma che fa cessare i poteri di Equitalia fa pensare che la società non solo non possa lavorare i nuovi ruoli, ma debba rimettere anche tutti gli arretrati. Cioè dagli 11 ai 13 miliardi, che i Comuni hanno già iscritti in bilancio, soprattutto multe e tasse ambientali. Il 60% di questo monte premi è di importo inferiore ai 100 euro. Si impone una fase transitoria, per impedire il nebulizzarsi dei residui attivi».
È soprattutto per questo che l’Anci nei giorni scorsi ha chiesto una proroga al ministro dell’Economia Saccomanni.
Quello degli arretrati è il problema più grave, ma ce ne sono altri: mentre Equitalia può emettere ruoli esattoriali, semplificando la riscossione, i Comuni dovranno avvalersi dell’operato di un «ufficiale di riscossione», «figura abilitata da specifici corsi che non si tengono da almeno dieci anni», assicura Castelli.
Un percorso a ostacoli che l’Anci sta provando a risolvere con la costituzione di una propria società , Anci Riscossione: «Abbiamo bandito una gara per reperire un socio privato, è in corso l’istruttoria, ci sono otto candidati – dice Castelli – Il nostro obiettivo è essere pronti per il primo luglio».
Saranno probabilmente i Comuni più piccoli a far ricorso ai servizi di Anci Riscossione; le grandi città stanno cercando di organizzarsi in proprio.
Roma, ha annunciato il sindaco Alemanno, è pronta con AequaRoma, società già costituita ma che sarà pienamente operativa dal primo luglio.
Anche Firenze ha già individuato la nuova società : Linea Comune, che gestisce anche il call center dell’area metropolitana fiorentina.
Napoli aveva bandito per tempo la gara d’appalto, ma è incappata in un intoppo: a vincerla è stata una joint venture costituita da Engineering e dalla stessa Equitalia, ma Equitalia non avrebbe potuto parteciparvi, quindi è tutto da rifare.
Mentre Bari e Genova devono ancora bandire le gare, ma sperano comunque di poter partire il primo luglio, se non ci saranno proroghe.
E’ la proroga in effetti il vero obiettivo dei Comuni che non hanno ancora bandito la gara. Perchè anche la riscossione in proprio, difficoltosa per ragioni amministrative e di budget, non si può improvvisare nel giro di poche settimane.
Rosaria Amato
(da “La Repubblica“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
UNA VORAGINE DA 2,5 MILIARDI
Logorante e insidiosa, la guerra di Equitalia. 
Un conflitto nel quale la tregua implorata ieri dall’associazione dei Comuni, che per lettera ha chiesto al governo una proroga dei servizi di riscossione esercitati da questa società oltre la scadenza di legge del 30 giugno, materializza l’assurdità della situazione che si è venuta a creare. Senza che in quasi due anni, tanto è passato dalla legge che sull’onda dell’offensiva contro la crudeltà del Fisco ha stabilito la fine del monopolio di Equitalia trasferendo la pratica ai sindaci, qualcuno si fosse concretamente attrezzato per evitare di cadere nella voragine che tutti sapevano si sarebbe aperta.
Quanto profonda? Due miliardi, forse due e mezzo.
Dice un rapporto presentato l’anno scorso dalla Fondazione Luigi Guccione e dall’Istituto internazionale per il consumo e l’ambiente che nel periodo 2006-2010 il gettito delle contravvenzioni stradali elevate dalle polizie municipali è stato di un miliardo 480 milioni in media l’anno.
Ben 270 milioni nella sola città di Roma, 130 a Milano.
Per non parlare degli incassi garantiti finora da Equitalia ai Comuni a valere sulle somme iscritte nei cosiddetti ruoli della riscossione.
Nel 2012 sono stati 825 milioni, contro i 940 del 2011 e il miliardo del 2010: una diminuzione progressiva, determinata dal venir meno di una misura dissuasiva come le ganasce fiscali.
Ora applicabile solo a cartelle di importo superiore ai 2 mila euro.
Al netto di questo problemino, sono numeri che fanno ben capire le dimensioni della faccenda. Le multe non pagate lievitano come la panna montata grazie ad alcuni meccanismi vessatori. Come quello di imporre il pagamento degli interessi semestrali del 10 per cento, dunque ben più elevati del tasso di usura, nonostante una sentenza del 2006 della Corte di cassazione abbia stabilito che si tratta di una pratica illegittima.
Un esempio? A Roma una contravvenzione stradale da 37 euro elevata nel 2008, arriva dopo cinque anni a 156 euro e 83 centesimi, dei quali 12 e 58 vanno a Equitalia e il resto al Comune. Tantissime multe non vengono pagate perchè notificate fuori dai termini per colpa dell’inefficienza degli uffici comunali.
Il giudice di pace, di fronte ai ricorsi, non può che annullarle.
Quindi c’è chi la multa non la paga per niente e chi invece la deve pagare quintuplicata magari soltanto perchè l’ha dimenticata in un cassetto.
Questo finora. Perchè l’uscita di scena di Equitalia qualche segno non trascurabile lo lascerà . Almeno se è vero, come sostiene Marco Casi, deputato del Pd nonchè ex assessore al bilancio del Comune di Roma, che i Comuni «non possono emettere ruoli e potranno agire solo con ingiunzioni al pagamento, che rischiano di ingolfare i tribunali e aumentare i costi della riscossione».
Vedremo.
Ma se i sindaci rischiano di perdere i ricavi delle multe stradali, una fonte di incassi che per qualcuno un tempo era addirittura più sostanziosa della vecchia Ici, la storia potrebbe avere qualche fastidioso effetto collaterale anche per i contribuenti.
Che certo grazie al caos pagheranno qualche multa in meno, senza però evitare di subire un supplemento non indifferente di spesa pubblica.
Equitalia ha la bellezza di 8.240 dipendenti.
Di questi, circa 2 mila sono quelli che lavorano alle pratiche degli enti locali.
Inutile dire che non si possono licenziare.
Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate che controlla il 51 per cento del capitale della società (il restante 49 per cento è in mano all’Inps) aveva proposto di trasferirli ai Comuni.
Ma finora gli è stato risposto picche, pur essendo chiaro che se quel servizio dovrà essere affidato ai municipi, magari attraverso società municipalizzate apposite, qualcuno dovrà pur farlo.
E siamo pronti a scommettere che duemila persone non basteranno.
Per il solo incasso di alcuni tributi comunali qual è ad esempio la tassa sui rifiuti il Comune di Roma, guidato dal sindaco Gianni Alemanno, schierato in prima linea nello scontro fiscale, ha una propria società di riscossione.
Si chiamava Roma entrate e in previsione di prendere in carico anche le pratiche gestite da Equitalia ha cambiato il proprio nome in Aequa Roma.
Ha già 324 dipendenti e un consiglio di amministrazione di tre persone. Ovvio.
Perchè oltre al personale bisogna naturalmente considerare pure le poltrone nelle società che soppianteranno Equitalia. Pubbliche, come per esempio quella che ha in mente il governatore della Lombardia Roberto Maroni.
E magari qualcuno si affiderà agli esperti che quel lavoro l’hanno già fatto in passato.
Gli esattori, ve li ricordate?
E la spending review, vi ricordate anche quella?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
SPUNTA LA PROGRESSIVITA’, MA IL RISCHIO PER IL CONTRIBUENTE E’ ALLA FINE DI DOVER PAGARE PIU’ DI ADESSO
La cornice è chiara, il problema (come al solito) far quadrare i conti.
Le nuove regole sull’Imu che il governo si è impegnato ad approvare entro la fine di agosto dovrebbero cancellare la tassa sulla prima casa, con la sola eccezione degli immobili di lusso, e introdurre la deducibilità per i capannoni.
Una scelta che costerebbe almeno 6 miliardi di euro, 4 per la prima casa, altri due per le imprese.
Più o meno un quarto del gettito totale dell’Imu.
Dove trovare i soldi?
Le ipotesi sul tappeto sono diverse e se il dossier è sul tavolo del governo fin dal suo primo giorno di vita e i contatti con Bruxelles sono già intensi, il lavoro vero inizia adesso visto che sono appena cambiati due uomini chiave per i conti pubblici come il ragioniere generale dello Stato e il capo di gabinetto del ministero dell’Economia
Il primo punto fermo è introdurre il principio della progressività immobiliare.
Cosa vuol dire? Oggi l’Imu pesa allo stesso modo dalla seconda casa in su.
Con il decreto che il governo si è impegnato ad approvare entro 100 giorni dovrebbe colpire di più i grandi proprietari.
E quindi niente tassa sull’abitazione di residenza, a meno che non sia particolarmente lussuosa, ma una tassa più pesante sulle seconde case, ancora più pesante sulle terze, ancora di più sulle quarte, e così via in crescendo.
Una tassa è progressiva quando sale in modo più che proporzionale all’aumentare della ricchezza.
E se è la nostra Costituzione (articolo 53) a indicare questo criterio per il sistema tributario in generale a gennaio era stata l’Unione Europea a criticare l’Imu proprio perchè poco progressiva e quindi poco equa.
Su questo punto si procederà , dunque.
Ma non basterà a coprire gli «sconti» per famiglie e imprese.
I grandi proprietari esistono ma non sono così numerosi. Anche caricando in modo pesante le aliquote dalla seconda casa in poi il gettito aggiuntivo non basterebbe a coprire i 6 miliardi che verrebbero a mancare.
Altra ipotesi è quella di far pesare nella nuova Imu anche il reddito del proprietario. Altra misura pensata per motivi di equità che però difficilmente porterebbe in cassa le risorse che il governo sta cercando.
Più che di reddito bisogna parlare di dichiarazione dei redditi. E quindi di evasione. Non bisogna dimenticare che sono appena 400 mila gli italiani che dichiarano più di 100 mila euro lordi l’anno.
Un contribuente su 100.
Resta poi il problema del catasto e delle sue sperequazioni.
Specie nelle grandi città i centri storici sono ancora pieni di case considerate «ultrapopolari», cioè senza bagno, che pagano un’Imu bassissima mentre in periferia ci sono immobili nuovi che pagano molto di più.
Recuperare qualcosa dalle finte case ultrapopolari è cosa buona e giusta ma nemmeno questo basterà a far tornare i conti.
Il vero punto è ridisegnare nel suo complesso l’Imu, unificandola alla Tares, la nuova tassa sui rifiuti che per il momento è stata rinviata a dicembre.
L’obiettivo del governo è creare un’unica imposta il cui gettito andrebbe interamente ai Comuni. E che dovrebbe coprire non solo gli immobili e i rifiuti ma anche gli altri cosiddetti servizi indivisibili, come l’illuminazione pubblica e la manutenzione delle strade.
La tassa di servizio potrebbe essere più cara o più economica rispetto all’Imu di adesso sommata alle altre imposte che dovrebbe assorbire.
Il risultato dipenderà dai coefficienti scelti per «pesare» i singoli servizi.
Ma tutte le decisioni sarebbero nelle mani dei Comuni, al limite con lo Stato a fissare dei livelli minimi e massimi.
Un’imposta più salata potrebbe trasformare in un boomerang l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, un’imposta più bassa lascerebbe aperto quel buco di 6 miliardi sul quale il governo sta lavorando.
È per questo che si apre un altro scenario: i soldi necessari potrebbero arrivare non solo dalla progressività , dal catasto e da tutto quello che abbiamo visto finora.
Ma anche da nuovi tagli alla spesa pubblica. Con un problema, però.
Se la nuova Imu deve nascere entro la fine di agosto, prima della fine di giugno il governo deve trovare i soldi per evitare l’aumento già programmato dell’Iva.
E dopo un’altra stagione di tagli, l’austerity è una ricetta che non convince più.
Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
DEPOSITATE LE RICHIESTE DI AUTORIZZAZIONE: DECISIVO IL PD, IN AULA SARà€ SCRUTINIO SEGRETO
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse
e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Il primo comma dell’articolo 68 della Costituzione, quello sulla “insindacabilità ” dei parlamentari, è la prima grana giudiziario-parlamentare di Silvio Berlusconi nella XVII legislatura, e anche la prima del Pd, che si vedrà costretto a scegliere tra l’alleato di governo e le convinzioni espresse (e anche votate) fino a pochi mesi fa.
Mercoledì, infatti, la Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio sarà chiamata all’esame di ben quattro provvedimenti di insindacabilità dell’ex deputato, oggi senatore.
Relatore d’eccezione il neopresidente della Giunta, Ignazio La Russa, autonominatosi all’esposizione in quanto i provvedimenti sono già stati esaminati dalla precedente giunta (a maggioranza centrodestra) e quindi necessitano solo di una rinfrescata (oltre che del voto della mutata maggioranza di Montecitorio).
Sull’insindacabilità , sia detto, è pressochè impossibile rinvenire casi di “condanna” da parte del Parlamento di propri membri.
Da quando fu fatta la legge attuativa, nel 2003 (ci vollero dieci anni per riformulare il testo eliminato con la cancellazione sotto tangentopoli della vecchia “autorizzazione a procedere”), Umberto Bossi fu salvato dalle offese a una giudice di Cantù che lo aveva processato, Paolo Guzzanti potè scrivere serenamente che Gino Strada “ traveste generosamente la sua attività politica facendo il medico con i soldi raccolti dalla sua Ong”, e un presidente del Senato come Marcello Pera passò indenne da un articolo a sua firma, scritto sul Messaggero, che sotto il titolo “I pm? Mostri a tre teste”, accusava i pm palermitani (mai citati) Gian Carlo Caselli, Vittorio Teresi e Antonio Ingroia di “processare, condannare o far rimuovere dal ministro compiacente” le forze dell’ordine che non si comportavano “come volevano i pm” (il riferimento era ai casi di Bruno Contrada e Mario Mori).
In tutti i casi fu poi la Consulta (successe anche per Gasparri, Iannuzzi e vari altri) a pronunciarsi in un giudizio successivo contro l’immunità votata dal Parlamento e quei procedimenti poterono proseguire nelle sedi proprie.
Nel caso di Silvio Berlusconi, mercoledì la Giunta dovrà esaminare quattro richieste di insindacabilità , alcune anche già votate ma destinate a ricominciare daccapo.
La prima nasce a seguito di una denuncia del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, pm del processo Mediaset, che si sentì diffamato quando l’ex premier, in conferenza stampa, accusò la procura di un “ennesimo gravissimo episodio di incontestabile uso politico della giustizia”.
A suo dire non era stata fatta una rogatoria alle Bahamas per verificare l’effettivo pagamento di David Mills.
Il procuratore di Milano annotò che quelle richieste di rogatoria erano partite per ben tre volte, e per ben tre volte si erano arenate al ministero della Giustizia “dall’inerzia di un ministro del governo Berlusconi” (annotò nella passate legislatura il relatore di minoranza Federico Palomba dell’Idv).
Robledo ha perciò chiesto un risarcimento da mezzo milione.
Nel luglio del 2012, quando la giunta votò sul tema per la prima volta, Berlusconi fu salvato: nove voti contro dieci. In suo favore votarono Pdl e Lega.
Contro Pd e Idv, con l’astensione di Udc, Fli e Radicali.
Situazione simile si verificò sull’altra pratica, quella intentata da Renato Soru.
L’ex presidente della Sardegna querelò Berlusconi per una dichiarazione fatta nel 2009 durante la campagna elettorale per Cappellacci governatore.
Disse che Soru aveva intascato 30 milioni da un affare pubblicitario tra la Regione e la Saatchi and Saatchi (negli anni successivi Soru sarà assolto da questa accusa). Anche qui la giunta salvò Berlusconi con la maggioranza Pdl-Lega.
Resta quindi difficile oggi immaginare quale possa essere il comportamento del Pd “di governo” davanti a questi appuntamenti in giunta.
In teoria dovrebbe votare come nei mesi passati.
Anche perchè sui tempi con cui i provvedimenti arriveranno all’aula si innesterà un altro balletto.
L’aula infatti, a stragrande maggioranza Pd-Sel, rischia di diventare difficilmente gestibile se, come in questi casi prevede il regolamento della Camera, il voto sarà segreto.
Eduardo Di Blasi
(da “Fatto Quotidiano”)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
UN TERZO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SPROVVISTA DI SERVIZI SANITARI CONFORMI… NEL 2011 UN MILIARDO DI PERSONE DEFECAVANO ALL’APERTO
Nel 2015 circa 2,4 miliardi di persone – un terzo della popolazione mondiale – non avra’ accesso a servizi igienici adeguati: lo affermano l’Unicef e l’Oms nel rapporto “Progress on Sanitation and Drinking-Water 2013”.
Il Rapporto mostra che, con l’attuale tasso di progresso, l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio 2015 di dimezzare il numero di persone senza servizi igienici rispetto al 1990 non sara’ raggiunto nella misura dell’8% – vale a dire mezzo miliardo di persone.
Quasi due terzi (il 64%) della popolazione mondiale ha accesso a servizi igienico-sanitari adeguati, con un aumento di quasi 1,9 miliardi di persone dal 1990.
Circa 2,5 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienico-sanitari adeguati.
Di questi, 761 milioni usano servizi igienici condivisi o pubblici e 693 milioni utilizzano servizi igienici che non rispettano i requisiti minimi.
Nel 2011, 1 miliardo di persone defecavano all’aperto. Il 90% delle deiezioni avviene in aree rurali.
Dalla fine del 2011, l’89% della popolazione mondiale usa fonti di acqua potabile migliorate e il 55% dispone di acqua direttamente nella propria abitazione.
Circa 768 milioni di persone sono ancora senza fonti migliorate di acqua potabile, di questi 185 milioni utilizza acque di superficie per le proprie necessita’ giornalieri.
Continuano a esserci grandi disparita’ tra coloro che vivono in aree rurali e coloro che vivono in citta’.
Gli abitanti di citta’ rappresentano i tre quarti di coloro che hanno accesso a scorte di acqua a casa.
Le comunita’ rurali rappresentano l’83% della popolazione globale che non ha accesso a fonti di acqua potabile; il 71% di essi vive senza servizi igienici.
Mentre l’Unicef e l’Oms lo scorso anno hanno annunciato che l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio legato all’acqua potabile era stato raggiunto e superato nel 2010, la sfida per i servizi igienico-sanitari – e di raggiungere tutti coloro che ne hanno bisogno – e’ stata rilanciata con un invito all’azione per accelerare il progresso.
“C’e’ un bisogno urgente di assicurare che tutto sia al posto giusto – impegni politici, fondi, leadership – cosi’ il mondo potra’ accelerare il progresso e raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio legato ai servizi igienico-sanitari”, ha detto Maria Neira, direttore Oms per la Salute Pubblica e l’Ambiente.
“Il mondo puo’ cambiare direzione e trasformare la vita di milioni di persone che non hanno ancora accesso a servizi igienici di base. Sarebbe un immenso successo per la salute, per porre fine alla poverta’, e per il benessere.”
Il Rapporto riprende l’appello all’azione del Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite Jan Eliasson per la comunita’ mondiale per unire l’impegno e mettere fine alle deiezioni all’aperto entro il 2025.
“È un’emergenza non meno sconvolgente di un grande terremoto o di uno tsunami”, ha detto Sanjay Wijesekera, Responsabile mondiale del programma Acqua e Servizi Igienico-sanitari dell’Unicef.
“Ogni giorno centinaia di bambini muoiono; ogni giorno migliaia di genitori piangono i propri figli e le proprie figlie. Noi possiamo e dobbiamo agire di fronte a questa enorme e quotidiana tragedia umana”.
Secondo Unicef e Oms sono possibili progressi piu’ rapidi, anche attraverso alcune raccomandazioni: Nessuno deve defecare all’aperto; Tutti devono avere accesso ad acqua potabile e servizi igienico-sanitari a casa; Tutte le scuole e i centri sanitari devono avere disponibilita’ di acqua potabile e servizi igienici; Acqua e servizi igienico-sanitari devono essere sostenibili; Le diseguaglianze nell’accesso devono essere eliminate.
(da “Redattore Sociale“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
SFIORATO LO SCOGLIMENTO PER INFILTRAZIONI DELLA CAMORRA, IL COMUNE VA AL VOTO ANTICIPATO CON 600 CANDIDATI SU 64.000 ABITANTI…QUATTRO ANNI FA LA CAMORRA UCCISE UN CONSIGLIERE COMUNALE PD E LE LISTE SONO PIENE DI INQUISITI
Spulci le 19 liste schierate alle amministrative di Castellammare di Stabia (Napoli) e trovi
candidati al consiglio comunale in due civiche alleate del Pdl il figlio di Luigi D’Apice, detto ‘Giggino ‘o ministro, personaggio di spicco della criminalità organizzata del quartiere di Ponte Persica, condannato con sentenza definitiva a 4 anni di reclusione per accuse di associazione camorristica, e il fratello di Giovanni Avitabile, ritenuto vicino al clan D’Alessandro, detenuto per gli stessi motivi.
Ce ne sarebbe abbastanza per alzare la guardia.
Ma a differenza della vicina Portici (Napoli), dove la scoperta della presenza in una lista Udc della nipote del boss Luigi Vollaro è seguita l’immediata presa di distanza del candidato sindaco magistrato Nicola Marrone, che ha chiesto e ottenuto il ritiro della ragazza dalla competizione elettorale, qui le ‘parentele ingombranti’ restano in campo.
E contemporaneamente Antonio Pentangelo, il candidato sindaco di Castellammare sostenuto dal Pdl e da altre sei liste, dichiara: “Non voglio i voti della camorra e spero che i miei avversari vogliano sottoscrivere con me questo patto comune”.
Come se il problema non riguardasse la sua coalizione, ma risiedesse altrove.
Benvenuti nella città delle Terme: 64.000 abitanti, circa 600 candidati, la camorra che quattro anni fa arrivò ad uccidere il consigliere comunale del Pd Gino Tommasino e poi si scoprì che uno dei suoi killer era iscritto ai democrat, lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche sfiorato, una profonda crisi industriale in atto e il ticchettio della crisi Fincantieri che mette in ansia quasi 2000 operai tra dipendenti dello stabilimento e dell’indotto.
Si va al voto anticipato per una crisi di palazzo: il sindaco uscente in quota Pdl Luigi Bobbio, primo azzurro alla guida della Stalingrado rossa del Sud, è caduto a metà mandato sotto i colpi dei franchi tiratori e si ricandida senza il simbolo, assegnato a Pentangelo.
Bobbio lancia durissimi comunicati sul rischio che la camorra si sia insinuata nelle liste del centrodestra ‘ufficiale’.
Gli avversari gli ricordano che è indagato due volte, una per la nomina del superconsulente Francesco De Vita, costato centinaia di migliaia di euro tra parcelle e dispendiosi rimborsi spese, l’altra per l’assunzione del suo autista in una società partecipata del Comune.
Scorie di una tormentata stagione amministrativa.
Alle quali si aggiungono veleni vecchi e nuovi sui curriculum dei nomi in campo. E sul loro passato.
Elenco lungo.
Un candidato sindaco indipendente compare nei verbali del pentito Vincenzo Procida, ras di camorra defunto in un incidente stradale, come persona “protetta” dal clan.
E così non dovette sottostare al pizzo.
Cinque consiglieri comunali uscenti e ricandidati sono inquisiti nello scandalo dei rimborsi truccati, incassati per presenze fittizie nelle commissioni consiliari.
Due inquisiti di questa sorta di ‘Gettonopoli’ peraltro compaiono anche nelle dichiarazioni di uno degli assassini di Tommasino, Salvatore Belviso, come intermediari in una vicenda di assegnazione di parcheggi.
Una fu cacciata da una vecchia giunta di centrosinistra per aver partecipato al funerale del boss Michele D’Alessandro.
C’è infine un indagato dell’inchiesta sui rimborsi truccati nel consiglio regionale della Campania, per aver fornito una fattura falsa a nome del suo albergo: è il figlio di un condannato con sentenza passata in giudicato per favoreggiamento personale al boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, un imprenditore stabiese che ebbe un ruolo nella trattativa tra Dc e camorra per favorire la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo, rapito nel 1981 dalle Brigate Rosse.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
UN INCARICO CON UN MILIARDO DI EURO DA GESTIRE PER L’EX SENATORE PD RICCARDO VILLARI, TRASMIGRATO AL PDL DOPO AVER CAMBIATO CINQUE PARTITI
E’ lui l’uomo giusto, con un curriculum perfetto e le capacità per far avanzare Napoli. E’ il mare la nuova frontiera di Riccardo Villari, medico infettivologo e soprattutto democristiano fantuttone che il governo delle larghe intese con ogni probabilità rilancerà alla guida dell’Authority del porto di Napoli.
Sul tavolo del ministro Maurizio Lupi l’attesa nomina e la probabile scelta verso il senatore del Pdl.
Villari, insieme all’ammiraglio Domenico Picone, al direttore di Napoli Servizi Dario Scalella e all’ex sindaco di Castellammare Luigi Bobbio, è in corsa per l’ambita poltrona.
Gara che da mesi tiene col fiato sospeso i concorrenti e che pareva, con l’avvicinarsi delle elezioni e il timore che il Partito democratico le dominasse, escludere figure del centrodestra.
Ma le larghe intese hanno rivoluzionato le aspettative della vigilia e riconosciuto a Villari la pole position.
E’ una poltrona che vale oro: 350 milioni di fondi europei in arrivo a cui si aggiungono ad altri cofinanziamenti da parte dei privati per la trasformazione del porto in un modello scalo aperto al Mediterraneo, un hub commerciale e turistico di prima grandezza.
Circa un miliardo di euro avrà tra le mani il senatore Villari, nel caso — come ormai sembra — che lui sia indicato a guidare la trasformazione dello scalo, oggi in affanno. Il curriculum di Villari d’altronde è a prova di bomba.
Nato democristiano, ha frequentato con successo il centrosinistra, gestendo da par suo i voti della Margherita a Napoli.
Nella scorsa legislatura Villari ha traghettato il suo corpo verso il centrodestra attraverso il metodo della sussunzione.
Fu nominato presidente della commissione di Vigilanza Rai dal Popolo della libertà , nonostante il veto del suo gruppo di appartenenza.
Si rese disponibile al sacrificio e accettò l’incarico con grande senso delle Istituzioni. La lite che ne seguì con il Partito democratico fu presto risolta.
Riccardo fece le valigie e passò verso l’altra sponda.
Da Berlusconi ha ottenuto poi anche l’incarico di sottosegretario ai Beni culturali e infine la ricandidatura al Senato.
Oggi è a palazzo Madama senza ruoli di rilievo, ma pronto al servire il Paese.
Nei corridoi di palazzo Madama giganteggia il suo pensiero: “Questo è un palazzo abitato da anime morte. Io non devo chiedere nulla, sarà la Provvidenza a incaricarsene, se e quando accadrà ”.
Adesso sembra che la Provvidenza se ne sia ricordata e il suo nome è sottoposto alla caritatevole firma del ministro Lupi.
Sarebbe un bottino niente male anche per Luigi Cesaro, alias Giggino a Purpetta, che da presidente della Provincia di Napoli ha avanzato la proposta.
C’è da fare tanto, i soldi ci sono e Villari, come detto, è uomo del fare.
“Ho dato prova della mia concretezza nel periodo di lavoro al ministero”, commentò poche settimane fa.
Adesso è tutto pronto: l’incarico vale un miliardo di euro.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
L’APPELLO DEL FIGLIO DEL MAGISTRATO; “CERCATE LE PERSONE CHE APPAIONO NEL VIDEO”
«Che mio padre anche quel giorno avesse l’agenda rossa con sè e che sia stata trafugata da
qualcuno in via d’Amelio nell’immediatezza della strage e non altrove noi non abbiamo mai avuto alcun dubbio. E certo ora questo filmato potrebbe essere un elemento importantissimo. Se solo gli inquirenti di allora avessero lavorato come stanno facendo quelli della Procura guidata da Sergio Lari…»
È emozionato e turbato Manfredi Borsellino alle otto e mezza del mattino quando sulla prima pagina di Repubblica vede per la prima volta quel fotogramma che immortala la presenza di un’agenda rossa tra le macerie fumanti della strage in via d’Amelio.
Parla a nome suo ma anche delle sue sorelle Lucia e Fiammetta.
I loro telefoni non smettono un attimo di suonare. Tutti, magistrati, investigatori, giornalisti, amici, vogliono sapere da loro se quella è l’agenda di Paolo Borsellino che tutti cercano invano da vent’anni.
Manfredi, voi figli siete in grado di riconoscere quell’agenda?
«Così, da un fotogramma un po’ sgranato pubblicato sul giornale non siamo in grado di dire che quella è proprio l’agenda di mio padre. Ma certamente non lo escludiamo. È indubbio che questo è un elemento importantissimo nelle indagini. Ho parlato con il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e, anche a nome delle mie sorelle, gli ho ribadito tutta la piena e incondizionata fiducia che abbiamo nel lavoro dei magistrati dell’attuale Procura di Caltanissetta. Siamo certi che, come hanno dimostrato negli ultimi tempi, non tralasceranno alcun elemento utile all’individuazione di chi, in via d’Amelio (e questo ormai è un dato acquisito processualmente) ha fatto sparire l’agenda di mio padre».
Il procuratore Lari ha detto che è assurdo che questo filmato, agli atti del processo e certamente visionato dalla Scientifica, non sia stato segnalato come rilevante. Voi cosa dite?
Ribadisco. Che abbiamo piena fiducia in questa Procura. Se vent’anni fa avessero lavorato allo stesso modo forse non staremmo qui a parlare di depistaggi».
Ma quell’agenda di suo padre com’era? Aveva dei particolari segnali distintivi, voi sareste in grado di riconoscerla?
«Se la vedessimo da vicino, nitidamente, sì. Era un’agenda rossa, di pelle, di un certo spessore, che aveva sulla copertina in basso a destra inciso un piccolo logo dell’Arma dei carabinieri, nulla sul retro. Era un’agenda semplice».
È possibile che l’agenda di suo padre sia finita intatta sotto la macchina? Che non fosse dentro quella borsa rimasta in macchina e poi passata di mano in mano?
«Assolutamente sì, come abbiamo detto tante volte, mio padre non teneva in modo particolare alla sua borsa da lavoro, ma all’agenda, quella rossa, sì. E spesso la portava in mano, fuori dalla borsa. Quella domenica 19 luglio, certamente nella borsa mio padre aveva un’altra agenda, di cuoio marrone, quella è stata ritrovata, c’erano dentro appunti, ma niente di rilevante e quella ci è stata restituita. Ma quella rossa, dove lui teneva i suoi appunti riservati, no. Niente di strano, dunque, che anche nel momento dell’esplosione potesse averla in mano o che l’avesse lasciata per qualche minuto sul cruscotto. Perchè in realtà quella domenica 19 luglio mio padre era sceso dalla macchina solo per citofonare a mia nonna, non per salire su da lei. Quindi non pensava di dover restare fuori dall’auto più di qualche minuto. C’era stato un improvviso cambio di programma quella domenica».
E cioè?
«Il cardiologo che avrebbe dovuto visitare mia nonna, il professore Piero Di Pasquale, la notte precedente aveva subito l’incendio del suo camper e quindi non poteva allontanarsi da casa e allora mio padre decise di andare a prendere mia nonna e di portarla lui a casa del cardiologo».
Nel video girato dai vigili del fuoco si vede quest’agenda ma si vede anche un uomo che, per due volte, con il piede sposta un cartone che la copre parzialmente. Anche questo è un elemento che conferma i vostri sospetti.
«Ora parlo anche da poliziotto. È chiaro che ogni elemento, ogni piccola tessera del mosaico può risultare decisiva. Forse, nella fattispecie, il gesto compiuto da questa persona può essere la cosa più importante e magari la comparazione di questi fotogrammi con altri o con gli altri video in possesso dei magistrati può portare altrove».
Un passo avanti verso quella ricerca della verità che vostra madre, da poco scomparsa, non si è stancata di chiedere fino all’ultimo.
«Ce lo auguriamo. La richiesta di mia madre è quella di noi figli».
Alessandra Ziniti
(da “La Repubblica“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
L’AGENDA DI PAOLO: CHI NON L’HA SEGNALATA A CHI DI DOVERE, CHI HA OMESSO, CHI HA TACIUTO E DEPISTATO
Se questa è l’agenda rossa di Paolo Borsellino a mistero si aggiunge mistero, un altro: chi l’ha raccolta da terra, chi l’ha rimossa da quel parasole per auto dove era celata poco prima che un piede la spostasse, chi l’ha presa? Chi l’ha rubata?
La macchia rossa – quella che sembra proprio un’agenda – compare per la prima volta al minuto 5.37 secondi in un video di 2 ore 28 minuti e 19 secondi girato dai vigili del fuoco di Palermo nei momenti successivi all’esplosione (ma non sappiamo quando esattamente hanno cominciato a riprendere e quando esattamente hanno finito), filmato che da 21 anni – avete capito bene, ventuno anni – è agli atti dell’inchiesta e poi del processo per l’uccisione del procuratore aggiunto della repubblica di Palermo Paolo Borsellino.
Da quasi un quarto di secolo quella macchia rossa è lì, ben in vista, riconoscibile anche o occhio nudo quanto meno come un oggetto che potrebbe tanto somigliare a quel diario che il magistrato portava sempre con sè e dove annotava tutti i suoi pensieri dal giorno della morte del suo amico Giovanni Falcone.
È lì, fra la cenere e un cadavere (quello della povera Emanuela Loi) sotto il parafango di un’auto, una Renault, un’utilitaria e non una delle blindate dei poliziotti di scorta al magistrato. Qualcuno, ventuno anni fa, aveva mai segnalato quella macchia rossa ai pubblici ministeri che stavano indagando sulla strage?
Qualcuno, ventuno anni fa, aveva mai avuto il dubbio che quella macchia rossa avrebbe potuto essere l’agenda del procuratore assassinato?
Qualcuno, ventuno anni fa, aveva menzionato in una relazione di servizio – in un verbale di sopralluogo, in una lettera di trasmissione del video girato dai vigili del fuoco – quelle immagini della macchia rossa?
Dallo «sconcerto» manifestato dai magistrati di Caltanissetta la risposta sembra ovvia: no, nessuno quanto pare si preoccupò di comunicare ai titolari dell’inchiesta cosa si vedeva al minuto 5.37 di quel lunghissimo filmato del dopo strage.
Perchè? In qualche modo, l’abbiamo già detto.
O grande è stata l’imperizia degli investigatori delegati alla visione del filmato o – e certo i precedenti in questa direzione non mancano – qualcuno ha fatto finta di non vedere.
Se così stanno le cose, come possiamo ogni volta mostrare meraviglia che si sia scoperto poco e niente sui massacri di Capaci, di via D’Amelio e sui tanti, troppi delitti eccellenti siciliani?
Se così stanno le cose, i procuratori di Caltanissetta che negli ultimi anni hanno indagato con intelligenza sulle indagini taroccate e deviate nel 1992 (fino ad arrivare a chiedere la revisione del processo Borsellino per sette imputati) dovranno ricominciare la loro inchiesta fin dai particolari più insignificanti.
E da quelle più significanti.
Come per esempio questo video dei vigili del fuoco dove in meno di sessanta secondi – dal minuto 5,37 al minuto 5,55 – si nota di spalle un uomo in maglietta azzurra, pantaloni chiari e mocassini neri davanti a quella macchia rossa
Le indagini tecniche annunciate dal procuratore capo della repubblica Sergio Lari accerteranno fra qualche giorno se la macchia ripresa dai vigili del fuoco sia davvero la famosa agenda di Paolo Borsellino, però bisogna precisare che intanto la caccia ai «ladri» di quel diario non si è fermata mai.
Neanche in queste ultime ore, soprattutto in queste ultime ore dove sembra che si sia accelerata la ricerca a personaggi sospetti – uomini dei servizi segreti, secondo i pubblici ministeri – sospettati di avere trafugato l’agenda il pomeriggio del 19 luglio 1992.
L’affaire, come vediamo, è apertissimo.
Di sicuro, le investigazioni si stanno concentrando sulle manovre degli apparati di sicurezza di stanza in Sicilia ventuno anni fa.
E che non riguardano solo la sparizione dell’agenda. È praticamente tutta l’indagine sull’uccisione del procuratore, fin dall’inizio, che scava negli ambienti dell’intelligence.
È già il primo depistaggio alle indagini, il più grande, che viene da quel mondo.
Con quell’imbeccata che un (ancora) anonimo 007 offrì alla squadra mobile di Palermo annunciando «svolte clamorose» sulla strage di via Mariano D’Amelio.
Come? Tirando fuori per la prima volta il nome di Vincenzo Scarantino, uno sbandato di borgata fatto passare per un grande testimone di mafia. Così è entrato in scena il falso pentito della Guadagna, quello che – poi manovrato da poliziotti – si è autoaccusato di un attentato che non aveva mai fatto trascinando nel gorgo delle indagini personaggi estranei al massacro.
Lo Scarantino ha confermato, ha smentito, ha riconfermato e ha rismentito la sua versione anno dopo anno.
Sotto la regia di qualcuno in divisa che l’ha pilotato per allontanare i magistrati dalla verità .
Un pupo Vincenzo Scarantino. In mano a pupari.
Gli stessi che probabilmente qualche giorno prima avevano fatto sparire l’agenda rossa.
Attilio Bolzoni
(da “La Repubblica“)
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