I QUATTRO “PROCESSI” DI BERLUSCONI: ORA AL PD TOCCA VOTARE SI’ O NO
DEPOSITATE LE RICHIESTE DI AUTORIZZAZIONE: DECISIVO IL PD, IN AULA SARà€ SCRUTINIO SEGRETO
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Il primo comma dell’articolo 68 della Costituzione, quello sulla “insindacabilità ” dei parlamentari, è la prima grana giudiziario-parlamentare di Silvio Berlusconi nella XVII legislatura, e anche la prima del Pd, che si vedrà costretto a scegliere tra l’alleato di governo e le convinzioni espresse (e anche votate) fino a pochi mesi fa.
Mercoledì, infatti, la Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio sarà chiamata all’esame di ben quattro provvedimenti di insindacabilità dell’ex deputato, oggi senatore.
Relatore d’eccezione il neopresidente della Giunta, Ignazio La Russa, autonominatosi all’esposizione in quanto i provvedimenti sono già stati esaminati dalla precedente giunta (a maggioranza centrodestra) e quindi necessitano solo di una rinfrescata (oltre che del voto della mutata maggioranza di Montecitorio).
Sull’insindacabilità , sia detto, è pressochè impossibile rinvenire casi di “condanna” da parte del Parlamento di propri membri.
Da quando fu fatta la legge attuativa, nel 2003 (ci vollero dieci anni per riformulare il testo eliminato con la cancellazione sotto tangentopoli della vecchia “autorizzazione a procedere”), Umberto Bossi fu salvato dalle offese a una giudice di Cantù che lo aveva processato, Paolo Guzzanti potè scrivere serenamente che Gino Strada “ traveste generosamente la sua attività politica facendo il medico con i soldi raccolti dalla sua Ong”, e un presidente del Senato come Marcello Pera passò indenne da un articolo a sua firma, scritto sul Messaggero, che sotto il titolo “I pm? Mostri a tre teste”, accusava i pm palermitani (mai citati) Gian Carlo Caselli, Vittorio Teresi e Antonio Ingroia di “processare, condannare o far rimuovere dal ministro compiacente” le forze dell’ordine che non si comportavano “come volevano i pm” (il riferimento era ai casi di Bruno Contrada e Mario Mori).
In tutti i casi fu poi la Consulta (successe anche per Gasparri, Iannuzzi e vari altri) a pronunciarsi in un giudizio successivo contro l’immunità votata dal Parlamento e quei procedimenti poterono proseguire nelle sedi proprie.
Nel caso di Silvio Berlusconi, mercoledì la Giunta dovrà esaminare quattro richieste di insindacabilità , alcune anche già votate ma destinate a ricominciare daccapo.
La prima nasce a seguito di una denuncia del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, pm del processo Mediaset, che si sentì diffamato quando l’ex premier, in conferenza stampa, accusò la procura di un “ennesimo gravissimo episodio di incontestabile uso politico della giustizia”.
A suo dire non era stata fatta una rogatoria alle Bahamas per verificare l’effettivo pagamento di David Mills.
Il procuratore di Milano annotò che quelle richieste di rogatoria erano partite per ben tre volte, e per ben tre volte si erano arenate al ministero della Giustizia “dall’inerzia di un ministro del governo Berlusconi” (annotò nella passate legislatura il relatore di minoranza Federico Palomba dell’Idv).
Robledo ha perciò chiesto un risarcimento da mezzo milione.
Nel luglio del 2012, quando la giunta votò sul tema per la prima volta, Berlusconi fu salvato: nove voti contro dieci. In suo favore votarono Pdl e Lega.
Contro Pd e Idv, con l’astensione di Udc, Fli e Radicali.
Situazione simile si verificò sull’altra pratica, quella intentata da Renato Soru.
L’ex presidente della Sardegna querelò Berlusconi per una dichiarazione fatta nel 2009 durante la campagna elettorale per Cappellacci governatore.
Disse che Soru aveva intascato 30 milioni da un affare pubblicitario tra la Regione e la Saatchi and Saatchi (negli anni successivi Soru sarà assolto da questa accusa). Anche qui la giunta salvò Berlusconi con la maggioranza Pdl-Lega.
Resta quindi difficile oggi immaginare quale possa essere il comportamento del Pd “di governo” davanti a questi appuntamenti in giunta.
In teoria dovrebbe votare come nei mesi passati.
Anche perchè sui tempi con cui i provvedimenti arriveranno all’aula si innesterà un altro balletto.
L’aula infatti, a stragrande maggioranza Pd-Sel, rischia di diventare difficilmente gestibile se, come in questi casi prevede il regolamento della Camera, il voto sarà segreto.
Eduardo Di Blasi
(da “Fatto Quotidiano”)
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