Destra di Popolo.net

ALLA RIUNIONE DEI SENATORI PDL PRESENTI SOLO 53 SU 91: 27 HANNO VOTATO NO ALLA FIDUCIA, BEN 24 SI’, 2 SONO USCITI

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

TRA I 38 ASSENTI VI SONO I 23 DISSIDENTI E 15 IN ATTESA DEGLI EVENTI

Nel corso della riunione con Silvio Berlusconi, 27 senatori Pdl hanno votato per sfiduciare il governo Letta, 24 per votare a favore del governo e 2 per uscire dall’Aula al momento del voto.
E’ quanto si apprende da fonti interne al Pdl.
La linea che e’ prevalsa e’ quella di votare la sfiducia al governo Letta, ma non passa inosservato che su 91 senatori totali fossero presenti solo in 53, di cui solo 27 si sono espressi per la linea dura, in pratica meno di uno su tre.
In sintonia con i sondaggi che danno solo un elettore su tre del Pdl su posizioni ultras.
Un elemento che fa riflettere sui futuri sviluppi.

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PDL, ALTRA RETROMARCIA, RIPREVALGONO I FALCHI: NO A LETTA

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

MENTRE I DISSIDENTI ANNUNCIANO LA NASCITA DI UN NUOVO GRUPPO DI 35 SENATORI, DALLA RIUNIONE DEI FEDELISSIMI DEL CAVALIERE EMERGE LA LINEA DEL NO A COMPROMESSI… E SILVIO SI ADEGUA

«Vediamo che succede… Sentiamo il discorso di Letta e poi decidiamo» aveva già  detto nella mattinata il Cavaliere, lasciando intuire la possibilità  di un passo indietro rispetto al muro contro muro degli ultimi giorni.
Passo indietro che, però, non gli sarebbe bastato a scongiurare la spaccatura del suo partito, visto che i dissidenti hanno espresso l’ intenzione di dar vita comunque a un gruppo autonomo.
«Prendiamo una decisione comune per non deludere il nostro popolo» aveva fatto sapere poco prima Silvio Berlusconi, poi la notizia che il gruppo del Pdl al Senato, riunito con lo stesso Cavaliere, ha messo ai voti la decisione se dire sì o no all’esecutivo.
E dopo una convulsa riunione con Silvio Berlusconi, il gruppo del Pdl al Senato ha deciso che voterà  la sfiducia al governo Letta.
Hanno riprevalso i falchi, contrari a ogni passo indietro.
Nel frattempo Formigoni dichiarava a Mentana su la La7:   “ci raduneremo nel pomeriggio, probabilmente decideremo comunque di dare vita a gruppi parlamentari autonomi. Ci sono i numeri per costituire un gruppo autonomo tra 25 del Pdl, 10 di Gal e probabilmente qualcun altro che potrebbe aggiungersi”.
“I destini sono separati. Fine”. Così la deputata del Pdl Maria Stella Gelmini commenta la risoluzione in favore della fiducia al governo firmata da 23 senatori Pdl. “È già  pronto il nuovo gruppo. Ma di che parliamo?

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LA DISSIDENTE GRILLINA ANNUNCIA IL VOTO PER LETTA E VIENE AGGREDITA: LA DEMOCRAZIA A CINQUESTELLE

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

PAOLA DE PIN, EX SENATRICE GRILLINA, INSULTATA DAI SUOI EX COLLEGHI: GUAI A NON FARE DA RUOTA DI SCORTA A SILVIO

Paola De Pin, ex senatrice del Movimento 5 Stelle, passata al Gruppo misto, annuncia la fiducia al governo Letta (“Mio malgrado”, dice in Aula) e al Senato scoppia la bagarre.
Mentre la senatrice parla, tremando e con la voce a tratti incerta, gli ex colleghi M5S le urlano “venduta, venduta” e si lasciano andare a fragorosi “buuu”.
Quando De Pin finisce di parlare, le si fanno attorno i senatori del Pd per sostenerla. Molti le stringono la mano.
Le si avvicina anche il capogruppo Luigi Zanda.
La tensione sale a tal punto che un senatore M5S si avvicina ai banchi dove siede De Pin e comincia puntarle l’indice contro gesticolando e urlandole qualcosa.
I senatori Pd cercano di fermarlo e lo fanno allontanare.
Esplode la bagarre in aula tanto che alcuni senatori chiedono al presidente Pietro Grasso di intervenire perchè il gesto “è grave”.
Grasso, che stava ascoltando gli interventi durante il dibattito sulle comunicazioni di Letta, replica di non aver capito quello che stava accadendo e chiede ai questori di fare una relazione per valutare un suo eventuale intervento.
Dopo quello che è accaduto de Pin appare quasi in lacrime

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BERLUSCONI PERDE LA FACCIA: IL PDL VOTERA’ A FAVORE DEL GOVERNO

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

NON AVENDO PIU’ IL CONTROLLO DEL PARTITO, FINISCE PER ACCODARSI AD ALFANO

“Prendiamo una decisione comune per non tradire il nostro popolo”.
Così Silvio Berlusconi si sarebbe rivolto ai senatori del Pdl riuniti per decidere in merito alla fiducia al governo Letta.
Poco prima era stato presentato un documento per sostenere il governo da parte di 23 senatori di centrodestra.
Le firme – a quanto si apprende – sono quelle di senatori del Pdl e del gruppo Gal.
Non è escluso – sempre secondo quanto si apprende – che potrebbero aggiungersi altri senatori.
Questi i cognomi: Naccarato, Bianconi, Compagna, Bilardi, D’Ascola, Aielo, Augello, Caridi, Chiavaroli, Colucci, Formigoni, Gentile, Giovanardi, Gualdani, Mancuso, Marinello, Pagano, Sacconi, Scoma, Torrisi, Viceconte, L.Rossi, Quagliariello.
Le ultime notizie parlano di 27 senatori che avrebbero firmato, sconfessando la linea ufficiale del Pdl.
“Siamo pronti già  nel pomeriggio a dar vita ad un nuovo gruppo, probabilmente chiamato ‘i Popolari’. Lo ha detto il senatore Roberto Formigoni, fra i favorevoli del Pdl al governo Letta, parlando con i giornalisti a palazzo Madama.
A questo punto Berlusconi pare intenzionato a fare retromarcia, ma la sua immagine sarebbe distrutta.

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IL DISCORSO DI LETTA AL SENATO: “ITALIA CORRE UN RISCHIO FATALE, PRIORITA’ A LAVORO E CRESCITA”

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

BERLUSCONI: “FIDUCIA? PRIMA ASCOLTO, POI DECIDO”

«L’Italia corre un rischio irrimediabile e fatale. Sventarlo dipende da noi e dalle scelte che assumeremo in aula, dipende da un si o da un no».
Ha esordito così il presidente del Consiglio Enrico Letta, indirizzando all’aula del Senato le comunicazioni che si concluderanno con la richiesta del voto di fiducia.
Il premier parla accanto al ministro per Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. Il vicepremier Angelino Alfano è arrivato a discorso iniziato.
In ritardo anche Silvio Berlusconi, entrato in aula a mezz’ora circa dall’inizio dell’intervento del premier. Ai cronisti che gli chiedevano se voterà  la fiducia all’esecutivo, il Cavaliere ha detto: «Ascoltiamo Letta e poi decidiamo».
Assenti i ministri Lupi e De Girolamo. Poco prima dell’inizio della seduta, Mario Monti si è avvicinato a Letta per un breve saluto.
Tra i ministri, scambi di sorrisi e pacche sulle spalle.
«SPALLE LARGHE»
«Gli italiani ci urlano che non ne possono più di “sangue e arena”, di politici che si scannano e poi non cambia niente», ha detto il premier, chiarendo da principio lo spirito che anima la sua «comunicazione»: «Solo chi non ha le spalle larghe finisce ostaggio della paura del dialogo».
La linea è chiara: «Il governo che guido – ha detto Letta – è nato in Parlamento e se deve morire lo deve fare qui, in Parlamento, alla luce del sole».
SEPARARE QUESTIONI GIUDIZIARIE
Netta anche la volontà  di prendere le distanze dalle vicende personali di Berlusconi, la cui decadenza da senatore è vicina dopo la condanna definitiva per frode fiscale, evento che ha segnato il precipitare della situazione fino alla decisione dell’ex premier di rompere. separare le sorti del governo dalle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi.
«Si deve tracciare la separazione tra le questione giudiziarie di Berlusconi e le attività  dell’Esecutivo, i due piani non possono essere sovrapposti, in uno Stato democratico le sentenze si rispettano e si applicano, senza dimenticare il diritto intangibile ad una difesa efficace senza trattamenti ad personam o contro personam».
Niente «trattamenti nè ad ad nè contram personam», ha detto il premier. Che ha indicato la linea: «Questo governo può continuare a vivere solo se è convincente nel suo programma, con un nuovo patto per il futuro, con la prospettiva focalizzata sui problemi veri delle persone». «Tutto il resto, come le minacce, genera solo caos», ha aggiunto.
RISPETTEREMO IMPEGNI CON L’EUROPA
«Ce la possiamo fare a portare avanti le riforme, l’ho detto a tutti coloro che ho incontrato, abbiamo alle spalle un incubo, un periodo di recessione – ha poi aggiunto -. Rispetteremo gli impegni con l’Europa per il 2014, il peso del debito deve ridursi e si ridurrà  entro il 3%».
«Con la presidenza italiana del semestre europeo il 2014 è un anno decisivo, non possiamo permetterci di far tacere la voce dell’Italia, le parole crescita e lavoro saranno al centro del nostro semestre», ha detto Letta. «Dovremmo fare di quella legislatura la legislatura della crescita» ha aggiunto Letta, certo che «la battaglia per l’Europa si gioca nel 2014».
RISCHIO INGOVERNABILITà€
E caos verrebbe dall’apertura di una crisi, dall’ingovernabilità , da elezioni anticipate, dal rinvio di riforme ineludibili: uno scenario che tra l’altro significherebbe «sedere sul banco degli imputati in Europa, e rinunciare alla riforma della politica e delle istituzioni».
LA FIDUCIA
La decisione di arrivare al voto di fiducia è arrivata dopo la convulsa giornata di martedì, culminata con la rottura da parte di Angelino Alfano dalla linea dura del suo leader Silvio Berlusconi. L’intervento alle Camere a sostegno dell’esecutivo di larghe intese si concluderà  dunque con la richiesta di un voto di fiducia: prima a Palazzo Madama, poi (alle 16), a Montecitorio.
IL DISCORSO
Un discorso deciso, nel quale Letta ha ricordato le azioni dei primi cinque mesi di governo e chiesto tempi sufficientemente lunghi per affrontare i temi della crisi economica e sociale . «Siamo stati tutt’altro che il governo del rinvio, chi parla del governo del rinvio mente », ha detto.
SOLLIEVO FISCALE –
Poi via con le dichiarazioni programmatiche: «Il nostro obiettivo è l’aumento di un punto del Pil nel 2014».
Cultura ed educazione «al centro della ripartenza». E tra gli obiettivi prioritari: «abbassare le tasse a vantaggio dei cittadini onesti». «A chi fa polemiche – ha detto il premier – ricordo che con il nostro governo gli italiani hanno pagato meno tasse per oltre 3 miliardi di euro, sono fatti non rinvii, con la legge di stabilità  faremo una riduzione del carico fiscale sul lavoro.Dunque più soldi in busta paga ai dipendenti e piu competitività  per imprese e e la riattivazione della domanda interna. Più incentivi ad assunzioni a tempo indeterminato, sgravi per le start up».
E ancora: «Con un esecutivo debole si rallenterebbe o addirittura si bloccherebbe – prosegue Letta – il pagamento alle imprese che fino ad ora è stato accelerato di settimana in settimana. Fino ad ora sono stati versati 12 miliardi di euro».
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Un passaggio Letta lo ha dedicato anche al capitolo giustizia, che attende una riforma: «il nostro lavoro – ha spiegato – si baserà  sulle importanti indicazioni contenute nella relazione del gruppo di lavoro, nominato dal presidente della Repubblica».
E ha assicurato che lavorerà  a «importanti misure per affrontare la questione carceraria».
L’INTESA COL CAPO DELLO STATO
Forte dell’intesa con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – che vuole un governo fino a tutto il 2014 – e dell’appoggio di quei parlamentari del Pdl che hanno deciso di non seguire più Berlusconi, Letta ha chiesto «Coraggio e fiducia per tutto ciò che si è fatto e si è impostato in questi pochi mesi».
«Una fiducia non contro qualcuno ma per l’Italia, per tutti coloro che aspettano dalla politica comportamenti, parole in base ai quali orientare le proprie scelte». Dopo la manifestazione di voto , il premier nel pomeriggio si rivolgerà  alla Camera.
I deputati e senatori che voteranno la fiducia al governo Letta sono circa 40 «basta vedere le loro dichiarazioni pubbliche», ha confermato Carlo Giovanardi entrando in Senato mercoledì mattina.
A Montecitorio il Pd, grazie al premio di maggioranza, è comunque autosufficiente. Berlusconi e i parlamentari che gli resteranno fedeli, i cosiddetti “falchi”, salvo colpi di scena dell’ultima ora, erano intenzionati fino a mercoledì mattina a votare contro la fiducia al governo, mentre i cinque ministri Pdl le cui dimissioni sono state respinte da Letta, saranno a fianco del premier.

(da “il Corriere della Sera”)

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SPARTACUS ALFANO E LA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

I MINISTRI NON SEGUONO B. E SI PORTANO DIETRO UN PEZZO DI PARTITO. OGGI IL CAPO SARà€ IN AULA: “ASSISTERà’ ALLA MIA FINE O A QUELLA DI ANGELINO”

Era l’ultimo pranzo, e forse non lo sapevano.
Angelino Alfano aveva un foglietto con numeri e cognomi, oltre trenta senatori per un gruppo autonomo. Silvio Berlusconi non aveva più un partito, non più l’azienda versione politica.
Il dissenso che non ha voluto ascoltare in assemblea con i parlamentari, il Cavaliere l’ha visto in faccia.
E oggi farà  lampeggiare il tabellone di palazzo Madama: da una parte i reduci berlusconiani contro la diaspora di Angelino che darà  la fiducia a Letta.
Oggi B. sarà  in aula a palazzo Madama: “Vedremo se assisterò alla mia fine o a quella di Angelino e di Enrico. Il Pdl dirà  no al governo”.
Il segretario caccia il quid per cancellare decine di umiliazioni: “Presidente, noi votiamo per Letta. Ora vado da Enrico, al massimo potremmo fare un rimpasto se mi garantisci la guida unica di Forza Italia. Non torniamo indietro, siamo tanti. Tocca a te”.
Berlusconi avverte, per la prima volta in vent’anni, l’impotenza di un 77enne confuso dai vari Niccolò Ghedini, Denis Verdini e Daniela Santanchè.
Obbliga l’ex pitonessa, ora in tenuta maoista da Jiang Qing, a un sacrificio mediatico: “Offro la mia testa ad Alfano”.
L’antipatia reciproca, odio puro, è talmente devastante che la testa non basta. Angelino vuole il corpo, il futuro di Forza Italia che, assieme a ministri Pdl non più dimissionari (Letta ha cestinato la farsa), disegna un cartello centrista, europeo, moderato.
Una democrazia cristiana che i sondaggi, seppur prematuri, danno oltre il 10 per cento.
Il fallimento di Berlusconi, la decapitazione plastica di un despota, va in scena a palazzo Chigi: Alfano incontra Enrico Letta accompagnato da Fabrizio Cicchitto; seguono Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e più tardi Nunzia De Girolamo.
Al Cavaliere resta una carta ingiallita, vecchia per metodo e anagrafe: spedisce Gianni Letta dal nipote, per far balenare un clamoroso (e comunque dannoso) ripensamento. Certo, pone condizioni, vuole la trattativa, agogna la salvezza giudiziaria al Senato. Letta respinge qualsiasi proposta: il gioco è concordato con Alfano che avvia la campagna acquisti.
La rete di Angelino trascina su pesci piccoli e grandicelli. E anche Carlo Giovanardi, che annuncia: “Vi assicuro che 40 senatori Pdl sono con Enrico Letta”.
Ma subisce una separazione atomica: il senatore Luigi Compagna, il socio del movimento Popolari Italiani Solidali, giura fedeltà  al Cavaliere.
La scissione è un’emorragia.
Anche Raffaele Fitto, che capeggia una decina di senatori pugliesi, tentenna, abbozza, calcola la rottura con il Cavaliere. I ricordi lo frenano: la punizione inflitta da B. per le primarie, i litigi proprio con Alfano.
Il Cavaliere vuole spaventare Alfano, fa sapere che la figlia Marina è pronta a conquistare Forza Italia con un’operazione pubblica di acquisto come se fosse in Borsa, come se fosse un affare.
Angelino s’è spinto oltre, non ritira se stesso. E cerca di convincere il titubante Renato Schifani. Mentre Roberto Formigoni gli salta in braccia: “Sono con Angelino”.
Il senatore decadente di Arcore non controlla la rabbia: “Alfano va a sbattere, non sono neanche una decina. Nessuno sopravvive a me. à‰ un ingrato. Voglio vedere i traditori”.
Il Cavaliere vuole un’uscita d’emergenza, aspetta Angelino, convoca i capigruppo Brunetta e Schifani, viene aizzato da Ghedini. Alfano diserta.
B. ha chiamato pure i coordinatori regionali per valutare l’effetto scissione, ascolta con gli occhi lividi Francesco Nitto Palma, Mario Mantovani e Denis Verdini.
Nunzia De Girolamo è l’unica ambasciatrice dei ministri a palazzo Grazioli.
Il Cavaliere è furioso, un po’ pentito, non distingue più gli amici e i nemici. Quando Gaetano Miccichè, Daniela Santanchè, Maurizio Abrignani e Daniele Capezzone prendono le scale di palazzo Grazioli con disinvoltura, come se fossero graditi e consueti ospiti, il portiere dice che non possono entrare.
La Santanchè s’attacca al telefono, e manda qualcuno a quel paese. Niente. Vietato l’accesso.
Berlusconi non risparmia neanche l’ex pitonessa: “Ci siamo infilati in un pasticcio, la colpa è anche sua”. Il Cavaliere è distrutto, non vuole cenare e, terminata la riunione serale, non vuole vedere e sentire nessuno.
Scrive un piccolo discorso, vorrebbe intervenire in Senato. Potrebbe non rimetterci più piede.
Venerdì la Giunta per le Elezioni avvierà  la decadenza.
Il duello di Cicchitto e Sallusti a Ballarò non archivia un’epoca: di più, tumula il Cavaliere.

Carlo Tecce

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IL RUGGITO DEI DISSIDENTI: “NON SIAMO TRADITORI”

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

“SARA’ DURISSIMA, MA PRIMA VIENE IL PAESE”…L’ULTIMO CONSULTO AL RISTORANTE, QUAGLIARELLO: “PENSO ALLE MIE FIGLIE”

«Oh bedda matri!» sbotta Domenico Scilipoti quando gli chiedono, alla fine di un suo contortissimo elogio della «responsabilità  », se anche lui dirà  addio a Berlusconi, lui che una volta lo salvò tradendo Di Pietro.
«A mmia…» ricomincia, prima di tornare all’italiano, «a me stanno a cuore gli interessi del Paese, che non si può permettere una crisi al buio: lo dicevo nel 2010 e lo dico nel 2013».
Dunque voterà  la fiducia al governo? «Deciderò pensando a quel benedetto articolo 67 della Costituzione. Ha presente? Ogni membro del Parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato… ».
Sono le quattro del pomeriggio, e nel salone Garibaldi di Palazzo Madama il senatore che ha inventato lo “scilipotismo”, il pronto soccorso al vincitore in bilico, sorride all’idea di essere corteggiato da chi ieri lo sbeffeggiava, anche se al momento qui di corteggiatori non se ne vedono.
E non si vedono neanche gli scissionisti, quelli che si preparano a essere bollati come traditori dalle tv e dai giornali del tradito.
«A quest’ora stanno facendo i conti e tirando le somme» confida il portavoce di uno dei ministri dimissionati, spiegandomi che la spaccatura del Pdl ormai non è più solo una tentazione.
Già , ma dove sono? Qui non se ne vede uno solo. Dall’aula esce Sacconi, ma corre via sussurrando “no comment”.
Giù nel cortile, davanti al bar dei dipendenti, il senatore siciliano Pippo Pagano sta telefonando: fisico asciutto, baffetti curatissimi, lui è uno dei tre catanesi, con Castiglione e Torrisi, che si sono rifiutati di firmare la lettera di dimissioni da parlamentare.
Dove va, senatore? «È tutto molto triste» risponde lui, posando la borsa di cuoio gonfia di carte. Tristezza per la rottura di Berlusconi che non vuol rassegnarsi alla decadenza da senatore? «Le ragioni di Berlusconi si possono capire: ha ragione da vendere. Ma poi ci sono anche le ragioni del Paese, no? Adesso devo andare, si riunisce la commissione e poi abbiamo una riunione dopo l’altra…». Ma certo, si capisce.
Al Senato, dove Letta sta per sfidare Berlusconi a mettere le carte in tavola, l’atmosfera è quasi surreale.
In aula manca il numero legale e i pochi presenti sciamano lentamente verso la buvette, domandando notizie ai giornalisti: rompono o non rompono?
La risposta non ce l’ha nessuno. Finchè, alle 16,22, l’Ansa batte una dichiarazione di Carlo Giovanardi che suona come l’annuncio ufficiale della separazione dei gruppi: «Voteremo la fiducia. Abbiamo i numeri, siamo più di quaranta…».
In un attimo il salone del Senato si svuota:i senatori tornano negli loro uffici, i cronisti corrono ai computer. Giovanardi però non è qui. E non è neanche a Roma.
Al cellulare però risponde subito, e conferma tutto, con quel suo vocione tondo da democristiano modenese. Allora è vero che ve ne andate? «Un momento: io non vado da nessuna parte. Sono iscritto al Pdl, sono stato eletto col Pdl e sono membro del gruppo del Pdl. Sono quelli che vogliono fare Forza Italia, casomai, che escono dal Pdl. Noi voteremo la fiducia non perchè non vogliamo difendere Berlusconi dalla grande mascalzonata che gli stanno facendo al Senato. Su quello lui ha e avrà  tutta la nostra solidarietà , è fuori discussione. Ma questa storia delle dimissioni, prima dei parlamentari e poi dei ministri…».
È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? «Diciamo che è una mossa che non ha avuto grande consenso, nel Paese e neanche tra i ministri. Ma scusi, guardate chi l’ha decisa. Capezzone era un radicale. La Santanchè era la candidata della Destra e diceva peste e corna di Berlusconi. Bondi ha un passato da comunista. Io invece che sono sempre stato democristiano ragiono in un altro modo: fa bene Alfano a dire che dobbiamo votare tutti la fiducia al governo. E se qualcuno non ci sta, deve spiegare lui il motivo, non so se è chiaro».
Quello che è chiaro è che ormai la frattura c’è. Ma gli altri, dove sono gli altri?
Una pattuglia è stata avvistata ai tavoli del ristorante “Fortunato” all’ora di pranzo. «Hanno mangiato di corsa e poi sono andati via» racconta il cameriere. Un altro gruppo, alla stessa ora, sta salendo le scale degli uffici della presidenza del Consiglio all’inizio di via del Tritone, proprio mentre i quattro membri del governo “dimissionati” – usciti con un sospiro di sollievo da Palazzo Grazioli – sono riuniti a Palazzo Chigi a fare il punto con Letta.
Gaetano Quagliariello, scendendo le scale della presidenza del Consiglio, confida a un collega il suo stato d’animo: «Siamo solo all’inizio, lo so. Domani quelli con cui ho lavorato per vent’anni mi daranno del traditore. Sarà  durissima. Ma io penso alle mie figlie, che un giorno mi domanderanno: papà  tu c’eri, perchè hai permesso che tutto questo avvenisse? E io, quel giorno, voglio poter rispondere senza abbassare lo sguardo».

Sebastiano Messina

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LA RABBIA DI SILVIO: «ANGELINO LA PAGHERAI, TI TRATTERO’ COME FINI”

Ottobre 2nd, 2013 Riccardo Fucile

IL GIORNO DELLA SCISSIONE, ALFANO SFIDA BERLUSCONI

È il giorno della scissione, dei berlusconiani che voltano le spalle a Berlusconi, del tanto atteso «parricidio » dell’eterno delfino Alfano.
Si va alla conta, al Senato. Ma la notte è stata lunga, lunghissima. Fitta di trattative, di telefonate, di tentativi estremi di conquistare ogni singolo parlamentare borderline, ogni peone, ogni potenziale dissidente.
Verdini e Santanchè e lo stesso Cavaliere non hanno fatto altro per ore. A mezzanotte Berlusconi convoca in extremis Alfano, che però non recede. I ministri restano compatti.
Il vicepremier lascia Palazzo Grazioli mezz’ora dopo. Il capo invece vacilla, resta con Verdini e Ghedini, è assalito dai dubbi nella notte, è tentato dalla retromarcia, teme di finire ai margini.
Ma alla fine le posizioni restano immutate, i falchi insistono: bisogna votare la sfiducia nonostante la fronda dei ministri. I due si rivedranno stamattina presto, ma siamo alla deflagrazione finale.
Va in frantumi il Pdl. Da oggi sarà  un’altracosa. E Marina Berlusconi scalda già  i motori di Forza Italia con la benedizione del padre.
IL CAVALIERE ALLA SFIDA FINAL
«Pensano solo a spaccarci e a farmi arrestare: con questi signori non voglio avere più a che fare e i nostri che li voteranno saranno dei traditori».
Alle 21, a Palazzo Grazioli il Cavaliere tira le conclusioni del vertice di «guerra» piùdrammatico dell’era berlusconiana.
Attorno a lui, solo i fedelissimi, i coordinatori, i capigruppo, Gelmini, Bonaiuti, Galan, Gasparri, Nitto Palma, Ghedini, Fitto e il solo ministro De Girolamo.
Brunetta e Schifani provano a convincere il capo a compiere un’ultima retromarcia «per il bene del Paese». Tentativo fallito.
Gli altri quattro ministri, guidati da Alfano, sono già  reinsediati a Palazzo Chigi, dimissioni respinte dal pre-mier Letta. Sono già  altra cosa, altra storia, altro partito.
Si presenterà  a Palazzo Madama di prima mattina, il leader: «Li voglio vedere in faccia uno per uno, i traditori, voglio vedere se avranno il coraggio di votarmi contro» tuona.
Si sente abbandonato, soprattutto dal capo dello Stato, col quale ormai ogni canale di comunicazione è interrotto, dopo l’incidente della telefonata trasmessa da Piazza Pulita: «Mi vuole politicamentemorto e ci sta raggiunge».
LA CONTA
Si chiamerà  forse Pdl-Ppe, il nuovo gruppo che nascerà . Quel che conta nelle prossime ore è il pallottoliere. Quanti seguiranno la fronda del segretario.
«Non sono più di dieci, credimi presidente » ha rassicurato ancora una volta Denis Verdini nel vertice serale, quello dello strappo.
Un bluff, secondo lui e la Santanchè.
Berlusconi, raccontano, in realtà  molti dubbi li coltiva. Ma sa di non avere più chance. Di non potere più tornare indietro, dopo che per una giornata tutti gli approcci e i tentativi di mediazione per rientrare e votare la fiducia – avanzati a più riprese al premier Letta tramite lo zio Gianni – sono falliti: rimpasto per lasciare a Carfagna e Gelmini il posto di Lorenzin e De Girolamo, un decreto per stoppare l’aumento dell’Iva, il rinvio a fine ottobre del voto finale sulla decadenza di Berlusconi in aula al Senato.
Proposte irricevibili, come le hanno bollate Letta e Franceschini. Non ci sono più margini di manovra, di trattativa.
E il discorso di fuoco del premier Letta lo sancirà  stamattina, «invotabile» per il leader Pdl. Il Cavaliere è spalle al muro, non ha alternative: vota la sfiducia.
Ma quanti lo seguiranno? «Siamo più di quaranta, sufficienti a formare il gruppo» fa di conto nel pomeriggio il dissidente Carlo Giovanardi.
A sentire loro è un fiume carsico che oggi si farà  piena. «Chiaro che non possiamo che stare dalla parte del segretario» annuncia il sottosegretario (non dimissionario) Giuseppe Castiglione, fondamentale colonna siciliana del partito.
Almeno tre senatori con lui. «Dunque Berlusconi si rassegna e fare la minoranza del Pdl?» chiede quasi ironico il senatore di lungo corso Paolo Naccarato. Ottimisti, forse. Il capogruppo Schifani fino a sera stava col capo.
E con lui si schierano i senatori lombardi guidati da Mantovani (ma Paolo Romani non va al vertice serale con Berlusconi). E quelli veneti di Galan.
A ora di pranzo a Palazzo Madama si va al corpo a corpo.
LA TRATTATIVA
Gianni Letta raggiunge il premier a Palazzo Chigi a ora di pranzo. C’è anche Alfano. Si discute di una «onorevole via d’uscita» per far rientrare Berlusconi che si sarebbe reso conto dei rischi dello strappo compiuto.
L’ipotesi avanzata è di non votare la fiducia oggi. Far finta che nulla sia successo. Dichiarazioni in aula ma nessuna mozione da sottoporre al voto dell’aula. Tornerà  con le pive nel sacco.
A Palazzo Grazioli a quel punto, è ora di pranzo, in un susseguirsi frenetico di vertici, capiscono per la prima volta che le strade sono sbarrate. «Non vogliono fare prigionieri, ci vogliono morti» per dirla alla Verdini.
Nonostante tutto, fino al primo pomeriggio, Berlusconi resta convinto che sia tutto un bluff, che i ministri «traditori» non abbiano i numeri. E così spedisce alle 15 al mensile “Tempi”una lettera di fuoco contro Letta e Napolitano.
E i giudici, ovvio. Confermando l’apertura della crisi, come farà  oggi con un’intervista a Panorama.
IL PARRICIDIO
È a quel punto, a inizio pomeriggio, che Angelino Alfano, riunito coi ministri, decide di alzare il tiro come mai aveva fatto prima.
«Rimango fermamente convinto che tutto il nostro partito domanidebba votare la fiducia a Letta. Non ci sono gruppi e gruppetti» scrive in una nota.
È l’ultimatum che non ti aspetti, la vendetta del delfino che riconquista il “quid”. Conseguenza del vertice notturno a Palazzo Grazioli e degli altri incontri in mattinata con Berlusconi consumati con toni drammatici, vana l’ultima offerta del capo, il coordinamento di Forza Italia.
«Presidente, noi andremo fino in fondo, voteremo la fiducia e saremo la maggioranza, è un errore non farlo, ci auguriamo che anche tu dia questa indicazione » osa alla fine Alfano.
«Ti stai comportando da traditore, mi stai voltando le spalle, ma farete la fine di Casini e Fini» avrebbe attaccato il Cavaliere.
A ora di cena, i fedelissimi riuniti dal capo e i ministri a Palazzo Chigi sono la visione plastica dell’avvio della scissione.
Un sondaggio di Pagnoncelli in serata a Ballarò accredita i moderati di Alfano di un 10-15per cento.
Le sottosegretarie Biancofiore e Vicari, berlusconiane, si dimettono, ma saranno le uniche a farlo.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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