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“NON VENERDI’ E FUORI ROMA, VENGA IN PARLAMENTO”: I DEPUTATI CINQUESTELLE PONGONO CONDIZIONI A GRILLO

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

IL CLIMA E’ CAMBIATO, LA MAGGIORANZA DEI PARLAMENTARI NON VUOLE RIPETERE LA GITA SOCIALE IN PULMANN CON DESTINAZIONE IGNOTA DI QUALCHE MESE FA

La partita sembrava chiusa.
Ieri sera il capogruppo Alessio Villarosa lo aveva comunicato a tutti i deputati: l’incontro con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio è fissato per venerdì, fuori Roma, in un luogo che comunicheremo solo al momento opportuno.
Qualche mese fa, la notizia della discesa dell’ex comico e del guru a Roma avrebbe suscitato un’ovazione. Ma il clima è cambiato.
Così ieri più d’uno si è lamentato: venerdì ci sono impegni con gli attivisti, molti fissati settimane fa, un preavviso di due giorni non è sufficiente.
Altri hanno fatto presente l’inopportunità  di ripetere le scene di qualche mese fa, con i parlamentari caricati su tre pullman e il codazzo di macchine dei giornalisti a inseguirli.
“Facciamolo alla Camera, i commessi tengono lontani i giornalisti e non siamo costretti a spostarci”.
Una riflessione che ha portato oggi a lanciare un sondaggio interno.
Tre le domande: “L’incontro si deve tenere venerdì o in un’altra data da definire?”; “In Parlamento o in un luogo al di fuori?”; “Bisogna recarvisi con mezzi propri o con i pullman”.
Lo staff ieri sera non aveva dubbi: “Ci sposteremo tutti insieme venerdì in un luogo che vogliamo mantenere riservato. Forse dopo faremo una conferenza stampa”.
Ma i risultati emersi nella consultazione tra gli onorevoli rimettono in discussione una questione che in molti davano già  per acquisita.
In 46 a mezzogiorno avevano votato per posticipare l’incontro con i due leader, contro i 44 che hanno continuato a insistere per venerdì.
Un testa a testa che fotografa bene l’insofferenza nei confronti dei modi e dei tempi stabiliti sull’asse Milano-Genova, già  messi in discussione la settimana scorsa dopo il duro post contro i senatori che avevano proposto l’emendamento per la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina.
Qualcuno la butta sul ridere, e a un certo punto tra i votanti, in entrambi gli schieramenti, compaiono Pippo Civati e Daniela Santanchè.
Ma la materia del contendere è seria, e i voti in surplus scompaiono, non cambiando comunque le distanze tra i due schieramenti.
Sul luogo dell’incontro non c’è storia. In 55 hanno espresso preferenza per vedersi in Parlamento, solo 26 propendevano per replicare la scampagnata. E, anche qualora fosse prevalsa questa seconda ipotesi, niente autobus “da gita delle medie”.
Ben 50 deputati hanno optato per recarsi al luogo dell’eventuale appuntamento con mezzi propri, solo 26 hanno preferito l’opzione pullman.
Nel magma nel quale prendono corpo le decisioni del Movimento, è presto per dire quale potrebbe essere la soluzione definitiva.
Qualche senatore si è lamentato: “Alla Camera stanno votando, per noi chi decide?”. Domanda al momento senza risposta. Sempre che Grillo e Casaleggio non avochino a loro la decisione finale, continuando dritti per la strada che sembrava essere stata ormai definita.
In quel caso sono tanti a mettere le cose in chiaro sin da subito: “Il preavviso è poco. Terremo fede agli impegni già  presi, poi qualcuno ci racconterà  cosa hanno detto”.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ULIMO RICATTO DI BERLUSCONI: “IL GOVERNO DICHIARI NON RETROATTIVA LA SEVERINO”

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

 UN’INTERPRETAZIONE DEL GOVERNO POTREBBE ALLONTANARE LA DECADENZA: PER POTERSI PRESENTARE ANCORA CANDIDATO PREMIER IN CASO DI ELEZIONI IN PRIMAVERA

Il baratro della decadenza e l’oblio della incandidabilità .
Silvio Berlusconi non si rassegna al siluramento, non dà  per persa la partita. Torna a Roma e convoca a notte fonda Angelino Alfano, reduce dal Consiglio dei ministri che ha varato la legge di stabilità , e il consigliere di sempre Gianni Letta.
Sul tavolo pone la richiesta che, d’intesa con gli avvocati Ghedini e Longo, intende avanzare proprio al governo del quale Angelino è vicepremier.
«Dobbiamo sollecitare l’esecutivo per ottenere un’interpretazione autentica sulla legge Severino. Devono riconoscere che quella norma non può essere retroattiva, non può travolgermi e spazzarmi via così».
Quell’istanza in realtà  è stata già  avanzata, in via ufficiosa, alla Presidenza del Consiglio proprio in questi giorni.
Ma da Palazzo Chigi non è arrivata alcuna risposta.
Il rinvio di ieri al 29 ottobre della giunta per il regolamento, chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità  del voto palese sulla decadenza dell’ex premier, in realtà  fa gioco al Cavaliere. Che si voti a novembre o addirittura a dicembre – come tenteranno di ottenere i big Pdl al Senato, approfittando dell’apertura nel frattempo della sessione di bilancio – si aprono comunque fruttuose settimane per tenere in piedi la trattativa.
Quel che gli avvocati hanno spiegato a Berlusconi, convincendolo, è che la norma Severino – quella che sancisce la decadenza e la incandidabilità  del condannato in via definitiva – è una legge delega, approvata cioè dal governo dopo aver ottenuto la delega dal Parlamento, appunto.
Dunque, in ultima istanza potrebbe essere proprio Palazzo Chigi a fornire l’interpretazione autentica.
L’auspicio è che quel responso coincida con le aspettative: che riconosca cioè l’effettiva impossibilità  di applicare in via retroattiva la sanzione, salvando insomma l’ex premier.
Ma quello è un terreno minato sul quale in realtà  Enrico Letta ha già  fatto sapere che non intende avventurarsi.
Il capogruppo al Senato Renato Schifani, commentando ieri il sì del Pd al voto palese sulla decadenza in aula, avverte che la maggioranza rischia, ma allude anche alla richiesta avanzata: «Speriamo che in questa settimana venga rivalutata la questione della retroattività  della Severino, se no è evidente che si restringono sempre di più gli atteggiamenti collaborativi».
Palazzo Chigi è avvisato.
Berlusconi ci conta, ci spera. Anche perchè, è vero che sabato prossimo la Corte d’Appello di Milano si pronuncerà  sull’interdizione, riducendola a uno, massimo tre anni, ma è altrettanto vero che il leader Pdl la impugnerà  comunque in Cassazione.
Trascorreranno altri mesi, l’ultimo giudizio arriverà  forse a metà  2014.
Ed è a quel punto che il Cavaliere tenterebbe il colpaccio. Ancora non interdetto, dunque candidabile, proverebbe a trascinare il Paese al voto in primavera: da leader, ma soprattutto da candidato premier.
Per la settima volta. Perchè il piano vada in porto, deve superare le resistenze del presidente del Consiglio in carica e, forse, quelle di un Alfano che tutto vorrebbe meno che affiancare di nuovo un Berlusconi leader.
Ghedini, Longo, lo staff che lavora a ritmo continuo tra Arcore e Palazzo Grazioli hanno convinto l’inquilino che potrà  nuovamente «scendere in campo» se nel frattempo non subentrerà  l’interdizione definitiva.
E la tesi fa leva sull’articolo 66 della Costituzione: «Ciascuna Camera giudica delle cause sopraggiunte di ineleggibilità  e di incompatibilità  », ma non vi è alcun cenno a quelle di incandidabilità .
Bizantinismi, in apparenza, ai quali tuttavia il Cavaliere affida bricioli di speranza.
Per il resto, rientrato nel tardo pomeriggio a Palazzo Grazioli con Francesca Pascale e il cane Dudù, Berlusconi è apparso ai suoi interlocutori a dir poco di pessimo umore per la battaglia condotta dal Pd in giunta sul voto palese.
«Ma come, il regolamento prevede il voto segreto e questi che fanno? Provano a cambiarlo giusto per me? Mai più alleati con loro» schiuma rabbia. «Come per l’amnistia, che deve valere per tutti ma non per me, a sentire il ministro Cancellieri».
Non a caso Sandro Bondi torna alla carica sostenendo che il voto favorevole dei democratici sulla decadenza sancirà  la fine della maggioranza.
È un concentrato di pessimismo, il Berlusconi che si sente assediato, per di più stanco per le beghe interne al Pdl. Per questo, racconta chi gli ha parlato, è intenzionato a chiudere la faida Alfano-Fitto al più presto.
Da qui la convocazione notturna per il vicepremier, mentre l’ex governatore pugliese sarà  ricevuto oggi alle 11 a Grazioli.
Ad Alfano ha chiesto chiarimenti sulla legge di stabilità , mettendolo in guardia: «Non possiamo infliggere nuove tasse ai nostri elettori, non ce lo permetterebbero».
L’ultimo sondaggio consegnato da Euromedia accrediterebbe il leader di un gradimento, in termini di fiducia, ancora superiore all’80 per cento tra gli elettori di Forza Italia/Pdl.
Lontani da lui gli altri aspiranti leader. Ma il partito si ritrova a perdere ancora punti (era già  al 22-23 la scorsa settimana) proprio a causa dello scontro interno.
Ha altro a cui pensare, basta guerre intestine. Destinate tuttavia a riaprirsi, con molta probabilità , all’indomani del voto sulla decadenza, tra qualche settimana, quando Berlusconi lancerà  l’aut-aut: «O con me o alleati di governo col Pd che mi butta fuori dal Parlamento».
Alfano e i suoi ministri temono non poco quello spartiacque.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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LA COERENZA DI RENZI: QUANDO ERA A FAVORE DELL’AMNISTIA, ECCO LA LETTERA

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

ORA PARLA DI AUTOGOL DEL PD, MA A DICEMBRE FIRMAVA UNA LETTERA A PANNELLA PER SOSTENERE L’AMNISTIA PER I DETENUTI

Ha definito amnistia e indulto un clamoroso autogol, ha fatto discutere e discusso (a distanza) con alcuni ministri del governo Letta.
A Matteo Renzi è bastato un giorno, il primo di campagna elettorale per la segreteria del Pd, per riprendersi la scena attrarre su di sè le attenzioni del mondo politico e mediatico.
E così le critiche del rottamatore su amnistia e indulto, a distanza di tre giorni, sono ancora un tema caldo.
Ma andiamo indietro solo di qulache mese.
Era il 20 dicembre 2012 Marco Pannella aveva iniziato uno sciopero della fame durissimo che lo costrinse al ricovero (vi ricordate? l’allora premier Mario Monti lo andò a trovare in ospedale).
Il sindaco di Firenze si mobilitò firmando una lettera scritta dal consigliere Enzo Brogi.
Ora Matteo Renzi fiuta il vento e si sposta.
Oggi tuona contro indulto e amnistia, fa la faccia feroce e guadagna punti su il pallottoliere dell’antiberlusconismo.
Ma a dicembre, solo pochi mesi fa, firmava una lettera inviata da un consigliere regionale a Marco Pannella per sostenere la sua battaglia sulle carceri e per la concessione di un provvedimento di clemenza.
Ecco la lettera di Brogi a cui aderì anche Renzi
Le tue richieste sono giuste e legittime, nella loro immediatezza oltre che nel loro contenuto.” Da dieci giorni seguiamo con seria preoccupazione i bollettini medici sul tuo stato di salute e proprio per questo vogliamo farci carico della lotta per l’amnistia, per la giustizia e per la libertà , per il ripristino della legalità  e del rispetto della dignità  all’interno delle nostre carceri, per interrompere una violenza che riguarda tutti i cittadini, non solo i detenuti; per ristabilire i principi della Costituzione, depredati nella loro completezza laddove prevedono che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità  e ne sancisce la funzione rieducativa; convinti che laddove siano stati violati o ignorati dei diritti, laddove venga meno la legalità , lo stato di diritto, esista anche, e tu lo sai bene, strage di popoli. Con grande apprensione e la piena solidarietà , da oggi introdurremo nelle nostre priorità  istituzionali le necessarie misure affinchè si possa limitare e riparare al collasso della giustizia e della sua appendice ultima delle “catacombe” carcerarie, luoghi di sofferenze atroci, di tortura e di morte quotidiana.
Armati di nonviolenza, con i nostri corpi, con il ruolo che ricopriamo, intraprenderemo, a staffetta, uno sciopero della fame, sperando, con forza e caparbietà , che il Parlamento italiano conceda un provvedimento di amnistia e si attivi con atti urgenti per porre rimedio all’emergenza carceraria, al vergognoso sovraffollamento delle nostre strutture penitenziarie, non come soluzione ma come punto di partenza per una riforma strutturale della giustizia, con misure alternative alla carcerazione, in primis per i tossicodipendenti.”

(da “Huffingtonpost“)

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MA QUANTO GUADAGNA CRIMI? UN PARLAMENTARE CINQUESTELLE SU DUE NASCONDE I REDDITI

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

CINQUESTELLE POCO TRASPARENTI, LA PRETENDONO DAGLI ALTRI, MA PER LORO NON VALE

Invocano la trasparenza per tutti salvo poi non tenerne conto per se stessi.
Stiamo parlando dei parlamentari M5s (una parte, non tutta ovviamente) che secondo quanto riporta il Fatto non ha la benchè minima intenzione di rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi.
Finora su 156 eletti tra Camera e Senato solo 72 lo ha fatto.
E sia chiaro non è obbligatorio, la legge prevede che il dovere di comunicazione su questi temi possa essere solo carteceo, ma dal 2010 è possibile (facoltativamente) pubblicare on line il proprio 730.
Ad oggi – scrive il Fatto – un eletto Cinque stelle su due si è ben guardato dal firmare quell’ok.
E tra gli reticenti ci sono nomi illustri: da Vito Crimi a Laura Bottici (questore al Senato) dal capogruppo alla Camera Villarosa a Arianna Spessotto (tesoriere a Montecitorio).
E poi – dice il Fatto – tanti altri deputati: da Massimo Artini a Giulia Grillo, da Manlio Di Stefano a Carla Ruocco. E senatori: da Francesco Campanella a Andrea Cioffi, da Carlo Martelli a Sara Pagliani, da Daniela Donno a Maurizio Romani.

(da “Huffingtonpost“)

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PRIMA CASA, ADDIO IMU: LA TRISE SARA’ MENO PESANTE, MA SONO SPARITE LE DESTRAZIONI

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

STANGATA SULLE SECONDE CASE, PROROGATI I BONUS EDILIZI

«Non sarà  come l’Imu », assicurava ieri il premier Letta in conferenza stampa.
Ma come sarà , la nuova tassa sulla casa ribattezzata Trise (Tassa rifiuti e servizi), il governo non lo spiega.
Perchè attorno al balzello, in vigore dal 2014, in realtà  sta montando un caos degno della vecchia Imu, a cui purtroppo somiglia sempre di più.
Gli uffici studi della Cgia di Mestre e del Servizio territoriale della Uil calcolano, in base a quanto emerso nelle bozze del disegno di legge circolate sin qui, che la Trise potrebbe alla fine risultare un po’ meno cara dell’Imu sulla prima casa versata dagli italiani nel 2012, ultimo anno di applicazione
Con una differenza, evidenziata però dalla Cgia.
Poichè con la Trise spariscono le detrazioni per i figli, il vantaggio rispetto all’Imu rischia non solo di annullarsi, ma di trasformarsi in uno spiacevole aggravio
L’incubo della tassa sul mattone dunque continua.
La discussione sulla Trise si è protratta a lungo nel Consiglio dei ministri fiume che ieri notte ha licenziato la legge di Stabilità .
Tra l’altro, fuori sacco, il Cdm ha pure esaminato l’ipotesi per le aziende di dedurre da Irpef e Ires (ma non dall’Irap) il 20% dell’Imu pagata sui capannoni.
Una misura che verrebbe finanziata ripristinando l’Irpef sulle case sfitte (nella misura del 50%).
L’unica notizia certa è sui bonus edilizi. Chi deve ristrutturare l’abitazione o efficientarla dal punto di vista energetico potrà  contare ancora, per tutto il 2014, sui due sgravi previsti per quest’anno, le detrazioni del 50% e 65%, rispettivamente.
Una proroga che vale un miliardo.
Un altro miliardo (non due come ipotizzato alla vigilia) sarà  poi stanziato a favore dei Comuni, così da ridurre il peso della Trise.
La nuova tassa sugli immobili dovrebbe difatti essere pagata non solo dai proprietari di prime e seconde case, ma anche dagli affittuari (una quota tra il 10 e il 30%).
L’aliquota base sembrerebbe ormai fissata all’1 per mille da applicare sulla rendita catastale, la stessa base imponibile dell’Imu (ma con l’alternativa per i sindaci di applicare un euro a metro quadro).
E il suo massimale sarebbe il tetto massimo già  vigente con l’Imu sommato all’un per mille. E quindi: sette per mille sulle prime case e addirittura 11,6 per mille per le seconde. Una stangata vera e propria, in questo caso, considerato che seconde e terze abitazioni continueranno a versare anche l’Imu.
Cosa faranno i Comuni il prossimo anno? Si fermeranno all’1 per mille o useranno il così ampio margine di manovra loro consentito?
Secondo la Uil, il gettito della Trise — dato da due componenti: Tasi e Tari, servizi indivisibili e rifiuti — sarebbe pari a 3,5 miliardi, se calcolato con l’aliquota base dell’1 per mille e spalmato su 33 milioni di abitazioni (20 milioni di prime case più le abitazioni in affitto e le seconde case).
Questo significa che il gettito Imu sulle prime case — l’unico a sparire il prossimo anno e pari a 4 miliardi nel 2012 — sarebbe ampiamente rimpiazzato dalla Trise più il miliardo
di compensazione statale.
Ma certo i Comuni sono affamati di risorse.
Per quanto riguarda la singola famiglia poi, la Cgia di Mestre individua in 366 euro l’esborso che l’attende in media nel 2014.
Più di quest’anno (sulle prime case l’Imu è stata abolita), ma meno del 2012. Sempre se non si hanno figli (i Comuni però saranno liberi di fissare sconti e bonus famiglia)
Nel frattempo, ieri la Camera dei deputati ha votato un emendamento, contro il parere del governo, che consentirà  ai Comuni di equiparare, per la rata del prossimo dicembre, alla prima casa anche quella concessa in comodato d’uso dai genitori ai figli (quindi zero imposta).
Misura che costerà  18,5 milioni di euro. Di qui le perplessità  del governo.

Valentina Conte
(da “la Repubblica“)

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ENNESIMO GIRO DI VITE SUL PUBBLICO IMPIEGO: CONTRATTI CONGELATI E MENO STRAORDINARI: COSI SI RISPARMIANO 1,5 MILIARDI

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

PRECARI ED ESUBERI, STOP AL TURN OVER… SALE A UN ANNO L’ATTESA PER LA LIQUIDAZIONE…IL SETTORE PUBBLICO USATO COME BANCOMAT, PRELEVATI GIA 7 MILIARDI IN TRE ANNI,   PERDITA DI 600 EURO A TESTA

Contratti fermi, blocchi del turn over, tagli agli straordinari e — una volta andati in pensione — raddoppio dei tempi previsti per incassare la liquidazione: gli statali mettono sul piatto della legge di Stabilità  un miliardo e mezzo.
Per i dipendenti pubblici è un ennesimo tributo che va ad aggiungersi a quanto già  versato negli anni scorsi: in certi casi la “stretta” è stata rinnovata, in altri amplificata; comunque sia la categoria considera gli interventi appena varati «inaccettabili» e il sindacato ha già  annunciato di essere pronto alla mobilitazione
Il rospo più difficile da mandare giù è quello relativo al blocco dei contratti, che — per quanto riguarda la parte retributiva — resteranno fermi per tutto il 2014 sia a livello nazionale che a livello di integrativo.
I dipendenti del settore pubblico hanno siglato l’ultima trattativa nel 2009 e da allora i loro stipendi sono al palo: negli ultimi tre anni, lo stop ha provocato in media una perdita secca di 600 euro a testa, cifra “potenziata” dal crollo del potere d’acquisto subìto dalle famiglie negli anni della crisi.
Ora arrivano altri dodici mesi di immobilità , non solo: dal 2015 al 2017, quando le trattative potranno essere riaperte, la cifra massima d’indennità  di vacanza contrattuale prevista sarà  pari «a quella in godimento al 31 dicembre 2013». Anche i compensi riconosciuti per il mancato rinnovo dei contratti resteranno quindi congelati.
Un altro colpo inferto alle buste paga arriva dalla stretta sulle ore di straordinario: la legge di Stabilità  prevede che le spese per il loro compenso debba essere ridotta del 10 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2013; per Polizia, forze armate e Vigili del fuoco il taglio sarà  invece del 5 per cento.
Per chi va in pensione poi, saranno raddoppiati i tempi di attesa per avere diritto alla liquidazione: per i compensi che superano i 50 mila euro ora il Tfr viene versato al dipendente dopo sei mesi, dal 2014 si dovrà  aspettare un anno.
Oltre al blocco dei contratti (che potranno essere rivisti solo nella parte normativa), il governo ha riconfermato e diluito nel tempo anche il blocco del turn over già  in vigore.
Nel 2014 il settore pubblico potrà  assumere solo il 20 per cento dei dipendenti che manderà  in pensione, nel 2015 la quota passerà  al 40 per cento, nel 2016 al 60, nel 2017 all’80 per cento. Il blocco non è applicato a Polizia, forze armate, Vigili del fuoco, ma le altre amministrazioni pubbliche potranno lasciarsi alle spalle il parziale fermo alle assunzioni solo nel 2018.
Il Consiglio dei ministri ha invece bocciato la norma, prevista nella bozza in entrata, che prevedeva il versamento di un contributo di 5-10 euro per poter partecipare ad un concorso pubblico, mentre dovrebbe essere estesa alle società  controllate, partecipate e ai cda il tetto massimo alle retribuzioni fissato a 300 mila euro
Interventi che, soprattutto per quanto riguarda contratti e turn over, il sindacato considera «inaccettabili».
«Il settore ha già  dato», commenta Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Rossana Dettori, segretario generale Fp-Cgil, precisa che «il fermo dei contratti, negli ultimi tre anni, è costato ai dipendenti 7 miliardi, cui rischiano di aggiungersi altri sette se fino al 2017 non sarà  corrisposto altro che la vacanza contrattuale. Il lavoro pubblico non è un bancomat».
Quanto al blocco del turn over, «negli ultimi dieci anni la Funzione pubblica ha già  perso 300 mila posti di lavoro e fine anno scadranno i contratti di 126 mila precari: i servizi offerti sono a rischio». «Già  oggi — fa notare Dettori — anche in settori sensibili come la scuola e la sanità  quelle ore di straordinario che il governo vuole tagliare servono spesso a garantire la copertura dei turni. Risponderemo punto per punto, se necessario con la mobilitazione».

Luisa Grion
(da “La Repubblica“)

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IL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE DIVENTA UNA MANCIA

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

IL PREMIER EVITA IL TEMUTO INTERVENTO SULLA SANITà€, MA LO STIMOLO ALL’ECONOMIA SI RIDUCE A POCHE DECINE DI EURO …ALL’ANNO. MA PD E PDL SONO CONTENTI

Enrico Letta riesce nel suo obiettivo principale: non scontentare nessuno nel passaggio più difficile di queste settimane, l’approvazione della legge di Stabilità .
“La manovra non toglie nulla alla Sanità  e fa scendere tasse per famiglie e imprese”, annuncia in una conferenza stampa convocata a metà  della riunione del Consiglio dei ministri, in tempo per i tg della sera.
Al suo fianco torna Angelino Alfano, vicepremier del Pdl, felice di poter vantare i risultati del suo ruolo di “sentinella delle tasse”.
Sono tutti contenti: la stangata diventa una spolverata di rigore con accenni di spesa per scavallare almeno la scadenza della mezzanotte, termine per mandare la bozza della legge di Stabilità  alla Commissione europea a Bruxelles che farà  un’esame preliminare prima del Parlamento.
Letta aveva preso un impegno: questa legge di stabilità  dovrà  essere ricordata per un forte intervento sul cuneo fiscale, cioè sul carico di tasse e contributi che pesa sulla busta paga del dipendente e sul datore di lavoro.
Nelle simulazioni della vigilia si parlava di 4-5 miliardi all’anno con benefici — a spanne — di 200 euro a lavoratore. Ma l’intervento sarà  minimalista: 10 miliardi in tre anni, nel 2014 soltanto 2,5. Quindi il beneficio sarà  di poche decine di euro all’anno. E l’impatto sull’economia non percepibile.
Ma non imorta, perchè riducendo le ambizioni sul cuneo, Letta è riuscito a evitare i tagli alla sanità  di cui si parlava nelle bozze della manovra: 4,5 miliardi di euro che avevano fatto protestare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e tutte le categorie coinvolte.
Niente tagli, dunque, con il Pd che si tranquillizza perchè l’effetto si sarebbe sentito soprattutto nelle Regioni del centro-nord, come Toscana ed Emilia.
In quota centrosinistra vanno anche tutti gli interventi sociali: il blocco dell’aumento dell’Iva per le cooperative e il rifinanziamento dei fondi per la non autosufficienza.
Il Pdl può intestarsi la “vision della manovra”, come dice Alfano, cioè “meno spesa e meno tasse”.
Letta usa la sua ormai consolidata tattica di comunicazione retorica: l’elenco. Cita tutto, incluse misure solo futuribili come la tassazione dei capitali italiani in Svizzera e un piano di privatizzazioni i cui contenuti sono sempre vaghi.
Glissa invece con una certa abilità  sui dettagli della tassazione immobiliare: è ormai chiaro che la Service Tax, che ora si chiama Trise, sarà  pesante, che colpirà  anche gli inquilini oltre che i proprietari e che dovrebbe coinvolgere anche la prima casa (nessuno sa, inoltre, da dove arriveranno i 2,4 miliardi necessari a evitare il pagamento della rata Imu di dicembre).
Ma al Pdl l’argomento non è congeniale, quindi Letta evita di approfondire. E i 500 milioni di tagli alle taxexpenditures, cioè detrazioni e deduzioni, si potrebbero anche chiamare “aumenti delle tasse”, ma Letta non usa formule così brutali.
“Le ultime misure dell’Italia sembrano andare nella direzione giusta”, aveva detto il commissario europeo Olli Rehn alla vigilia del Consiglio dei ministri, a marcare una certa benevolenza dell’Europa.
Dietro gli slogan   restano molte domande.
La prima è se l’Europa riterrà  sufficienti le coperture.
L’altra — sollevata da Confindustria — è se questi interventi sono sufficienti a spingere la crescita. Il ministro Saccomanni si sbilancia: “Non cresceremo a ritmi cinesi, ma possiamo arrivare al 2 per cento”. Sembra tanto, ma il governo aveva già  stimato prima della manovra un Pil a +1,7 per cento nel 2015 e +1,8 nel 2016.
Quindi, di fatto, anche Saccomanni ammette che la manovra non servirà  a molto.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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RESTA SOLO UNA MANOVRINA

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

IL GOVERNO APPROVA LA LEGGE DI STABILITà€ IN TEMPO PER MANDARLA A BRUXELLES: UN PO’ DI SPESA IN DEFICIT, ANCHE PER IL SOCIALE, PICCOLA RIDUZIONE DELLE TASSE SUL LAVORO

Quella presentata ieri da Enrico Letta, giusto in tempo per i Tg della sera, è davvero la sua manovra: leggerina e piena di cose atte a dare l’idea del buon senso e del pragmatismo.
Si tratta di quella levità  da cui scaturiscono i miracoli: il rapporto deficit/Pil migliora, il debito cala e la crescita decolla attorno al “2 per cento” all’anno (dice il ministro Fabrizio Saccomanni).
In attesa del testo definitivo, messo a punto nella notte a palazzo Chigi, ecco un riassunto di quel che si sa finora e degli annunci a margine.
I NUMERI.
La manovra prevede uscite o minori entrate per 11,5 miliardi nel 2014 e per altri 15 miliardi nel biennio successivo.
Le coperture per l’anno prossimo ammontano però solo a otto miliardi e mezzo. “Merito della flessibilità  contrattata in Europa”, sorride Letta.
Merito delle stangate di Mario Monti, in realtà , i cui effetti sono ancora pienamente operanti nel bilancio e anzi vanno applicati (com’è il caso della spending review, con risparmi già  messi a bilancio per il 2014).
È grazie alle lacrime di Elsa Fornero, per così dire, che il governo può sostenere che il rapporto deficit/pil sarà  al 2,5 per cento l’anno prossimo: il rapporto era infatti stimato a settembre — senza che Letta avesse fatto niente — al 2,35 per cento, vale a dire giusto tre miliardi meglio di come sarà .
Il giochino funziona solo se i numeri del Documento di economia e finanza di settembre sono corretti.
E c’è da dubitarne: in particolare difficile che la crescita sia dell’1 per cento e che lo spread cali improvvisamente e senza motivo a duecento punti di media.
LA PRESSIONE FISCALE.
Cala, dice Letta: dal 44,3 al 43,3 per cento nel triennio 2014-2016. O meglio calerà , visto che nel solito Def la pressione fiscale l’anno prossimo era prevista proprio al 44,3 per cento.
Il conto sembra tornare con le notizie disponibili: circa tre miliardi di sgravi, infatti, sono destinati alla riduzione del cuneo fiscale, ma poi ci sono pure due miliardi di nuove tasse tipo l’aumento dell’imposta di bollo sui prodotti finanziari e la “revisione delle tax expenditures” (tagliano deduzioni e detrazioni, cioè che aumentano le tasse) più altro gettito da manovre fiscali su banche e assicurazioni.
A stare ai numeri, sembra che pure la famosa Trise — la nuova tassa comunale sugli immobili — non venga considerata meno onerosa dell’accoppiata Imu-Tares, anzi a consuntivo potrebbe essere anche peggiore : sui rifiuti infatti si paga a tariffa e sarà  più cara della vecchia Tarsu applicata finora dal-l’80 per cento dei comuni (la Tares era “cifrata” ad un miliardo di gettito in più della tassa sui rifiuti); sui servizi comunali decideranno i sindaci col vincolo che l’aliquota massima sia quella più alta dell’Imu “maggiorata dell’1 per mille”.
INVESTIMENTI E WELFARE.
È la parola più ripetuta da premier e ministri.
Uno sforzo c’è: dovrebbero ammontare a circa sei miliardi nel 2014.
Gli obiettivi sono i soliti: grandi infrastrutture stradali e ferroviarie (dal corridoio Adriatico alla Salerno-Reggio Calabria, dal Mose alla ristrutturazione della rete di Rfi fino alla ricostruzione de L’Aquila), appalti della difesa e delle forze dell’ordine. Viene pure rifinanziato per un miliardo l’ecobonus sulle ristrutturazioni e gli arredi e un miliardo di sforamento dal patto di stabilità  interno è concesso ai comuni solo per le spese in conto capitale.
Una parte della copertura, tre miliardi e mezzo, viene da una riduzione della spesa corrente: 2,5 miliardi dalle amministrazioni centrali e uno dalle regioni (sulle une e le altre, giova ripeterlo, gravano anche i tagli di Monti e Tremonti per il 2014), ma non dal comparto salute, università  e ricerca.
Il cuneo fiscale è la parte più deludente: pochi fondi rispetto alle previsioni e concentrati sugli anni a venire (si parlava di 15 miliardi subito, saranno 10,6 in tre anni). Il governo, comunque, ha provveduto a rifinanziare in tutto o in parte alcuni fondi sociali: dalla non autosufficienza alla social card, dal 5 per mille al Fondo per le politiche sociali: 1,28 miliardi a cui vanno aggiunti i 600 milioni per la cassa integrazione straordinaria.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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NÉ STANGATA NÉ FRUSTATA, MA PER UNA SVOLTA SERVIVA ALTRO

Ottobre 16th, 2013 Riccardo Fucile

UNA MANOVRA DI GALEGGIAMENTO, MANCANO STIMOLI ALLO SVILUPPO…L’IMU CAMBIA NOME, IL CUNEO FISCALE SI RIDUCE A UN BENEFICIO DI MENO DI 10 EURO AL MESE, PENALIZZATI GLI STATALI

La prima legge di stabilità  della Grande Coalizione all’italiana riflette i limiti della strana maggioranza che l’ha prodotta.
Non si può giudicare rivoluzionaria: non aggredisce il Leviatano della spesa pubblica improduttiva e non aziona le leve di un’economia competitiva.
Ma non si può neanche definire rinunciataria: azzarda qualche timido tentativo di introdurre politiche redistributive senza alimentare ulteriori dinamiche recessive.
Il risultato è una manovra di mantenimento. O di galleggiamento, secondo i punti di vista.
Ci mette «al sicuro con l’Europa » (e questo il premier Letta fa bene a rivendicarlo). Ma non «ci porta fuori dalla recessione» (e questo il ministro Saccomanni esagera a sottolinearlo).
Con questo pacchetto di misure da 11,6 miliardi non abbandoniamo il sentiero stretto del rigore, perchè con un debito pubblico che viaggia al 135% nei prossimi tre anni non possiamo permettercelo.
Ma non imbocchiamo la via larga dello sviluppo, perchè con una caduta di Pil del 9% negli ultimi cinque anni servirebbe tutt’altro coraggio.
La Finanziaria delle Larghe Intese brilla soprattutto per quello che non c’è (cioè i malefici che evita) piuttosto che per quello che c’è (cioè i benefici che porta).
Non c’è la temuta «stangata» sulla sanità , e di questo va dato atto al presidente del Consiglio che se ne intesta il merito.
Un salasso di 4 miliardi di tagli ulteriori sarebbe stato obiettivamente insostenibile. Questa è una voce del Welfare in cui si spende malissimo ma non tantissimo (9,3% del Pil in Italia, contro il 12% dei Paesi Bassi o l’11,6% di Francia e Germania), e in cui l’ideologismo dei tagli lineari decisi negli ultimi dieci anni dai governi Berlusconi-Tremonti ha fatto danni incalcolabili (come del resto è accaduto anche sull’istruzione e la ricerca).
Ma aver evitato questo ennesimo atto di macelleria sociale non basta a «qualificare» la manovra.
Si coglie qua e là  una ricerca di soddisfare il bisogno crescente di equità  che monta nel Paese.
Ma è quasi rabdomantica, e in alcuni casi contraddittoria. Anche qui, pesano chiaramente le diverse costituency politico- elettorali dei partiti di governo, che frappongono veti incrociati e giustappongono richieste. Senza elaborare una sintesi avanzata, senza enucleare una priorità  definita.
L’esempio più lampante è la seconda rata dell’Imu: quest’anno non la verseremo perchè così ha preteso il Cavaliere nel «patto costitutivo» del governo, ma l’anno prossimo la pagheremo con gli interessi.
Cambierà  solo il nome, ma non la sostanza: si chiamerà  «Trise», e costerà  in media 370 euro a famiglia. Un altro esempio è la tassazione del capitale: manca la forza di ripensare in modo definitivo la struttura squilibrata del prelievo sulle rendite finanziarie (tuttora colpite con aliquote pari alla metà  esatta di quelle che gravano sul lavoro). Ma si supplisce con l’ulteriore inasprimento della «patrimonialina » sui bolli del deposito titoli.
Manca la determinazione di rimodulare il perimetro dello Stato sociale, allargandolo dove serve e restringendolo dove si può, ma si concede qualche risorsa aggiuntiva al Fondo dei non autosufficienti, alla Social card e alla cassa integrazione in deroga. Manca la fantasia di strutturare una fiscalità  di vantaggio per i nuclei familiari, ma si prolungano gli eco-bonus sull’energia e sulle ristrutturazioni immobiliari.
Si introduce un contributo di solidarietà  sulle pensioni più alte, ma si impongono nuovi sacrifici al pubblico impiego, sul quale non si interviene con una riforma radicale volta a un vero recupero di efficienza (come ci sarebbe un disperato bisogno), ma con un altro giro di vite sui rinnovi contrattuali e sulle prestazioni straordinarie (come nella peggiore tradizione forzaleghista).
Il risultato di questa complessa alchimia politico-finanziaria ha almeno il pregio di non essere una «mannaia» sulla testa dei contribuenti.
Su questo non si può dare torto a Letta. Ma se non c’è la stangata, appunto, purtroppo non c’è neanche la «frustata ».
Gli stimoli allo sviluppo si intuiscono, ma sono obiettivamente modesti. «Pagheremo meno tasse», dicono in coro premier e vicepremier.
Ma non ce ne accorgeremo, se lo sgravio si sostanzia in un calo della pressione tributaria di meno di un punto di Pil nel prossimo triennio.
E qui c’è il limite più serio di questa manovra. La grande operazione di abbattimento del cuneo fiscale è deludente. E ancora una volta, nell’affannosa mediazione tra le pressioni dei sindacati e le pretese di Confindustria, non vince nessuno, e rischiano di perdere tutti.
Il taglio vale sì 10 miliardi, diviso tra imprese e lavoratori, com’era stato annunciato. Ma sarà  spalmato sull’arco dei tre anni.
Questo vuol dire che in una busta paga da 15 mila euro di reddito medio, per il 2014, arriveranno poco più di 100 euro di aumento delle detrazioni all’anno. Meno di 10 euro al mese.
Il costo di una napoletana in pizzeria, o di dieci cappuccini al bar.
La stessa cosa vale per gli sgravi Irap sui neo-assunti a beneficio delle imprese, che varranno 15 mila euro l’anno per ogni nuovo contratto stabilizzato.
Alla fine prevale la stessa logica, falsamente egualitaria, che condannò l’operazione sul cuneo fiscale compiuta dal governo Prodi nel 2006/2008.
Meglio di niente, ma non generò un solo centesimo di punto in più di prodotto lordo. Non è così che si sostengono i consumi e si rilanciano gli investimenti.
Questa è la vera occasione mancata. Annanzitutto che per un esecutivo «anomalo» come quello di Letta e Alfano. Ma era inutile illudersi troppo. Nelle condizioni date, mai come questa volta l’obiettivo della legge è quello di garantire ciò che recita il suo «titolo»: la stabilità .
Probabilmente non più de-crescita, ma certamente non ancora crescita. Solo stabilità . Stabilità  dei conti pubblici, che in questo momento è specchio e garanzia degli equilibri politici.
Tutto questo soddisferà  i «governisti» dei due poli. Piacerà  alla matrigna Europa, e forse anche ai mercati tiranni.
Per carità , non è poco. Ma agli italiani serve molto di più

Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)

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