Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
LA PRIMA CONDANNA PER LE TASSE NON PAGATE QUANDO GIOCAVA NEL NAPOLI È DI 12 ANNI FA, MA LUI MANDA A QUEL PAESE EQUITALIA IN PRIMA SERATA TV
Diego Armando Maradona trova inconcepibile che il fisco italiano gli chieda le tasse non pagate. E sfoga la sua incredulità snocciolando argomenti che sembrano copiati pari pari dal repertorio berlusconiano.
Tipo: “Io che ho dato felicità ai napoletani…”.
E così replica al vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, che ha giudicato “da miserabile” il suo spottone anti Agenzia delle Entrate: “Non lo conosco e non so che cosa abbia fatto per la gente”.
Dunque tra un governo che chiede di pagare le tasse dovute e un contribuente che si rifiuta ha ragione chi ha più consenso popolare.
E questa sembra davvero di averla già sentita.
Rivediamo la scena alla moviola.
Rai 3 invita Maradona al programma di Fabio Fazio ”Che tempo che fa”. Il noto pibe de oro deve promuovere la serie di dvd sulla sua storia prodotti da Gazzetta dello Sport e Rai.
Alla vigilia dello show il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, previa consultazione con il capo dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera, intima di non dare una sola lira di compenso al-l’ex campione, anche perchè, per legge, il denaro dovrebbe essere intercettato dal fisco italiano, che rivendica la consegna di ben 39 milioni di euro da Maradona.
Ma l’uomo che ha dato la felicità ai napoletani non ne vuol sapere. Va da Fazio e attacca, spiega che è accusato ingiustamente , che è perseguitato addirittura e che è determinato a chiarire la vicenda una volta per tutte.
Spiega dove sta secondo lui l’ingiustizia. Siccome il fisco italiano dice che non sono state dichiarate tutte le sue competenze negli anni ’85-’90, quando era dipendente del Napoli, che non ha versato le tasse dovute come sostituto d’imposta nella giusta misura, lui si difende dicendo che non c’entra niente: “Il contratto l’hanno firmato il presidente del Napoli Corrado Ferlaino e il mio procuratore Guillermo Coppola. Vadano da loro anzichè venire da me a togliermi orecchini e orologi”.
Ed è qui che parte il clamoroso gesto dell’ombrello, rivolto a Equitalia, e accolto dal pubblico in studio con un’autentica ovazione (da valutare con molta serietà ) e da Fazio con una frase apparentemente incomprensibile (per chi non conosce l’antefatto): “È qui a titolo gratuito!”. Fazio ha capito subito che l’incidente era esploso.
E infatti ieri ha ripreso il tema rivendicando di essere stato il primo a porre a Maradona la domanda sull’evasione fiscale, e compiacendosi del fatto che il 53 enne cittadino argentino abbia manifestato “non solo di non volere sfuggire, ma di volere andare finalmente in fondo alla vicenda”. Il gesto dell’ombrello per Fazio “si poteva evitare”, mentre il direttore di Rai 3, Andrea Vianello, ha espresso il suo rammarico per un comportamento “offensivo”.
Ma il punto è un altro, la precisione dell’informazione.
Maradona infatti non ha detto di voler regolarizzare la sua posizione, ma di pretendere giustizia perchè lui non è “mai stato un evasore”.
E allo stesso modo di B., che vorrebbe un quarto, un quinto, e, se necessario, anche un sesto e un settimo grado del giudizio per la sua condanna definitiva per frode fiscale, anche Maradona fa credere a un intervistatore che non ha approfondito la materia di essere in fase di confronto con le autorità fiscali.
Invece la storia è diversa, come fanno sapere, un po’ inferociti dall’Agenzia delle entrate. Maradona è stato condannato per la prima volta dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli nel 2001, condanna confermata dalla Commissione tributaria regionale nel 2002 e dalla Corte di Cassazione nel 2005, dopo la quale ha tentato altri due ricorsi, entrambi respinti.
Dei 39 milioni che gli chiede il fisco, solo 6 sono le imposte evase, il resto sono sanzioni, more e interessi.
L’avvocato di Maradona, Angelo Pisani, è un esponente del Pdl, presidente dell’ottavo municipio di Napoli.
Il suo blog cerca “agenti anti-Equitalia”, e rimanda a un “movimento anti-Equitalia”. Pisani ha sempre sostenuto che il suo cliente è vittima di “una persecuzione con cartelle pazze”.
La Agenzia delle Entrate invece ritiene di dover dare la caccia ai 39 milioni di Maradona, e per questo nei prossimi giorni andrà a chiedere alla Gazzetta dello Sport e alla Rai se devono pagare a Maradona dei diritti per i dvd che stanno per essere lanciati, nel qual caso il flusso di denaro dovrebbe essere intercettato.
Peraltro è sufficiente passare attraverso una società per eludere la sorveglianza del fisco.
Nella polemica un po’ sgarrupata di ieri si segnala la sortita del capogruppo alla Camera del Pdl, Renato Brunetta.
Impegnato da giorni in una polemica durissima contro Fazio, per dargli addosso ha assunto il ruolo di difensore dei contribuenti onesti.
Giudicando indecente lo show di Maradona, Brunetta attacca: “Davvero offensiva è la condiscendenza manifestata dal conduttore Fabio Fazio che ha lasciato che il suo pubblico tributasse un’ovazione per quell’atto di volgare offesa, che irride la legge e gli italiani onesti”.
Giorgio Meletti
/da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
FAUTORE DELLE LARGHE IMPRESE, HA RESUSCITATO PERSINO I MORTI CHE CAMMINAVANO E GLI INTRALLAZZONI
Però, che perspicacia questo Monti. Ha addirittura scoperto che Casini & Mauro sono due vecchi
democristiani intrallazzoni, come tutti gli altri che ha imbarcato nel suo partitucolo.
E financo che Enrico Letta è inginocchiato a Berlusconi e al Pdl.
Ma va? Chi l’avrebbe mai detto. Anzi, senti chi parla.
Forse Monti non lo ricorda, ma nel novembre 2011, appena salì a Palazzo Chigi, un certo Monti ringraziò il suo predecessore B. dello squisito servigio reso all’Italia appoggiando il suo governo tecnico, e lo chiamò “statista”.
Poi, già che c’era, inviava un pensiero affettuoso a Letta zio.
Il Cainano, in quel momento, era un morto che camminava a fatica, sommerso dallo spread e dal discredito, tant’è che sfuggiva ai radar dei sondaggi e, votando subito, si sarebbe estinto.
Provvidero Napolitano e Monti a resuscitarlo.
Tant’è che alle elezioni di febbraio, dopo 14 mesi di “cura” tecnica, era più vispo che pria.
Per non farci mancare nulla, Monti fu il primo, in campagna elettorale, prim’ancora di conoscere l’esito delle urne, a predicare le larghe intese col noto statista.
Nelle consultazioni al Quirinale, fece sapere che non avrebbe appoggiato altro governo se non l’ammucchiata con B.
E ad aprile, quando si votò per il nuovo (si fa per dire) presidente della Repubblica, sabotò qualunque candidato che non garantisse il governissimo con B.
Infatti fu rieletto Napolitano, che ce le regalò con Letta nipote premier, scelto direttamente da B. e da suo zio.
Monti e i suoi non fecero neppure una smorfia di disgusto quando si trattò di votare altri insigni statisti a presidenti delle commissioni parlamentari: Nitto Palma alla Giustizia, Formigoni all’Agricoltura, Cicchitto agli Esteri e così via.
Anzi, pareva che inalassero Chanel numero 5, tanto erano estasiati.
Appena B. fu condannato dalla Cassazione, chi si fece intervistare dall’apposito Foglio di Ferrara per chiedere al Colle la “grazia di pacificazione” al neopregiudicato? Monti, naturalmente.
E chi ha candidato alla commissione parlamentare antimafia Stefano Dambruoso, il multiforme ex pm antiterrorismo che giudicò “una bizzarria dietrologica” lo scandalo per il sequestro di Abu Omar da parte di agenti Cia e Sismi? Monti, of course.
Il quale ora scopre a scoppio ritardato che nelle larghe intese con B. comanda B.
Oh bella, e chi dovrebbe comandare? Scelta civica che ha preso un terzo dei voti della destra? O il Pd che, avendo astutamente spedito il suo vicesegretario a Palazzo Chigi, deve ingoiare qualsiasi rospo pur di tenerlo lì?
Ma non s’è accorto che la prima e unica mossa del governo dei grandi rinvii è stato la parziale abrogazione dell’Imu per ordine di B.?
E, se era contrario, perchè ha votato a favore? E non ha notato che ogni tanto Enrico Letta dice “bisognerebbe abolire il reato di clandestinità ” o “modificare la Bossi-Fini” o “abrogare la Fini-Giovanardi” con l’aria del passante, visto che non può toccare nulla perchè non solo B., che è cattivo, ma pure Alfano e Giovanardi, che sono buoni, non vogliono.
Sono i miracoli delle larghe intese, nate senza uno straccio di accordo programmatico fra i partiti (quello che da settimane l’odiata Merkel sta mettendo a punto nei minimi dettagli fra Cdu e Spd), ma solo sulla difesa del potere e della Casta e sulla paura di Grillo e di nuove elezioni.
Eppure Monti persevera nel definire questo pateracchio “la miglior formula di governo che il Paese possa avere e che spero duri cinque anni”, senza ammettere che la paralisi deriva proprio dalla maionese impazzita di tre partiti che non vanno d’accordo su nulla se non sulla tutela delle poltrone.
L’ultima mirabolante scoperta fuori tempo massimo del professore col loden riguarda il danno d’immagine causatogli dall’intervista tv alla Bignardi col cagnolino Empy in braccio: colpa della giornalista “scorretta”, dice lui, come se quella avesse potuto mettergli un cane fra le braccia a sua insaputa o sotto la minaccia delle armi.
Scusi, professore, ma si sente bene?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SEL SCRIVE A GRASSO, RICHIESTA RESPINTA, MA UN EMEDAMENTO POTREBBE COSTRINGERE GRILLO A PRESENTARE LA DICHIARAZIONE
“Caro Piero Grasso, Beppe Grillo è il tesoriere del M5s e, in quanto tale le deve presentare la propria dichiarazione dei redditi, in caso contrario lo devi diffidare”.
“Gentile onorevole, non sono io la persona giusta a cui scrivere, e comunque senza uno Statuto comunicato al Senato, non è possibile formalmente indicarlo come tale”.
Lo scambio di missive avvenuto la scorsa settimana tra Sel e la presidenza del Senato è pressappoco riassumibile come sopra.
Per capire di cosa stiamo parlando bisogna fare un passo indietro.
Una decina di giorni fa, a Montecitorio, prende la parola il grillino Riccardo Fraccaro. Spara a zero sulla riforma del rimborso pubblico ai partiti e chiosa: “Ladri”.
La cosa a quelli di Sel non va proprio giù, ma, sul momento, finisce lì.
Fino a quando Sergio Boccadutri scopre un incrocio di norme che, a suo avviso, metterebbero in crisi il Movimento stellato proprio sul fronte tanto a lui caro: quello della trasparenza.
Un po’ per motivi ‘personali’, essendo il tesoriere del partito di Nichi Vendola, un po’ perchè ha seguito da vicino l’iter della legge sul finanziamento, Boccadutri fa una scoperta: Grillo, secondo lo statuto pubblicato dall’Huffpost, risulta anche il tesoriere della sua creatura.
Non viene definito esplicitamente come tale, ma, oltre alla “rappresentanza politica e giuridica”, gli spettano l’amministrazione e gestione dei fondi dell’Associazione.
E, secondo due leggi italiane (una del 6 luglio 2012, l’altra, richiamata dalla prima, del 5 luglio 1982) i tesorieri devono comunicare al Parlamento la propria “situazione patrimoniale e reddituale”.
Così l’onorevole di Sel ha preso carta e penna: “come Ella certamente saprà i senatori e i deputati eletti sono tenuti a rendere alla Camera di appartenenza dichiarazioni circa la propria situazione reddituale. Si tratta di un obbligo di trasparenza nei confronti degli elettori […] Tale obblighi sono stati estesi dalla legge, anche a coloro che svolgono funzioni di tesoriere dei partiti o dei movimenti politici”.
Alla luce di ciò, considerato il fatto che se i tesorieri non risultano eletti le dichiarazioni devono essere presentate alla presidenza di Palazzo Madama, Boccadutri avanza una domanda: “Con la presente, dunque, Le chiedo se il signor Giuseppe Grillo vi abbia allo stato provveduto e, in caso contrario, se Ella ritenga di dover diffidarlo formalmente ad adempiere”.
Passano tre o quattro giorni, lo staff di Grasso si interroga su come rispondere in punta di diritto.
Alla fine la richiesta del deputato vendoliano viene rigettata. Sulla base di una duplice considerazione: “In primo luogo, il Senato non ha ricevuto copia di alcuno statuto o atto costitutivo del “Movimento 5 stelle”, dal quale si possano evincere le cariche di rappresentante o di tesoriere, nè ha il potere, in base alla normativa vigente, di pretenderne la trasmissione o il deposito”.
Senza indicazione formale di chi sia il tesoriere, in pratica, il Senato si dichiara impossibilitato a individuarlo d’ufficio.
C’è un secondo aspetto nel niet: “In secondo luogo, in materia di anagrafe patrimoniale, la stessa legge n. 96 del 2012 non indica l’Autorità competente a richiedere l’applicazione delle disposizioni sulla pubblicità della situazione patrimoniale e reddituale ai tesorieri dei partiti, nè è possibile desumerlo in via analogica,”.
La legge stessa non è chiara nell’individuare in Grasso il depositario di tale competenza.
Partita chiusa? Forse. Ma forse no.
Nella revisione della legge sui rimborsi pubblici, alla Camera è comparso un emendamento (alll’articolo 12) — firmato da Boccadutri, ma non solo da lui — che aggiusta la legge con una formulazione che sembra calibrata appositamente per costringere l’ex comico a presentare gli incartamenti a Palazzo.
Lo riportiamo integralmente:
La disposizioni di cui alla legge n. 441 del 1982 (dichiarare pubblicamente la situazione reddituale e patrimoniale n.d.r.) si applicano ai soggetti che svolgono le funzioni di tesoriere dei partiti o dei movimenti politici, o funzioni analoghe, che hanno ottenuto almeno un rappresentante eletto al Senato della Repubblica o alla Camera dei Deputati. Qualora i soggetti di cui al comma precedente non ricoprano le cariche di cui all’art. 1 della legge n. 441 del 1982, le dichiarazioni di cui ai numeri 1 e 2 del primo comma dell’art. 2 della legge n. 441 del 1982, sono depositate all’ufficio di presidenza del Senato della Repubblica, per tutta la durata della legislatura cui il partito o il movimento ha ottenuto eletti.
Il ruolo di Grillo, non formalmente tesoriere, può essere ben riassunto in quel “o funzioni analoghe”, e il ruolo della presidenza del Senato, in caso di ‘tesoriere non eletto’ viene meglio inquadrato.
Senza contare, poi, che l’articolo 5 è imperativo sul fatto che “nei siti internet dei partiti politici e in un’apposita sezione del portale internet ufficiale del Parlamento sono pubblicati i relativi statuti”.
Insomma, quando la legge sarà votata anche dal Senato ed entrerà in vigore, dovrebbero cadere gli impedimenti avanzati da Grasso e dal suo staff.
La possibilità viene delineata proprio dall’ex magistrato: “Proprio per sopperire a tale lacuna, la Camera dei deputati, ha approvato quell’emendamento. Tale testo dovrà ora passare all’esame del Senato in seconda lettura, e naturalmente potrà essere ulteriormente approfondito”.
Un approfondimento che potrebbe piacere poco al leader stellato.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“NON SMETTO, FARO’ POLITICA IN MODO DIVERSO”
Gianfranco Fini, dov’è stato in tutto questo tempo?
«In famiglia. Mi sono goduto le mie figlie. Ho letto più libri quest’estate che in tutti questi anni. Ne ho anche scritto uno».
«Il ventennio», in uscita da Rizzoli. Il protagonista, o l’antagonista, è ovviamente Berlusconi. Lei lo critica sul piano politico. Ma sul piano umano ne parla senza acrimonia, almeno fino al racconto della rottura. Come mai?
«Sarebbe acrimonia verso me stesso. Lo conosco da 30 anni, da quando l’Msi appoggiava le tv private. Per 17 anni siamo stati alleati e abbiamo avuto una stretta frequentazione».
Com’era con lei Berlusconi in privato?
«Sempre seducente e simpatico. Mai autoritario e protervo. Persino l’ultima volta che è venuto da me con Gianni Letta, a chiedermi due cose impossibili – vietare di fatto le intercettazioni e tagliare la prescrizione dei reati -, di fronte al mio rifiuto ha sorriso: “Non voglio litigare con te. Per litigare bisogna essere in due”».
E lei cosa rispose?
«Che per divorziare basta uno solo. Subito dopo mi sono morso la lingua: sua moglie Veronica se n’era appena andata sbattendo la porta. Dal Pdl invece sono stato cacciato io. Se avessi ceduto sulla prescrizione, Berlusconi avrebbe evitato la condanna definitiva in Cassazione. Ma io questo allora non lo sapevo. Nè avrei potuto rispondergli in modo diverso».
Nel libro lei scrive che il Cavaliere non è bugiardo. Ne è sicuro?
«Sì. Berlusconi non mente; rimuove. E’ del tutto incapace di ammettere un errore. Ha bisogno di convincersi che le cose siano andate esattamente come dice lui; altrimenti non riuscirebbe a convincere gli altri».
Lei racconta che nel 2010 Berlusconi motivò così la scelta di Alfano: «È giovane, leale, rispettoso a tal punto da darmi del lei».
«È vero. Berlusconi scelse Alfano non come segretario di partito, ma come suo segretario particolare. Ora Alfano ha dimostrato di avere il “quid”. Ma per lui non sarà facile restare “diversamente berlusconiano”».
Pensa che la scissione nel Pdl sia inevitabile?
«Non lo so. Temo che non sia possibile convivere nello stesso partito con Berlusconi, esprimendo una posizione diversa. Oggi lui è più debole. Ma continua a voler comandare il Pdl come faceva a Mediaset o al Milan. Se decadrà da senatore, griderà che non si può restare al governo con i propri carnefici».
Lei scrive che Berlusconi non è affatto finito.
«Tutt’altro. Ha ancora un vasto consenso, nel Paese e nel suo partito».
A differenza di Alfano, però, lei si era contrapposto frontalmente al Cavaliere.
«È vero che le situazioni sono diverse. Ma anche nel discorso che feci alla direzione del Pdl, il giorno in cui affrontai Berlusconi dicendogli “che fai, mi cacci?”, riconobbi che il leader era lui. Allora emerse il mio grande errore. Ero convinto che si potesse costruire con Berlusconi un partito vero, in cui linee diverse vengono messe ai voti. Ma l’unica volta in cui nel Pdl si è votato davvero, è stato per decretare la mia incompatibilità ».
Pensavamo che lei avesse accettato il partito unico perchè i colonnelli obbedivano già a Berlusconi.
«Non è questo il motivo. Il Pdl era la risposta del centrodestra alla nascita del Pd, guidato da Veltroni, che era al culmine della sua popolarità . Certo, mi ha fatto soffrire molto il fatto che nessuno dei colonnelli mi abbia difeso».
Di Gasparri lei racconta che, quando dovette lasciare il ministero delle Telecomunicazioni, la attese per ore in anticamera e la «supplicò» di perdonarlo, dicendosi pentito. Di Andrea Ronchi scrive che «persino» lui divenne ministro… .
«Be’, in 250 pagine un paio di cattiverie ci sono».
Di La Russa lei ricorda che non osò riferirgli la richiesta di Berlusconi: tagliare il pizzetto.
«Ricordo anche il dolore che mi diede, quando si piegò al diktat sulla mia espulsione. Da Gasparri non mi aspettavo nulla. Di Matteoli sapevo che era sempre stato “filogovernativo”, in sintonia con la leadership del momento. Alemanno non battè ciglio. Il silenzio di Giorgia Meloni mi confermò che si può essere giovani all’anagrafe ma prudenti e tattici come Matusalemme. Da La Russa però mi aspettavo di più. Per carità , era stato esplicito nel suo dissenso. Ma, insomma, eravamo amici da trent’anni…».
Riscriverebbe la legge Bossi-Fini? Che effetto le fa vedere il suo nome affiancato a quello del fondatore della Lega?
«Sento molte inesattezze frutto di superficialità . Il reato di immigrazione clandestina fu introdotto nel 2009. La Bossi-Fini è del 2002. All’epoca innovò la Turco-Napolitano, conservando più di quello che tolse. Oggi può essere ammodernata, ma credo che l’impianto resti valido, a cominciare dal principio fondamentale: a parte gli studenti, ha diritto al permesso di soggiorno l’immigrato che lavora e ha un reddito».
Per Bossi nel libro lei ha parole quasi affettuose.
«La pensavamo diversamente su quasi tutto, ma mi era diventato simpatico. Mi faceva ragionamenti che duravano mezz’ora: partiva dalla guerra dei Trent’anni e arrivava a disegnare un futuro apocalittico; e guai a interromperlo. Un giorno gli chiesi perchè aveva fatto cadere Berlusconi nel ’94. Quella volta parlò per un’ora».
In sintesi, quale spiegazione diede?
«Che Berlusconi lo voleva fregare, ma non ci avrebbe più provato. Va detto che tra Bossi e Berlusconi c’era una sintonia umana fortissima, che andava ben oltre le cene del lunedì ad Arcore. Il populismo. La diffidenza verso lo Stato».
Lei però scrive che il Cavaliere aveva una malcelata ammirazione per i politici di professione.
«È così. In pubblico ci attaccava, ma in privato era attentissimo a quel che dicevamo Casini e io. Tra i suoi, a parte Gianni Letta e Confalonieri, i più ascoltati sono sempre stati Cicchitto e Pisanu. Berlusconi è un uomo molto intelligente: sa che la politica non si improvvisa».
Lei nomina la Santanchè una volta sola, per dire che si muove «nel disperato tentativo di farsi notare».
«Perchè, non è così? Vada a rivedersi le cose orribili che la signora Pitonessa diceva di Berlusconi, quando faceva la candidata premier di Storace. Io non ho mai usato la sua vita privata contro di lui. E avrei potuto farlo, ogni volta che i giornalisti stranieri mi sollecitavano».
Per Storace invece ha parole di simpatia.
«Rispetto il dissenso, quando è leale. Anche se in Israele io non definii il fascismo “il male assoluto”. Lo dissi a proposito della persecuzione degli ebrei, di cui il fascismo fu corresponsabile».
Perchè allora non chiarì questo punto?
«Perchè qualsiasi cosa avessi detto sarebbe stata interpretata come una retromarcia».
Come spiega la delusione elettorale del centro di Monti e il disastro di Futuro e Libertà ?
«Monti è stato un buon premier e un pessimo candidato premier. La nostra alleanza con lui è apparsa un’operazione di Palazzo. Di una sola cosa vado fiero: il rifiuto di candidarmi al Senato. Era mio dovere guidare le liste alla Camera, anche a rischio di non essere eletto».
C’è un futuro per il centro?
«Non credo. Dal Pd, guidato da due cattolici come Renzi e Letta, non vedo smottamenti in arrivo. E poi il bipolarismo ha messo radici nel Paese. Se c’è un terzo polo, è Grillo».
Com’è stata la sua vita in questi mesi? Quanto le manca la politica?
«La qualità della vita è migliorata. Ma quarant’anni di politica non si dimenticano. Non voglio smettere: la farò in modo diverso. Una stagione si è chiusa».
I colonnelli che vogliono rifondare la destra la verranno a cercare. Cosa risponderà ?
«Che darò un contributo di idee attraverso la mia nuova fondazione, “Liberadestra”. Dobbiamo ripartire dal programma, non dall’identità . In Italia, come abbiamo sperimentato, la “destra repubblicana” della legalità e della responsabilità è debole. Ma non dobbiamo smettere di pensare a come vogliamo l’Italia tra dieci anni. Dobbiamo offrire un progetto al Paese; che è stata poi la mia vera ambizione in tutto questo tempo».
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL LEADER GIUSEPPE PRETE: “RIDICOLO CAMBIARE NOME ALL’IMU, I SERVIZI SOCIALI VANNO GARANTITI”…”LA PRESSIONE FISCALE SULLE IMPRESE E’ QUASI AL 70%, COME SI PUO’ PENSARE DI CREARE LAVORO QUANDO ALL’ESTERO PAGANO IL 16%?”
Incontriamo il dott. Giuseppe Prete, presidente nazionale di Movimento Gente Onesta, ai margini di un convegno romano della sua organizzazione politica.
Presidente, molti sostengono che la legge di stabilità presentata dal Governo tenda più a stabilizzare l’esecutivo che a risolvere i problemi degli italiani: lei che ne pensa?
Voglio ricordare a tutti la data del il 29 maggio quando la la Commissione europea cancellò la procedura per deficit eccessivo avviata contro l’Italia nel 2009. La stampa lo definì “un successo italiano basato su sacrifici di famiglie, imprese e lavoratori”. Bruxelles ha chiesto al Governo Letta di proseguire sulla via del risanamento del bilancio e del rigore e di accelerare le riforme per aumentare la competitività economica. In realtà questo governo sta navigando “a vista” in una situazione di rapporti tra i due partititi maggiori che ne fanno parte estremamente precaria e fragile, talvolta ricattatoria. Si allungano i tempi delle scelte scomode per alcuni, si tende a non approvare riforme strutturali e manca totalmente la visione a lungo termine.Inoltre, oltre all’inerzia soggettiva di questo Governo, i margini di manovra dell’Italia sono ancora troppo ristretti. Quindi i sacrifici non sono finiti e saremo destinati a perdere ulteriori posti di lavoro ed ad avere altre tasse in arrivo. Questa fu la previsione che feci all’indomani della nascita del Governicchio, previsione puntualmente azzeccata. Le riforme, le leggi ed i regolamenti sono come il bisturi di un chirurgo: in mani capaci ed oneste risanano lo Stato, in caso contrario lo portano al fallimento. Questa legge di stabilità piace solo a Letta ed Alfano, non piace ai partiti della maggioranza di Governo, non piace ai sindacati, non piace soprattutto al cittadino. Piace poco pure agli industriali che peraltro si aspettavano di più. Il giudizio del direttivo di Mgo è totalmente negativo
Scendiamo più in dettaglio? Partiamo dal blocco contrattuale di milioni di statali. In tre anni è stato calcolato che i dipendenti pubblici hanno perso 3.000 euro lorde l’anno, mentre lo Stato ha risparmiato, in 5 anni, 11 miliardi di euro. E’ giusto o è un modo semplice di fare cassa?
Nulla di quello che fanno è giusto. Sono anni che ci tolgono soldi al solo scopo di far quadrare i buchi nei bilanci degli Enti, buchi da loro stessi provocati, ma di cui nessuno mai risponde
Passiamo alla casa, dall’IMU si passa alla TRISE che ingloba anche la tassazione precedente, ma il risparmio sul 2012 pare ridursi. Si può definire una riforma?
Riguardo all’IMU e successive tasse è bene fare una premessa. Lo Stato sociale necessita per la sua sopravvivenza di fondi che raccoglie tramite varie forme di tassazione. Gli italiani però subiscono una pressione fiscale esagerata cui non corrisponde una corretta gestione della spesa pubblica. Di tasse tipo IMU, per intenderci, avremo sempre bisogno, magari riducendole, ma saranno sempre necessarie. Ma se togliamo l’IMU dobbiamo rinunciare a dei servizi. Noi invece sosteniamo che invece di togliere l’IMU occorre andare a colpire, pesantemente, l’evasione, la mafia e lo sperpero del denaro pubblico.
Presidente, qua entra in campo la politica ?
Certo, dei due partiti maggiori di governo, il PDL ha fatto un suo cavallo di battaglia elettorale la soppressione dell’IMU ed il PD, sotto ricatto, pena la caduta immediata del Governo, ha accettato supinamente. E’ stata tolta IMU poi qualche tempo dopo hanno introdotto una nuova tassa che di fatto sostituisce l’IMU: cambiano inome, modalità , ma sempre tassa rimane. Ce ne siamo accorti tutti? Sicuramente no. Conosciamo la storia dell’ IMU? Penso di no.
Ce la vuole ricordare?
Guardi, nel 2011 Il Governo Berlusconi crea l’IMU, in sostituzione dell’ICI, e alla fine del 2011 ne vota l’immediata entrata in vigore. ma già nel 2012 Berlusconi sostiene che l’ IMU è un’ingiustizia e nella primavera del 2013 ne esige la cancellazione. E ora il governo Pd-Pdl cancella l’IMU e la sostituisce con il TRISE, una farsa.
In apparenza il TRISE (Tributo sui servizi comunali) sostituirà la TARES, cambia qualcosa?
Questo è quello che san fare, il Movimento Gente Onesta spera solo che questa gente vada a casa al più presto. Abbiamo studiato con i nostri consulenti coordinati dall’avv Crispo la manovra e abbiamo ribadito quello che sosteniamo da tempo: il governo doveva procedere con riforme strutturali per la crescita del Paese, mettere a punto una nuova legge elettorale, fissare agevolazioni reali per le imprese, vvolano di rilancio del lavoro e dell’occupazione. Dopo 5 mesi vissuti sulle vicende Berlusconi quello che han saputo fare è prendere in giro gli italiani inventandosi una riforma di stabilità che, più che stabilità per gli italiani regala tempo al questo governicchio. Al solito saranno gli italiani a rimetterci. Quando la politica non è capace di governare e litiga sempre, sono i cittadini a perdere soldi.
E l’Europa che farà ?
Siamo sotto pressione della UE e del Fondo Monetario Internazionale. Quest’ultimo, è una mia previsione, “inviterà ” l’Italia (e non solo noi) a trovare soluzioni alternative per battere cassa, addirittura suggerendo soluzioni per riportare il debito pubblico a margini di sicurezza ante – crisi. ( ad esempio con prelievi forzosi sui conti correnti bancari)
Convinciamoci tutti che è così. Vorrei tanto sapere Saccomanni quale verità volesse raccontare agli italiani. Se lo avesse fatto lo avrebbero fatto dimettere. Capito l’antifona?
Il governo demandando l’applicazione delle imposte ai Comuni (che potranno fissare le aliquote) pare giocare allo scarica barile: alla fine chi ci rimetterà ?
Non è proprio un vero e proprio scarica barile. Io sono convinto che il malessere parta dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni. Sono fortemente indebitate e lo Stato in questo particolare momento fa fatica ad intervenire. Anzi, il Governo ha talmente bisogno di liquidità che ha finito di inguaiare i comuni. Con questa concessione offrono la possibilità ai comuni di aumentare le imposte, fermo restando che quello che devono allo Stato è dovuto. A rimetterci sarà sempre il cittadino che si troverà aumenti di tasse. Il Governo fa finta di non creare nuove tasse, non le riduce, ma incarica i comuni di fare quadrare i conti con nuove imposte, questa volta comunali. Come dire, pagate più tasse? Colpa dei vostri Sindaci. Non è solo uno scarica barile, una presa in giro ad arte.
Passiamo al cuneo fiscale, ridotto a 5 miliardi in tre anni per lavoratori e imprese: si parla di 12-14 euro mensili in più in busta paga, meno di quanto ha inciso l’aumento dell’Iva dal primo di ottobre. Si doveva fare di più?
Ci rendiamo conto che stiamo parlando di elemosine, di un provvedimento irrilevante e inutile? Stiamo parlando di circa 200 euro l’anno lordi, proprio mentre stanno pensando di parificare l’iva al 7 o al 10% sui beni di consumo: pane, latte, alimenti vari, benzina…Questo è un Governicchio assolutamente inutile e con la presunzione di poter prendere in giro milioni di cittadini italiani. Ma non hanno ottenuto, non otterranno mai, l’effetto desiderato. Questi signori sono abituati a vivere da anni in palazzi di lusso e la vita da “cittadino” semplice l’hanno scordata. Ma stanno scherzando? Questi signori ci hanno fatto superare la soglia della pazienza
Anche il beneficio per le imprese sarà minimo, Confindustria è molto critica: risolverà qualche problema per le aziende che boccheggiano?
Su Confindustria ho tante critiche da fare proprio in merito alle tante discusse “posizioni favorevoli” sul ventennio berlusconiano. Oggi ne pagano, ne paghiamo tutti le conseguenze. Ne parlaremo in altre altre occasioni. Tornando al tema, Squinzi fa bene a preoccuparsi, fa bene a temere che una volta in aula il provvedimento possa subire delle modifiche peggiorative. Questo è quello che temiamo tutti. Con la Riforma Monti/Fornero, in merito all’ex art. 18 Confindustria ottenne un grandissimo risultato, poteva licenziare per giusta causa, senza però doversi domandare quale fosse la causa. Avevano pensato che con questo provvedimento si desse ossigeno alle imprese, illusi: calano i lavoratori, cala la produzione. Anche loro devono insistere sulla riduzione di imposte. Nè io, ne altri Partiti di minoranza abbiamo il potere di intervenire, mentre loro avrebbero dovuto farlo nell’interesse delle aziende e dei lavoratori. Pensassero ogni tanto a salvare il Paese e non solo se stessi.
Tutti parlano di puntare sullo sviluppo: di cosa ha necessità l’imprenditoria italiana per rilanciarsi?
Quella del fisco sulle imprese è la prima riforma da fare. Altrimenti non cambierà nulla, anzi, continueremo a perdere aziende che continueranno ad andare all’estero.
La burocrazia e il sistema bancario uccidono l’impresa?
Tutti pensano alla Banca come “mutua assistenza” e non pensano che il denaro che viene erogato per finanziamenti a privati ed imprese viene prelevato dai risparmiatori per poi essere restituito quando questi ultimi ne richiedessero la disponibilità . La causa di questa crisi non dipende solo dal sistema bancario (anch’esso in crisi), dipende sempre dalla situazione politica in generale.
A mente ricordo la recessione del 1993 e da allora non ho mai visto una ripresa, ho solo visto peggiorare sempre più l’economia delle famiglie ed ho visto che le imprese non riuscivano più a rientrare degli affidamenti concessi dalle banche. Infatti, partendo dal ’93 il contenzioso è sempre andato più in crescendo e le banche hanno dovuto fare degli interventi straordinari, prestandosi a loro volta il denaro, per restituirlo ai risparmiatori e per continuare a fare impresa.
Da allora si innescato un vortice finanziario per le imprese ad alto rischio, debiti, riduzione dei fatturati, licenziamenti, ecc.. Poi sono arrivati gli stranieri e hanno finito il resto.
Aggiungiamo che lo Stato ha delle grossissime responsabilità , non riesce a rimborsare quei 120 miliardi di euro. Gli italiani devono conoscere la verità , e non è quella detta da Grillo e altri politici che, per prendere voti, hanno attaccato il sistema bancario. Penso al Montepaschi e a quanta strumentalizzazione han fatto sul prestito erogato da Monti. Dissero che era una concessione di Stato, i fatti invece hanno dimostrato che, a distanza di meno di un. anno, la Banca senese abbia (o stia per farlo) rimborsato il prestito con un tasso di interesse alto. Prestiti (Tremonti-bond) che altre Banche, invece, utilizzarono per compensare perdite e finanziarie imprese e famiglie. Ovviamente quelle rimaste, perchè nel frattempo moltissime Aziende hanno chiuso e tantissime altre sono fuggite all’estero e non per responsabilità diretta degli istituti di credito, ma per pressioni fiscali troppo alte e non più sostenibili per le imprese stesse.
Parliamo di ben oltre il 70% di pressione fiscale sulle imprese, tra costo del lavoro e tasse varie. Non contento il Governo Monti introdusse la TARES e il Governicchio Letta le ha cambiato nome in TRISE accorpandone addirittura 3 in 1.
Canton Ticino ed Austria pare stiano facendo ponti d’oro alle aziende italiane disposte a trasferirsi…
Solo? Non dimentichiamo che la Romania, la Serbia, l’Albania, la Polonia, la Macedonia fanno parte della lunga fila di Stati che operano per portare sul loro territorio le nostre Aziende. Pensate che è nato anche un nuovo business: reclutare aziende, impacchettarle, e trasferirle all’estero. Con quali vantaggi? Tassazione netta al 16% per le Imprese Italiane che si trasferiscono all’estero, bassissimi costi sulla manodopera e agevolazioni fiscali concrete sulle assunzioni. Questo giustifica numericamente, con forti preoccupazioni per il futuro, l’aumento della disoccupazione. Feci in gennaio una previsione: scrissi che nel 2013, con il Governo Letta, il tasso di disoccupazione avrebbe avuto un incremento dell’ 1,5% (azzeccato per difetto, in realtà è più alto). Scrissi anche che nel 2014, se avessero continuato a far finta di governare nel 2013, ci sarebbe stato un ulteriore incremento del 2,4%. Spero di non azzeccare anche questa previsione.
Mgo sta ricevendo molti adesioni nel campo dei piccoli imprenditori, che battaglie porterete avanti per rappresentarli?
Ormai tutti han capito che lo Stato Italiano è nei guai fino al collo. La dimostrazione dell’altro giorno a Roma è inquietante: bombe carta sotto i Ministeri, banche attaccate, la gente in piazza che si sente abbandonata dalle istituzioni. Tutto questo è avvenuto dopo la tanto attesa riforma di (in)stabilità approvata. Credo che i nostri Imprenditori abbiano compreso che il problema del paese non siano i politici ma gli elettori. Per questo ci appoggiano, per riuscire a convincere il cittadino e perchè siamo un Movimento che parte dal basso, fatto da cittadini.
Meglio tardi che mai, presidente?
Spero non sia troppo tardi.
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
NON C’E’ PACE NEL PDL: DOPO LO STRAPPO DEI 24 SENATORI VICINI ALLE COLOMBE, ORA SONO I FALCHI A MINACCIARE LA SCISSIONE
“Di questi non mi fido più. Ma dobbiamo attendere il voto sulla decadenza. Li aspetto al varco, Alfano
e gli altri, voglio vedere se sono con me o contro di me”.
Più che una dichiarazione di guerra è una frenata. È l’estremo tentativo di tenere insieme un partito sul punto di esplodere.
Chiuso ad Arcore, Silvio Berlusconi invita alla “calma” tutti quelli che riescono a contattarlo.
È una doppia scissione quella che l’ex premier vede realizzarsi. E di fronte alla quale non trova “la via d’uscita”.
Perchè dopo settimane in cui ha ragionato sulla rottura delle colombe di Alfano in caso di sfiducia al governo, è arrivato pure l’ultimatum soft dei falchi: “Se ti riprendi il partito siamo con te — è il messaggio — e vogliamo stare con te ma se arrivati al dunque non decidi, noi rompiamo con questo governo. Non puoi chiederci si stare con Alfano”. Fitto&Co sono pronti. Anche su una legge di stabilità che considerano una “schifezza”. Perchè la convivenza con Alfano è diventata impossibile.
È avvolto da una nuvola di odio e sospetto la battaglia interna al Pdl. Con i nervi che saltano a ogni intervista.
Ecco il cortocircuito di giornata, il “ricatto” delle colombe: il ministro Quagliariello classifica Berlusconi alla voce “padre nobile”; la senatrice Bonfrisco lo accusa di essere un campione di tradimento.
E il gruppo di Alfano al Senato dirama un documento con 24 firme in calce per ribadire la fiducia al governo.
E per ricordare che, dal 2 ottobre in poi, c’è una maggioranza autosufficiente. Senza Berlusconi.
E’ un crescendo. Con Bondi che chiede ad Alfano e Schifani di dissociarci. E Cicchitto che evoca lo stalinismo.
È di fronte a questa “doppia scissione” che Berlusconi chiede tempo. Per portare il partito unito al voto sulla decadenza.
Tanto che ha rimandato il suo rientro a Roma, non avendo una soluzione. E ha rimandato pure un ufficio di presidenza che inizialmente aveva intenzione di convocare per il week end, con all’ordine del giorno il grande lancio di Forza Italia.
Il Cavaliere non si fida più di Angelino. Lo osserva con sospetto.
E da quando ne segue le mosse con occhio critico gli piace sempre meno. Ogni giorno il rapporto tra i due si arricchisce di nuovi veleni.
Gli ultimi sono contenuti in un report arrivato sulla scrivania del Capo sulle presenze televisive.
E dice che ormai nei tg e nelle trasmissioni Rai, a partire da Porta a Porta, Alfano ha militarizzato le ospitate.
Per dirne una: Fitto sarà a Porta a Porta giovedì, dopo una sfilata di Alfano boys, dalla Lorenzin alla De Girolamo, da Brunetta a Lupi. E pure sulle reti Mediaset il partito suggerisce gli uomini di Angelino.
È questo il clima. Ma Berlusconi ha ancora deciso. La pancia dice “rottura”.
Ne ha parlato più volte con Fitto, condividendo la sua analisi. Il problema si chiama “voto”: mentre i falchi considerano “politicamente” utile un ritorno all’opposizione, Berlusconi non è convinto.
Perchè è vero che nascerebbe un governo più debole di quello Prodi. Ma rischia di essere sufficiente a far male davvero a uno che sta per uscire dal Parlamento. E che ormai convive con l’incubo dell’arresto.
Eccolo quello che nell’inner circle chiamano “ricatto” delle colombe.
“Tempo”, allora. E’ la parola chiave, fino al voto sulla decadenza: “Voglio vedere come si comporta Alfano” ripete il Cavaliere ai suoi. Ai falchi, per rinviare la rottura. Alle colombe, per tastare la fedeltà (o l’infedeltà ). L’idea è di portarli uniti nel nuovo vecchio partito (Forza Italia) affidando ai nuovi organigrammi quell’unità che politicamente non c’è più.
Ma pure su quello una quadra non c’è. E pure su quello il Cavaliere prende tempo.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IN ITALIA FANNO FINTA DI CHIEDERE PIU’ EUROPA PER SALVARE I MIGRANTI, MA A BRUXELLES SI SONO OPPOSTI A DARE PIU’ POTERI A FRONTEX, L’AGENZIA DI SORVEGLIANZA DELLE FRONTIERE
Sotto la luce dei riflettori, l’Italia batte i pugni per chiedere che l’Europa si prenda carico della gestione dell’emergenza immigrazione nel Mediterraneo.
Peccato, però, che nel segreto delle stanze di Bruxelles sia stata proprio l’Italia a bocciare la proposta della Commissione europea di conferire a Frontex, la discussa agenzia Ue di sorveglianza alle frontiere, la competenza esclusiva per il coordinamento delle operazioni di localizzazione e salvataggio in mare (“search and rescue”) dei barconi dei migranti.
E’ quanto è successo nel corso dell’ultimo gruppo di lavoro del Consiglio Ue sulle frontiere.
L’Esecutivo di Bruxelles, sotto la spinta dei fatti di Lampedusa e degli appelli lanciati dal governo Letta, ha portato alla seduta una serie di proposte per riformare Frontex. Tra queste, per l’appunto, l’indicazione di una cabina di regia europea, gestita a livello centrale, per individuare le rotte dei barconi di migranti che partono dal Nord Africa e che interessano lo specchio di mare che va da Cipro alla Spagna.
Contro questa proposta si sono scagliati Grecia, Malta, Francia, Spagna e Italia, ossia i paesi più interessati dalle rotte.
Come mai? A Bruxelles in pochi hanno dubbi: sulle politiche di lotta all’immigrazione clandestina ogni Stato vuole avere le mani libere e non essere soggetto a normative europee.
Finora, infatti, i paesi europei hanno potuto scegliere le proprie strategie con la massima libertà , con l’unico faro di riferimento internazionale che è dato da convenzioni come quella di Ginevra.
Convenzioni che è difficile fare rispettare.
Diverso il discorso se da domani dovesse intervenire l’Europa, con il doppio controllo di Commissione e Corte Ue.
Basti ricordare quanto successe col governo Berlusconi con i respingimenti in mare: la commissaria Malmstrom ne chiese pubblicamente lo stop, ma non potè far nulla per mancanza di poteri in merito da parte dell’Esecutivo.
Poteri che ora proprio la Malmstrom rivendica, facendo seguito (ironia del caso) alla richiesta dell’Italia di un maggiore impegno Ue sul fronte immigrazione
La vicenda, che per ora è rimasta nei sotterranei del dibattito politico, non è stata vissuta bene da governo e Pd.
La delegazione democratica all’interno del Parlamento europeo, infatti, aveva contattato il governo per chiedere di non votare contro la proposta della Commissione. Anche il ministro Kyenge ha mostrato un certo imbarazzo, limitandosi a dire che si tratta di “una questione delicata, riguardante le nuove linee guida di Frontex, di cui si sta occupando il ministero dell’Interno”.
In sostanza, la palla è in mano ad Alfano. Che, a quanto dicono a Bruxelles, ha inviato un messaggio chiaro all’Ue: i poteri in materia di controllo delle frontiere devono restare di competenza esclusiva dell’Italia.
Lo stesso Alfano che pochi giorni fa aveva dichiarato: “Noi abbiamo un sistema che si chiama Frontex, che è un sistema di protezione delle frontiere. Noi vogliamo vedere gli aerei e le navi che proteggono quella frontiera e lo vogliamo fare perchè pensiamo che questo sia il modo migliore per evitare i morti, altrimenti noi faremo sempre degli inutili pianti sulle bare senza riuscire a fare nulla di concreto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
MA I TENTATIVI DI METTERE IN VENDITA GLI IMMOBILI PUBBLICI FINORA HA FATTO FLOP
Nel centro del centro di Roma c’era una volta un ospedale. San Giacomo, si chiamava. Finchè un bel
giorno il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, decise di chiuderlo. Apriti cielo!
Chi protestava che il centro storico della Capitale veniva privato del pronto soccorso.
Chi sosteneva che si voleva infliggere un colpo mortale alla sanità pubblica.
Chi sospettava una manovra per favorire la speculazione edilizia…
Risultato: che da cinque anni il San Giacomo, uno stabile enorme fra via di Ripetta e via del Corso, è vuoto.
E Dio solo sa quanto costa alla Regione per evitare che cada a pezzi.
Perchè un tale patrimonio non viene riutilizzato? Vi spiegheranno che la faccenda è complicata.
L’immobile è vincolato e poi c’è la questione sollevata da Olivia Salviati, discendente del cardinale Antonio Maria Salviati che al tempo lo regalò allo Stato pontificio: sostiene che fu donato esplicitamente per usi benefici e non può essere impiegato che per quelli. Insomma, se qualcuno ha pensato di trasformarlo in uffici, o peggio ancora di metterci un albergo, se lo può scordare.
Anche se in questi frangenti far risparmiare qualche euro alla collettività , diciamo la verità , può ben essere considerata un’opera benefica.
E pazienza se l’ultimo Papa Re è sceso dal trono un secolo e mezzo fa e l’ospedale è finito in proprietà prima al Regno d’Italia e successivamente alla Regione Lazio.
Il fatto è che per cinque lunghi anni nessuno si è occupato di risolvere la faccenda.
Quale sia il motivo, se le inerzie burocratiche o altro, poco importa. La storia del San Giacomo spiega bene quanto sia complicato in Italia gestire l’immenso patrimonio pubblico senza rimetterci l’osso del collo.
Alla fine degli anni Novanta una commissione guidata dall’ex ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese lo valutò in una somma equivalente a oltre 700 miliardi di euro attuali.
Stime successive hanno calcolato per i beni pubblici effettivamente cedibili un valore compreso fra 300 e 400 miliardi. Eppure, mentre la rendita di un patrimonio tanto imponente è inesistente, lo Stato e le amministrazioni pubbliche locali spendono 12 miliardi l’anno per affittare locali dai privati.
Un’analisi svolta dal gruppo di lavoro di Pietro Giarda ha appurato che soltanto la polizia e i carabinieri sopportano per canoni passivi un esborso superiore a 600 milioni l’anno
Ecco perchè, dopo averle pensate tutte, il ministero dell’Economia si è risolto a giocare l’ultima carta, quella del fondo dei fondi.
Qualche mese fa ha costituito una Sgr, Società di gestione del risparmio, battezzata Invimit, e l’ha affidata all’ex direttrice dell’Agenzia del Demanio Elisabetta Spitz con il ruolo di amministratore delegato, affiancata da una vecchia conoscenza del ministero con l’incarico di presidente: Vincenzo Fortunato, per dodici anni consecutivi capo di gabinetto del Tesoro di Giulio Tremonti, Domenico Siniscalco, Mario Monti e Vittorio Grilli con un breve intermezzo biennale alle Infrastrutture di Antonio Di Pietro
Obiettivo, far risparmiare un po’ di soldi ai contribuenti e magari dare un colpettino al nostro immenso debito pubblico.
In che modo? Gestendo direttamente, o anche attraverso altre Sgr (magari private) una serie di fondi immobiliari nei quali lo Stato, o magari le Regioni e gli enti locali, riversano pezzi del loro patrimonio perchè venga o valorizzato oppure ceduto.
Un esempio? Le scuole.
Ce ne sono tante non più utilizzate mentre mancano i soldi per riparare il tetto o mettere a norma gli impianti delle altre o costruirne di nuove e più moderne.
La Provincia X potrebbe allora costituire un fondo immobiliare al quale apportare tutti gli edifici scolastici: quelli non più usati verrebbero riconvertiti, affittati ai privati come uffici o venduti, e con il ricavato si realizzerebbero strutture nuove.
Tutto semplice, sulla carta: salvo poi fare i conti con la solita burocrazia (permessi, cambiamenti di destinazione d’uso…) quando non con le resistenze locali. Scontate.
Il piano d’azione della Invimit, che ha avuto dieci giorni fa il benestare della Banca d’Italia, prevede soprattutto, che la Sgr, oltre a gestire direttamente questi fondi, possa trovare sul mercato soggetti privati disponibili a investirvi.
E per soggetti privati s’intende non soltanto italiani. Il piano cita espressamente le casse di previdenza private, le compagnie di assicurazioni ma anche gli investitori finanziari esteri.
Le dimensioni cui pensano i responsabili dell’operazione lo giustificherebbero. Lo stesso piano prevede infatti che entro il 2017 i fondi collegati alla Invimit arrivino a contenere immobili pubblici per un controvalore di 6 miliardi e 100 milioni di euro.
Quattro miliardi riguarderanno i cosiddetti fondi diretti, ai quali parteciperanno conferendo i propri immobili Inps, la Regione Lazio, l’Unioncamere e l’Inail.
La partecipazione di quest’ultimo ente, però, non si limiterà ai mattoni. Siccome per partire serviranno delle risorse liquide, a queste si provvederà proprio attingendo al tesoretto dell’Inail, che ci metterà qualcosa come un miliardo e 800 milioni.
Il primo di questi «fondi diretti» avrà dentro immobili dell’Inps per 1,9 miliardi.
Poi toccherà alla Regione Lazio apportare beni per 800 milioni. L’ente governato ora da Nicola Zingaretti ha un patrimonio sterminato.
Dell’ex ospedale San Giacomo si è già detto: ma non è l’unico.
C’è l’ex nosocomio Santa Maria della Pietà a Monte Mario, come pure l’ex Forlanini. E ci sono poi altri immobili in zone prestigiose, quali il palazzo di via Maria Adelaide occupato dalla associazione Action dell’ex pugile Andrea Alzetta detto «Tarzan» (valore, 28 milioni di euro) o lo stabile in via della Mercede, a due passi dalla Camera dei Deputati, che ospita il teatro Sala Umberto
Ancora. Fra il 2016 e il 2017 toccherà al patrimonio Inail: 1,4 miliardi. L’elenco degli immobili di pregio nel portafoglio dell’istituto è lunghissimo, a cominciare da un grande palazzo che affaccia su piazza Cavour, a Roma.
Ci sono poi i cosiddetti Fondi dei fondi, per un totale di 1,8 miliardi.
Come appunto il Fondo scuole, cui abbiamo già accennato, per il quale sono stati già individuati dei complessi a Bologna e Firenze.
E come il Fondo carceri, nel quale confluiranno inizialmente le case circondariali di Venezia e di Catania. Oppure il Fondo Beni pubblica amministrazione che conterrà stabili demaniali da destinare a uffici pubblici.
E a questo punto è d’obbligo dare risposta a una domanda: che cosa ci guadagnerà in concreto lo Stato?
Si è parlato di una riduzione del debito pubblico conseguente alle cessioni. Il destino di molti immobili contenuti in quei fondi, come per esempio le carceri senza detenuti o le caserme senza soldati, saranno vendute e il ricavato dovrà abbattere il debito pubblico. Difficile valutare ora il reale impatto di tale capitolo, come non è semplice calcolare di quanto questa iniziativa potrà alleggerire il deficit pubblico.
Ma fra gli obiettivi c’è anche questo.
Aumentare la redditività del patrimonio di un ente previdenziale, per fare un esempio, avrebbe come conseguenza la corrispondente riduzione dei trasferimenti pubblici.
Così come trasferire un ufficio pubblico da un immobile di proprietà privata a un palazzo demaniale farà risparmiare la spesa dell’affitto.
Senza poi considerare gli effetti sui costi di manutenzione e delle utenze della riduzione del numero dei contratti di fornitura, già sperimentati recentemente al Consiglio nazionale delle ricerche dove si sono ottenuti risparmi considerevoli.
Ma a guadagnarci saranno anche i privati.
Un simile affare prevede non soltanto l’acquisizione di quote di questi fondi da parte di investitori italiani ed esteri, e l’affidamento della loro gestione tramite gara a Sgr terze, ma pure il coinvolgimento di professionisti del ramo immobiliare.
Staremo a vedere se le previsioni contenute nel piano saranno rispettate.
Possiamo solo sperare che questa iniziativa segni un effettivo cambiamento di rotta nella gestione del patrimonio pubblico. E che alla parola «valorizzazione» seguano i fatti. Perchè non si può dire che i tentativi di mettere a frutto gli immobili pubblici abbiano dato finora risultati particolarmente lusinghieri.
Basta pensare al fallimento di operazioni come Patrimonio spa, la società creata dieci anni fa dal Tesoro e affidata a Massimo Ponzellini con la missione di privatizzare le vecchie carceri.
Oppure come Metropolis, ideata più di vent’anni fa per valorizzare e cedere gli immobili delle Ferrovie dello Stato.
O ripercorrere la storia delle cartolarizzazioni, che avrebbero dovuto contribuire alla sostanziosa riduzione del debito pubblico, attirandosi invece giudizi ingenerosi della Corte dei conti.
Per non parlare della sabbia che gli interessi particolari hanno sempre gettato negli ingranaggi ogni volta che c’era in ballo qualche operazione virtuosa sul patrimonio pubblico: fossero le caserme, gli ospedali o perfino i terreni agricoli.
Che serva di lezione.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
MONTI LO AVEVA PROMESSO, LETTA CI RIPROVA: UN SOLO SCALO PER REGIONE… MA GOVERNATORI E SINDACI DIFENDONO PISTE CON POCHI VOLI E 1,3 MILIARDI DI ROSSO, PAGATI DA NOI
Un miliardo e trecento milioni di debiti complessivi. Cento milioni di perdite ogni anno.
Benvenuti nell’Italia dei piccoli, inutili e dannosi aeroporti, di cui è costellata la Penisola.
Se le società di gestione degli fossero delle aziende private, molte avrebbero già dovuto portare i libri in tribunale. E invece questo non accade. I piccoli scali resistono, pagati da noi.
Perchè nella grandissima parte dei casi hanno una compagine sociale composta prevalentemente da enti pubblici, che puntualmente ogni anno ripianano le perdite frutto di gestioni a dir poco fallimentari. Comuni, province e regioni che per grotteschi e campanilistici calcoli politici da anni preferiscono buttar via centinaia di milioni, piuttosto che chiudere l’aeroporto “sotto casa”.
La Calabria fa poker
Il caso più eclatante è senza dubbio quello calabrese.
La regione ha ben tre aeroporti e all’orizzonte potrebbe materializzarsi pure un quarto scalo.
Questo mentre due dei tre aeroporti attivi stanno attraversando una crisi pesantissima, accentuata da compagnie che stanno riducendo la propria operatività a favore di territori più appetibili.
Questo è successo all’aeroporto di Lamezia Terme.
Che ai problemi di bilancio — assommano a poco meno di 4 milioni le perdite nel biennio 2011-2012 — ha visto aggiungersi negli ultimi due anni la fuga di importanti compagnie low cost, che garantivano un servizio indispensabile per le rotte nazionali con Roma Fiumicino, come Easy Jet e Blu Express: nel 2012 Easy Jet ha soppresso il volo da e per Roma, la stessa cosa ha fatto quest’anno anche la compagnia Blu Express.
Una situazione questa, che, unita all’arresto, avvenuto lo scorso luglio, di Gianpaolo Bevilacqua — vicepresidente della società di gestione dello scalo — con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ha indotto il Sindaco di Lamezia, Giovanni Speranza, a ritirare il proprio rappresentante ed a chiedere l’azzeramento del Cda.
La crisi dell’aeroporto di Lamezia non è però nemmeno paragonabile a quella dello scalo di Crotone, che da questa estate non vede atterrare o decollare alcun volo. Questo per due ordini di ragioni: perchè Alitalia, a dicembre del 2012, ha abbandonato lo scalo a causa dell’esiguità dei passeggeri e perchè le rotte Ryanair per Ciampino, Pisa e Orio al Serio non sono mai state attivate.
In Calabria c’è però chi pensa che tre aeroporti non siano sufficienti.
E così si sono infittite negli ultimi mesi le voci secondo cui la Regione sarebbe pronta a mettere sul piatto una bella manciata di milioni di euro per un nuovo aeroporto . D’altra parte Scopelliti, in campagna elettorale, era stato chiaro: «Sono dell’avviso che la Calabria ha grandi potenzialità turistiche e per questo motivo […] dobbiamo destagionalizzare il turismo […] anche attraverso l’istituzione di un nuovo aeroporto come quello della sibaritide».
A Rimini il Pd precipita
Va detto che sovente, in lungo ed in largo per l’Italia, sulle gestioni disastrose degli scali giunge la mannaia della magistratura.
Questo purtroppo accade quando ormai è troppo tardi, le voragini sono esplose e fatti giudizialmente rilavanti sono stati compiuti.
Come dimostra il caso, deflagrato nelle ultime settimane, relativo alla società di gestione a netta maggioranza pubblica dell’aeroporto di Rimini. Giunta ad avere un indebitamento pari a 43 milioni di euro, dopo aver inanellato cospicue perdite — 35 milioni di euro solo negli ultimi tre esercizi — la società , a cui potrebbe essere addirittura negato definitivamente il concordato, è finita nel mirino della magistratura. Che, proprio negli scorsi giorni, ha sottoposto ad inchiesta per falso in bilancio e concorso in violazione della legge fallimentare anche due amministratori di punta del Pd emiliano-romagnolo: Andrea Gnassi e Stefano Vitali, rispettivamente Sindaco di Rimini e Presidente della medesima provincia. Ma i casi simili a quello di Rimini non mancano.
Siena, altri guai a sinistra
Basti pensare a Siena, altra terra in solide mani democratiche, dove il sogno inseguito per anni da miopi amministratori locali di avere uno scalo con almeno 100 mila passeggeri, costato nel periodo 2010-2012, ben 10 milioni di euro di perdite, si è definitivamente interrotto con la messa in liquidazione della società di gestione.
I cui vertici andranno peraltro a processo il prossimo 24 ottobre, con l’accusa di aver pilotato la gara per la concessione delle quote di maggioranza della società Aeroporto di Siena.
Il vincitore, il Fondo di investimento Galaxy, partecipato al 40% dalla Cassa depositi e prestiti, sarebbe infatti stato deciso a tavolino.
Nella vicenda spiccano, tra gli altri, i nomi di Giuseppe Mussari, al tempo presidente dei Monte dei Paschi di Siena (azionista dell’aeroporto) e di Marco Parlangeli, attuale direttore generale della Fondazione Monte de’ Paschi di Siena, accusati entrambi di falso ideologico in concorso e turbativa d’asta assieme ad altre sei persone.
Se dalla Toscana ci si sposta in Lazio, il quadro fatto di risorse pubbliche malamente utilizzate non muta.
Frosinone, i pm in pista
Perchè in tal senso un’altra storia illuminante è quella dell’aeroporto di Frosinone. Sul cui iter progettuale la Procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta proprio poche settimane fa. L’obiettivo è di fare luce sulle modalità con cui sono stati spesi soldi pubblici — si parla di almeno tre milioni di euro — senza che sia stato neppure posato il primo mattone dell’aeroporto.
L’infrastruttura quasi certamente non vedrà mai la luce, visto che nei giorni scorsi la Provincia di Frosinone, socio di maggioranza della società aeroportuale, ha deciso di presentare alla prossima riunione del CdA la propria richiesta di iniziare le procedure di liquidazione della società stessa.
Parma, stritolato dai vicini
Stessa sorte potrebbe toccare all’aeroporto di Parma, altro velleitario progetto mai decollato coerentemente con le ambizioni di amministratori e imprenditori locali di farne un punto di riferimento per rotte nazionali ed internazionali.
Che invece hanno scelto, come era ampiamente prevedibile, le vicine Milano e Bologna.
Anche nel caso dell’aeroporto di Parma, i costi dell’operazione sono stati altissimi. Ammontato infatti a circa 40 milioni le perdite accumulate negli ultimi 10 anni e la ricerca, in atto da tempo, di nuovi investitori appare quanto mai complicata.
Salerno, ottomila passeggeri
Irta di difficoltà è pure la strada per “rianimare” l’aeroporto di Salerno, privo di voli da un anno.
L’aeroporto che nel periodo 2010-2012 ha totalizzato poco meno di 9 milioni di euro di perdite, è costato, dal 2007 — anno della sua inaugurazione — ad oggi, qualcosa come 100 milioni di euro.
Che a ben poco sono serviti se i passeggeri dello scalo sono stati l’anno scorso un numero decisamente esiguo: 8797!
L’appeal della struttura potrebbe però crescere se venissero realizzati gli investimenti necessari, a partire dall’allungamento della pista, per vocare l’aeroporto ad una specializzazione su voli low cost e cargo.
Ma per realizzare tali investimenti sarebbero necessari altri 80-90 milioni euro, che però, qualora il percorso di privatizzazione in atto vada a buon fine, sarebbero a carico del nuovo gestore.
Dal profondo Sud all’estremo Nord, la musica non cambia.
Bolzano, addio a 70 milioni
Perchè il miraggio, inseguito per oltre un decennio dalla ricca Provincia Autonoma di Bolzano, di avere un aeroporto che collegasse il capoluogo altoatesino con il resto del mondo è costato fino a oggi quasi 70 milioni di euro.
Una cifra enorme, spesa per un aeroporto che, all’apice del suo “successo”, ha assorbito appena lo 0,036 per cento del traffico passeggeri in Italia.
Eppure Luis Durnwalder, potente presidente altoatesino, non ha mai badato a spese per quello che viene definito il suo giocattolo preferito.
Come quando si è trattato, nel 2010, di rifare ed ampliare, per il costo abnorme pari a 6 milioni di euro, il terminal. Rimasto peraltro completamente inutilizzato per quasi un anno e mezzo a seguito del fallimento del vettore austriaco Air Alps e fino al momento in cui sono ripresi i voli per Roma — unica tratta disponibile — con una nuova compagnia.
Intanto, in questo quadro tutt’altro che tranquillizzante, i tempi di elaborazione del piano di riordino delle infrastrutture aeroportuali si sono allungati.
La tabella di marcia annunciata dal ministro Lupi lo scorso 7 agosto in commissione Lavori pubblici al Senato prevedeva infatti che entro la fine di settembre dovesse «essere presentato un piano nazionale degli aeroporti».
Piano che, stando a quanto ha appurato il Fatto, prevederebbe la chiusura dei rubinetti di fondi pubblici per gli aeroporti che non dovessero rientrare dal deficit entro 3-5 anni.
Ma soprattutto la focalizzazione di politiche e risorse su un solo aeroporto per ogni regione. Se ciò accadrà , c’è da scommetterci, tra governo e autonomie locali sarà davvero guerra.
Alberto Crepaldi e Danilo Procaccianti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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