Ottobre 28th, 2013 Riccardo Fucile
OPERAZIONE DI MARKETING PER UN NUOVO QUALUNQUISTA SOLO AL COMANDO… E A SINISTRA SI APRIRANNO AMPI SPAZI
Ma Renzi è di sinistra o di destra?
Anzi, meglio, l’Italia che vuole Renzi è un’Italia di sinistra o di destra?
Una cosa è certa, lui dice di essere di sinistra.
Che significa?
Per Renzi essere di sinistra vuol dire cambiare: “La sinistra che non cambia si chiama destra”.
Grande riflessione.
E a sinistra si sente quando si circonda di imprenditori a cui chiede di impegnarsi: “Essere di sinistra non è parlare di lavoro ma è creare un posto di lavoro in più”, ergo: “Chi fa l’imprenditore fa l’eroe perchè crea posti di lavoro”.
Ed è di sinistra, ovviamente, il ricambio generazionale.
Così come lo è fare “l’uomo solo al comando”: “Leadership non è una parolaccia, ditelo a certa sinistra, è sapere che non sei indispensabile ma che personalmente ci vuoi provare”.
Il rottamatore alla Leopolda lancia il suo manifesto con profonde analisi.
L’Italia? “Ha bisogno di una rivoluzione della semplicità , togliere la logica del timbro”.
Il Pd? “Non è credibile se è un insieme di correnti. La prima corrente rottamata sarà la corrente dei renziani, non ci sono correnti con i cognomi” (infatti l’ha creata pure lui, ma quando vincerà gli altri dovranno sciogliere le loro)
Invoca lo spirito della Leopolda in camicia bianca.
Le sue parole tuonano amplificate da un microfono vintage stile Rai anni ruggenti.
E risponde alle polemiche di Cuperlo e del Partito sull’assenza del simbolo del Pd. “C’è questa questione del perchè non ci sono bandiere del Pd, una sorta di coperta di Linus: il problema non è quello è che non ci sono le croci sulla scheda”.
Certo, non contano idee e simboli, contano solo i voti.
L’ego è soddisfatto, l’Italia ha un nuovo pallista in arrivo.
E a sinistra si apriranno, piu’ che spazi, voragini.
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Ottobre 28th, 2013 Riccardo Fucile
PER TORNARE A FORZA ITALIA SERVE IL 67% DEI CONSENSI IN CONSIGLIO NAZIONALE… SE ALFANO RIESCE AD ARRIVARE AL 34% BLOCCA L’OPERAZIONE E SI TIENE IL PDL
Il giorno dopo è giorno di battaglia. 
Non sono in corso mediazioni nel Pdl che si avvia a tornare Forza Italia, ma conte e feroci contrapposizioni tra lealisti e governativi
La posizione fermissima di Silvio Berlusconi non fa presagire sviluppi positivi verso quell’unità del partito pure da lui auspicata ancora venerdì sera.
Perchè la sua richiesta resta, ma non a tutti i costi.
Raccontano che l’ex premier – che al termine dell’ufficio di presidenza che ha votato la proposta di passaggio a Forza Italia da sottoporre al consiglio nazionale ha brindato con i lealisti e i falchi, elencando i «24 motivi» o più probabilmente delibere tecniche per le quali «non si possono contemporaneamente mantenere le cariche di ministro, vice premier e segretario» – non ha cambiato idea.
«Ho fatto la cosa giusta, non mi pento di nulla. Dovevo riprendere in mano il partito e l’ho fatto, e adesso chi ci sta ci sta, non mi importa più nulla», i concetti ripetuti ai fedelissimi che l’hanno chiamato ieri.
Ai quali ha anche ribadito la sua visione sul governo: «Sono tante le cose che non mi piacciono: o si cambia rotta, o non possiamo andare avanti». Il che vale sia sui temi economici e la legge di Stabilità che, soprattutto, su giustizia e decadenza, il nodo dei nodi che tutto condiziona.
Parole già dette nei giorni e nelle settimane scorse, ma che hanno un altro peso oggi, con Berlusconi di nuovo alla guida solitaria del suo partito e con gli innovatori di Alfano marginalizzati e costretti a battersi con i lealisti in una corsa all’ultima firma verso un consiglio nazionale che a questo punto i berlusconiani, e forse lo stesso Cavaliere, vorrebbero accelerare e di molto: «Altro che un mese e mezzo, si farà prestissimo», giurano.
È dunque in corso, frenetica, la conta dei numeri di chi sta con chi, nel cn come in Parlamento. Con un’offensiva potente dei berlusconiani, che con Fitto in Puglia, Gelmini in Lombardia, Carfagna in Campania, Bernini in Emilia, Verdini in Toscana (in Sicilia e in Calabria con Scopelliti la maggioranza è invece di Alfano) e tanti altri al lavoro ovunque mirano a ottenere le oltre 600 firme necessarie per affrontare anche la «sfida dei due terzi».
Sì perchè, sostengono i governativi con Cicchitto e non solo, per sancire il passaggio a Forza Italia serviranno il 67% dei consensi nel cn, e quel 34% che potrebbe impedirlo «è ampiamente alla nostra portata».
Previsioni opposte quelle dei lealisti, sicuri di superare la soglia anche se «non ce ne sarebbe alcun bisogno, perchè per ratificare il passaggio basta votare il documento politico uscito dall’ufficio di presidenza con la maggioranza semplice».
Schermaglie che testimoniano come la guerra sia tutta in corso e il tentativo di riavvicinare le posizioni operato da Gasparri (in nome di un partito che non sia «fatto di marziani»), Romani, Matteoli, anche Caldoro, sia disperato.
Schermaglie che nascondono il vero senso dell’operazione: la battaglia per il simbolo del Pdl, che gli alfaniani potrebbero contendere a Berlusconi se riuscissero a inchiodarlo sotto la maggioranza dei due terzi.
Ma se l’obiettivo è questo, è chiaro che la rottura è già nei fatti.
E d’altra parte, almeno in una parte dei governativi, i toni sono chiarissimi: Gaetano Quagliariello tocca il vero punto quando dice che, lui come gli altri ministri, si impegnerà a fondo per evitare la decadenza di Berlusconi, ma se arrivasse «non potrebbe essere il Paese a pagare con la caduta del governo».
Ed è invece questa disponibilità che Berlusconi pretende dai suoi, che decida di staccare la spina o no. Una disponibilità che sarebbe l’unica carta che Alfano potrebbe spendere per rientrare nei giochi di partito, e riguadagnarsi faticosamente un ruolo oggi perduto, anche per lo «sgarbo», mal digerito dall’ex premier, dell’assenza all’ufficio di presidenza.
È dunque Alfano in queste ore nella posizione più difficile, al bivio tra l’accelerazione verso la rottura per continuare a sostenere il governo o il ritorno alla casa del padre alle condizioni, però, di un padre arrabbiato.
Decisione delicata, travaglio reale, che ha a che fare oltre che con i sentimenti con i numeri: serve un gruppo (soprattutto al Senato) compatto e numeroso per rompere e navigare in mare aperto, e l’attacco berlusconiano per la riconquista degli indecisi è in atto.
Con tempi che si fanno sempre più stretti.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 28th, 2013 Riccardo Fucile
PESSIMA QUALITA’ DELLA VITA E ANALFABETI: AL PARI CON PAESI DEL TERZO NELLE CLASSIFICHE… CI SI AFFIDA ALL’ARTE DI ARRANGIARSI
La politica è da buttare, l’economia va male, il lavoro non c’è, la fiducia neppure.
Che brutta Italia, proprio “un paese dei cachi”.
Vabbeh!, ma vuoi mettere la qualità della vita? Attenzione a non farci illusioni: manco quella abbiamo, se diamo credito a statistiche e classifiche, che saranno pure stilate da qualche noioso e pignolo burocrate nordico o asiatico delle organizzazioni internazionali, ma spesso ci azzeccano.
Non ci resta che consolarci con le giornate di sole che — complice la geografia — sono più numerose che altrove.
Ma poi scopriamo che la grigia Germania ha molto più fotovoltaico di noi e ci viene la depressione.
Se già vi sentite un po’ giù, non inoltratevi in questo viaggio nelle magagne italiche.
Se, invece, amate cullarvi nelle vostre malinconie, questa lettura v’è consigliata: preparatevi a indossare la Maglia Nera, percorrendo un’antologia di dati tutti recenti — e tutti, ahimè, negativi -, senza andare a scartabellare troppo indietro negli archivi.
Trasparenza e Corruzion
L’indice della corruzione di Transparency International ci vede circa a metà del gruppo di 174 Paesi censiti, al 72° posto, sempre in fondo al plotone dell’Ue con Grecia e Bulgaria e con un voto ben lontano dalla sufficienza e lontanissimo dai Paesi leader, Danimarca, Finlandia e una sorprendente, ma costante, Nuova Zelanda.
Forse le cose stanno per migliorare, perchè, sempre secondo Transparency International, l’Italia è fra i Paesi che meglio applicano la Convenzione dell’Ocse contro la corruzione — ma i risultati, finora, non si vedono.
Fondi e infrazioni
Nell’Unione europea, siamo, con Bulgaria e Romania, Paesi, però, da poco arrivati, quelli con minore capacità di spesa dei fondi a noi destinati: del pacchetto per la coesione, settennale, abbiamo utilizzato, adesso che s’avvicina la fine del periodo, il 31 dicembre, solo il 40% del totale.
Ci lamentiamo che dall’Ue arrivano pochi soldi, ma riusciamo a spendere solo due euro su cinque.
Procedure di infrazione
In compenso, ne sprechiamo un sacco a pagare multe per il mancato recepimento delle direttive o per le infrazioni alle stesse: siamo i campioni incontrastati su questo fronte. Eravamo appena scesi sotto quota cento infrazioni, a 99, a fine 2012, ma siamo rapidamente tornati sopra collezionando più nuove procedure di quante non riusciamo a chiuderne di vecchie. Ambiente e rifiuti sono le voci dove siamo messi peggio.
Leggere e fare i conti
Per l’Ocse, gli italiani, con gli spagnoli, sono i cittadini che meno sanno leggere e far di conto — lo studio è stato condotto in 24 Paesi: giapponesi e finlandesi guidano l’elenco (e i cechi sono bravi in aritmetica). Per la serie mal comune mezzo danno, gli americani non ne escono molto meglio di noi.
Abbandono della scuola
Vanno a braccetto con le cifre dell’Ocse quelle di Eurostat: l’Italia non tiene il passo dell’Unione nella battaglia contro l’abbandono scolastico: 17,6% contro una media Ue del 12,8% — l’obiettivo è il 10%. Mentre i giovani in possesso di qualifiche di istruzione superiore sono il 21,7% — media Ue 35,8%, obiettivo 40%.
I ritardi di Interne
Anche per l’accesso a internet, l’Italia è lontana dalla media Ue: il 43% delle famiglie non ha una connessione, contro una media del 32%. Peggio di noi Bulgaria, Romania e Grecia, mentre in Svezia solo il 7% delle famiglie non ha Internet. Gli italiani, complice la carenza, rispetto alla media Ue, della banda larga, sono anche fra i più reticenti a fare acquisti online e ad utilizzare i servizi di e-government: appena il 22% vi ricorre (in Danimarca, l’80%), in parte perchè il loro funzionamento è il peggiore nell’Unione — Romania a parte.
Qualità della vita
Un recente rapporto della Commissione europea indica che le città italiane non reggono il confronto con le migliori europee: fra i 79 centri urbani del campione prescelto, ci sono Bologna, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Verona, la migliore, che si piazza 18a, mentre in cima alla classifica stanno Aalborg, in Danimarca, Amburgo, Zurigo e Oslo.
Settore per settore, Roma, Napoli e Palermo sono le ultime della classe per i trasporti pubblici e l’efficienza amministrativa, Roma è la peggiore per i servizi scolastici, Palermo la più sporca. L’unica altra metropoli europea che fa loro persistente compagnia sul fondo classifica è Atene.
Libertà di Stampa
Freedom House la misura ogni anno, con un doppio indicatore, numerico da 1 a 100, e qualitativo, stampa libera, semi-libera, non libera: l’Italia con 33 punti, è 73a su 187 Paesi al Mondo, ma è soprattutto l’unico Paese senza libera stampa dell’Europa cosiddetta occidentale, con la Turchia. I criteri della classifica sono discutibili, ma trovarci in testa Finlandia, Svezia e Norvegia non sorprende, così come trovarci in fondo la Corea del Nord, l’Eritrea e vari Paesi dell’ex Urss.
Giampiero Gramaglia
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