LEALISTI E GOVERNATIVI: VIA ALLA CONTA FINALE
PER TORNARE A FORZA ITALIA SERVE IL 67% DEI CONSENSI IN CONSIGLIO NAZIONALE… SE ALFANO RIESCE AD ARRIVARE AL 34% BLOCCA L’OPERAZIONE E SI TIENE IL PDL
Il giorno dopo è giorno di battaglia.
Non sono in corso mediazioni nel Pdl che si avvia a tornare Forza Italia, ma conte e feroci contrapposizioni tra lealisti e governativi
La posizione fermissima di Silvio Berlusconi non fa presagire sviluppi positivi verso quell’unità del partito pure da lui auspicata ancora venerdì sera.
Perchè la sua richiesta resta, ma non a tutti i costi.
Raccontano che l’ex premier – che al termine dell’ufficio di presidenza che ha votato la proposta di passaggio a Forza Italia da sottoporre al consiglio nazionale ha brindato con i lealisti e i falchi, elencando i «24 motivi» o più probabilmente delibere tecniche per le quali «non si possono contemporaneamente mantenere le cariche di ministro, vice premier e segretario» – non ha cambiato idea.
«Ho fatto la cosa giusta, non mi pento di nulla. Dovevo riprendere in mano il partito e l’ho fatto, e adesso chi ci sta ci sta, non mi importa più nulla», i concetti ripetuti ai fedelissimi che l’hanno chiamato ieri.
Ai quali ha anche ribadito la sua visione sul governo: «Sono tante le cose che non mi piacciono: o si cambia rotta, o non possiamo andare avanti». Il che vale sia sui temi economici e la legge di Stabilità che, soprattutto, su giustizia e decadenza, il nodo dei nodi che tutto condiziona.
Parole già dette nei giorni e nelle settimane scorse, ma che hanno un altro peso oggi, con Berlusconi di nuovo alla guida solitaria del suo partito e con gli innovatori di Alfano marginalizzati e costretti a battersi con i lealisti in una corsa all’ultima firma verso un consiglio nazionale che a questo punto i berlusconiani, e forse lo stesso Cavaliere, vorrebbero accelerare e di molto: «Altro che un mese e mezzo, si farà prestissimo», giurano.
È dunque in corso, frenetica, la conta dei numeri di chi sta con chi, nel cn come in Parlamento. Con un’offensiva potente dei berlusconiani, che con Fitto in Puglia, Gelmini in Lombardia, Carfagna in Campania, Bernini in Emilia, Verdini in Toscana (in Sicilia e in Calabria con Scopelliti la maggioranza è invece di Alfano) e tanti altri al lavoro ovunque mirano a ottenere le oltre 600 firme necessarie per affrontare anche la «sfida dei due terzi».
Sì perchè, sostengono i governativi con Cicchitto e non solo, per sancire il passaggio a Forza Italia serviranno il 67% dei consensi nel cn, e quel 34% che potrebbe impedirlo «è ampiamente alla nostra portata».
Previsioni opposte quelle dei lealisti, sicuri di superare la soglia anche se «non ce ne sarebbe alcun bisogno, perchè per ratificare il passaggio basta votare il documento politico uscito dall’ufficio di presidenza con la maggioranza semplice».
Schermaglie che testimoniano come la guerra sia tutta in corso e il tentativo di riavvicinare le posizioni operato da Gasparri (in nome di un partito che non sia «fatto di marziani»), Romani, Matteoli, anche Caldoro, sia disperato.
Schermaglie che nascondono il vero senso dell’operazione: la battaglia per il simbolo del Pdl, che gli alfaniani potrebbero contendere a Berlusconi se riuscissero a inchiodarlo sotto la maggioranza dei due terzi.
Ma se l’obiettivo è questo, è chiaro che la rottura è già nei fatti.
E d’altra parte, almeno in una parte dei governativi, i toni sono chiarissimi: Gaetano Quagliariello tocca il vero punto quando dice che, lui come gli altri ministri, si impegnerà a fondo per evitare la decadenza di Berlusconi, ma se arrivasse «non potrebbe essere il Paese a pagare con la caduta del governo».
Ed è invece questa disponibilità che Berlusconi pretende dai suoi, che decida di staccare la spina o no. Una disponibilità che sarebbe l’unica carta che Alfano potrebbe spendere per rientrare nei giochi di partito, e riguadagnarsi faticosamente un ruolo oggi perduto, anche per lo «sgarbo», mal digerito dall’ex premier, dell’assenza all’ufficio di presidenza.
È dunque Alfano in queste ore nella posizione più difficile, al bivio tra l’accelerazione verso la rottura per continuare a sostenere il governo o il ritorno alla casa del padre alle condizioni, però, di un padre arrabbiato.
Decisione delicata, travaglio reale, che ha a che fare oltre che con i sentimenti con i numeri: serve un gruppo (soprattutto al Senato) compatto e numeroso per rompere e navigare in mare aperto, e l’attacco berlusconiano per la riconquista degli indecisi è in atto.
Con tempi che si fanno sempre più stretti.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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