Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
ESULTA CHIAMPARINO, D’ALFONSO STRAPPA L’ABRUZZO A CHIODI, NARDELLA STRAVINCE A FIRENZE E BIFFONI RICONQUISTA PRATO
L’onda lunga del successo elettorale del Pd alle Europee arriva anche sulle amministrative e sulle regionali.
In Piemonte Sergio Chiamparino già canta vittoria: «Cercherò di essere il sindaco dei piemontesi», dice forte delle preferenze sicure a metà scrutinio.
Un consenso doppio rispetto a quello degli sfidanti Pichetto del centro destra e Bono del MoVimento Cinque Stelle.
Il premier Renzi non tarda a complimentarsi: «Bentornato a casa», scrive su Twitter – poi manda un «abbraccio ai nuovi sindaci. Da collega conosco la bellezza di un mestiere così delicato».
Alle amministrative (si vota in 4mila comuni e 27 capoluoghi di provincia) la partita non è ancora chiusa definitivamente, ma a Firenze il candidato del Pd Dario Nardella – primo con percentuali oltre il 50 per cento- già esulta su Twitter e annuncia festa in piazza.
A Bergamo si profila il ballottaggio tra il candidato Giorgio Gori del Pd (in testa) e Tentorio del centro destra che lo tallona a poca distanza.
A Prato , dopo cinque anni di centro destra, il Pd va verso la riconquista del Comune, con il candidato Biffoni nettamente in testa.
Ipotesi più che concreta di ballottaggio anche a Livorno, il cui sindaco uscente è Al essandro Cosimi (centrosinistra) e il candidato del Pd, Marco Ruggeri, quasi al 40% dei consensi, è inseguito dal candidato grillino, Filippo Nogarin, vicino al 20%.
A Padova, Ivo Rossi, centrosinistra,dovrà molto probabilmente andare al ballottaggio e vedersela con Massimo Bitonci, sfidante per Lega e Forza Italia.
Ballottaggio probabile anche a Pavia, finora guidata da Alessandro Cattaneo (Forza Italia e Lega Nord) che a metà scrutinio non riesce a raggiungere il 50%.
Lo sfidante, Massimo Depaoli (Pd, liste civiche, Idv), non arriva al 40%.
Maurizio Tropeano
(da “La Stampa“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
NOVE ORE DI RIUNIONE TRA GRILLO, CASALEGGIO E LO STAFF….E FARAGE SPINGE PER UN GRUPPO COMUNE
“Abbiamo perso. Non è una sconfitta, siamo oltre la sconfitta”.
Nel Movimento 5 stelle va così. Tutto alla fine rientra nelle categorie dell’essere, non
dell’esistere.
Quella che Grillo descrive è una vicenda che va oltre i meri dati numerici, una Caporetto ontologica. Il leader si infila negli uffici della Casaleggio Associati alle 10.00 del mattino, non ne esce che a tarda sera.
Si chiude con l’amico di sempre e con lo staff ad analizzare dati, numeri, dettagli.
Ma le parole che pronuncia nel video diffuso all’ora di pranzo, unica apparizione (online) di una giornata passata chiusa fra quattro mura, danno il polso della fusione del pensiero dei diarchi stellati.
Sì, si è persa una battaglia. Ma non quella combattuta a suon di voti. Piuttosto l’ex comico ha dovuto rimandare la vittoria sulla coscienza civica degli italiani, quella di un paese “formato da generazioni di pensionati che forse non hanno voglia di cambiare, di pensare un po’ ai loro nipoti, ai loro figli, ma preferiscono stare così”.
Di questo hanno parlato Grillo e Casaleggio.
I sondaggi commissionati dal guru durante tutte le ultime due settimane davano costantemente il Movimento sotto il Pd. Distante, troppo distante, non quanto le urne hanno sentenziato, ma in netto ritardo.
Così “l’operazione dolcezza”, quell’ultima settimana di campagna elettorale giocata sull’ammorbidimento dei toni, sulle parole d’ordine della “rivoluzione gentile” a sostituzione del vaffa, non erano un tentativo di drenare quella manciata di voti necessaria per un sorpasso, ma un disperato tentativo di recuperare consensi in quelle fasce che non hanno fatto propria la rabbia antisistema della retorica del capo.
“Vado da Vespa per parlare a chi pensa che io sia Hitler”, aveva detto a otto giorni dalle urne.
“Mi hanno detto di venire qui perchè c’è da recuperare…” aveva detto al conduttore di Porta a Porta, fermandosi a un centimetro dall’ammissione.
Il riferimento al “paese di pensionati” non è casuale. “È lì che abbiamo perso la battaglia – si ragiona a Milano – non ci hanno capito, il nostro messaggio ha spaventato quella parte di elettori”.
“In alcuni momenti i toni forti possono essere utili, in altri momenti storici invece la gente può sentirsi spaventata, non capire il messaggio”, ha spiegato Claudio Messora – capo della comunicazione al Senato e uno dei pivot dell’operazione-Europa – al termine di un brainstorming durato più di nove ore.
“Grillo ha fatto un’analisi, ha detto che c’è una parte di ceto sociale che non vuole cambiare e vuole mantenere i suoi privilegi – ha proseguito – il suo messaggio è stato forse compreso solo parzialmente, noi abbiamo fatto quello che potevamo. Questa è una prima analisi, sicuramente alcune cose possono non avere funzionato”.
Dopo una notte di sofferenza, durante la quale l’ex comico è passato senza soluzione di continuità dalla rabbia alla depressione, arrivando – in ore di puro sconforto – a ponderare seriamente l’ipotesi di mollare tutto, la sconfitta è stata metabolizzata.
“Dobbiamo dare un segnale – hanno ragionato i due leader – dobbiamo spiegare con pacatezza che abbiamo perso, ma che ci siamo, che non molliamo”.
Così, il giorno dopo il diluvio, il volto di Grillo è lavato dal cipiglio.
Quando esce di casa di primo mattino sorride alle telecamere che lo aspettano, e da oltre il finestrino mima una pugnalata al cuore.
A conclusione del video ingoia un maalox, un altro lo offre a Casaleggio, in riferimento a quanto detto davanti al seggio: “O noi o loro ne avremo bisogno”.
La riflessione su quel che è stato e quel che sarà è ancora in fase embrionale. I parlamentari si tengono lontani da Roma, i cellulari dello staff suonano a vuoto.
Il mantra è quello di “una rivoluzione che ha bisogno di più tempo di quello che ci aspettavamo”.
Lo stato d’animo è sintetizzato in una citazione da Laura Castelli: “Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo.”
Al contrario, hanno fatto in fretta i fuoriusciti. Al Senato oggi si sono riuniti gli espulsi dal gruppo parlamentare. Un’accelerazione in vista del nuovo gruppo (che dovrebbe contare su undici o dodici effettivi), ormai questione di giorni, se non di ore.
A Milano liquidano la questione con un’alzata di spalle. Sono ore frenetiche, concentrate sul programmare l’immediato futuro.
Gli sherpa di Nigel Farage sono già partiti. Il leader dell’antieuropeista Ukip (vincitore delle elezioni in Gran Bretagna) è alacremente al lavoro, convinto di poter formare a Strasburgo un gruppo alternativo ai populisti di Marine Le Pen.
Per farlo, ha bisogno di convincere gli uomini di Grillo a unirsi in un progetto comune.
Lo staff nicchia: nessuna decisione per il momento, i tempi non sono maturi. Ma l’interesse è grande. E se son rose…
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
NON ELETTI ANCHE SAMPRO’, CECCHI PAONE, RONZULLI, FURLAN, ALBERTINI E PODESTA’
E’ l’unico capolista a non essere stato eletto.
A Gianfranco Miccichè non sono bastate 50.540 preferenze per ottenere un seggio al Parlamento Europeo. L’ex sottosegretario alla Pubblica Amministrazione è arrivato terzo nella circoscrizione isole, distante circa mille voti dal secondo Salvatore Cicu. Miccichè però potrebbe volare lo stesso a Strasburgo se quest’ultimo dovesse rinunciare per mantenere il seggio alla Camera. Chissà .
Mastella fuori, ma doppia il Pd a Ceppaloni
La disfatta di Forza Italia ha lasciato fuori dall’Europa anche altri personaggi di spicco della destra. A cominciare da Clemente Mastella, arrivato solo sesto.
Le sue 60.333 sono risultate un misero bottino in confronto agli altri candidati nella circoscrizione meridionale, capitanati dal più votato Raffaele Fitto (284.544 voti). L’ex leader dell’Udeur però può consolarsi nel suo Comune.
A Ceppaloni (provincia di Benevento) ha praticamente doppiato da solo il Partito Democratico (su 808 voti, 670 sono andati a lui contro i 380 del Pd).
Non vince l’amore di Cecchi Paone
Restando al Sud, anche Alessandro Cecchi Paone andrà a Strasburgo solo da turista. Arrivato dodicesimo, il suo slogan “Mi candido per amore” ha convinto solo 16.588 elettori.
Non riconfermate Zanicchi e Ronzulli
Al Nord, Iva Zanicchi e Licia Ronzulli non riescono a riconfermarsi in Europa. I loro quinto e sesto posto non è bastato: faranno posto a Alberto Cirio e Stefano Maullu. “Lascio la politica, ho dato troppo e non ho ricevuto nulla” ha commentato la cantante.
Gli altri esclusi
Sempre tra le fila di Forza Italia, non hanno ottenuto un seggio Simone Furlan (promotore dell’esercito della libertà ), Gianpiero Samorì fondatore del Mir, Paolo Guzzanti e Giovanni Galli (ex portiere del Milan).
Nel Nuovo Centro Destra, restano fuori dal Parlamento Europeo Gabriele Albertini (ex sindaco di Milano) e Guido Podestà (presidente della Provincia di Milano).
Mario Borghezio è arrivato secondo nella circoscrizione Centro, e sarà eletto solo se Matteo Salvini (arrivato primo per la Lega) sceglierà di farsi eleggere nella circoscrizione Nord Occidentale.
Anche nel Partito Democratico ci sono delusi: Giovanni Fiandaca (studioso dei fenomeni mafiosi) non è riuscito a farsi eleggere nelle Isole.
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA RICERCA DELL’UNITA’ DEL CENTRODESTRA E I CONTRASTI INTERNI TRA BRUNETTA E VERDINI
Ad Arcore aleggia lo spettro della fine vera, del tramonto di epoca. 
Silvio Berlusconi è provato, anzi quasi sotto shock per un colpo che va oltre le previsioni più cupe.
Nel corso del pranzo con tutti i figli al gran completo, da Marina a Barbara, non appare più il vecchio leone di un tempo.
È quasi confuso, scuro in volto. Ripete un ritornello con cui cerca di consolare (e consolarsi) sin da quando le prime proiezioni hanno cominciato ad annunciare la disfatta: “Non mi hanno fatto fare campagna elettorale”.
La voce non è un ruggito. Ma un sospiro. Un sospiro di odio verso i magistrati.
E verso Napolitano. È colpa loro se il calvario ha portato alla sconfitta: la condanna, l’interdizione, la decadenza.
Ed è colpa di Alfano, perchè secondo i report di Verdini senza scissione il dato non sarebbe stato lontano da quello delle politiche.
Colpa degli altri. Anche di quelli del partito che ora vorrebbero aprire una riflessione sullo tsunami.
Non solo Berlusconi non si è congratulato con il recordman di preferenze Raffaele Fitto grazie al quale Forza Italia ha salvato la faccia.
Ma proprio le dichiarazioni dell’ex governatore della Puglia sulla necessità delle “primarie” e di una ripartenza sono state lette come una sfida.
Tanto che tocca a Verdini dire a Fitto di andarci piano con le dichiarazioni perchè i nervi di tutti sono a fior di pelle.
E Berlusconi per ora non ha la lucidità di valutare le cose come stanno. Non accetta critiche o autocritiche neanche sugli inesistenti club che non hanno portato un voto. Nè per chi gli ha consigliato di fare campagna elettorale andando in giro con Dudù e promettendo dentiere. Almeno per ora l’umore è questo.
Arcore è un bunker, nel quale l’ex premier sospira il suo “non mollo”. Per tigna. Perchè l’ipotesi Marina non c’è.
Per esorcizzare il tramonto. Perchè spinto dal “cerchio magico” e da quanti si difendono la Salò berlusconiana per timore delle Repubbliche che verranno.
È in un clima di disperazione e di arrocco della corte che Berlusconi si fa convincere della necessità di parlare.
Senza aspettare un giorno per placare l’emotività .
E su suggerimento di Giovanni Toti e del cerchio magico verga una nota per irrigidire la linea sulle riforme e rimanere al centro della scena, o meglio di quel che resta: “Senza di noi — dice – non ci sono i numeri per fare le riforme”.
Ignaro che il centrodestra non c’è più, con Alfano aggrappato a Renzi e Salvini che chiede a Forza Italia di uscire dal Ppe e di andare con la Le Pen, Berlusconi ripete il solito mantra: “Ho iniziato il mio impegno in politica per unire tutti i moderati, intendo proseguirlo lavorando per ricomporre la perduta unità ”.
Già , l’unità . È perduta anche nel partito, dove proprio sul rapporto con Renzi si sta per consumare uno psicodramma.
C’è chi, come Brunetta, invoca un ritorno all’opposizione dura. E c’è chi, come Verdini considera una follia rompere adesso.
Chi ha parlato con Denis racconta che il plenipotenziario di Forza Italia è inferocito con quanti lavorano per far saltare il tavolo: “Proprio il voto — è il suo ragionamento — ci dice che l’Italicum non solo è vivo, ma ci conviene”.
Berlusconi è indeciso. Nessuno scommette che la sua posizione del comunicato sia quella definitiva. È consapevole che, se tira troppo la corda e si spezza, Renzi punta sul voto ed è finita.
Ed è consapevole che stavolta sarà complicato tenere unite le truppe in Parlamento. Perchè da un partito in crisi si fugge.
Nella ridda di voci, ipotesi, incontri tra i big in molti scommettono che proprio sulle riforme lo strappo lo potrebbe compiere Verdini qualora il Cavaliere decidesse di rompere. Una sorta di nuova operazione “responsabili” per garantire a Renzi i numeri per le riforme. Chissà .
E mercoledì l’ufficio di presidenza si annuncia molto poco unitario.
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
CON RENZI STRAVINCE UN PARTITO MODERATO E DI GOVERNO, TUTT’ALTRA COSA DA QUELLO DI ANNO FA…ERA QUESTA LA FAMOSA VOCAZIONE MAGGIORITARIA?
L’aveva detto subito, tra generali smorfie di disgusto, che sarebbe andato a cercare i voti anche a destra: e ci è riuscito.
Così, come Star Trek, Matteo Renzi è arrivato dove nessun Pd era mai giunto prima. Sfondando non solo la soglia psicologica del 35 per cento — quella mancata da Walter Veltroni — ma addirittura superando quella immaginifica del 40 per cento.
Oltre il record del Pc di Berlinguer.
Oltre il miglior risultato storico raggiunto nelle Europee: quello del 36, 5 per cento della Democrazia Cristiana nel 1979.
Partito democratico, ultima frontiera: quella di una nuova Dc, appunto.
Partito che governa, che bene o male prende la bandiera delle riforme, che dialoga, e dunque che attrae il voto moderato.
Ancor prima che si possa fare l’analisi dei flussi, e capire esattamente quali voti hanno traslocato dove, è chiaro infatti che Renzi ha intercettato l’anima moderata dell’Italia: più attraente rispetto al centrismo in dissoluzione e al grillismo in esagerazione. Incarnando un’alternativa: una speranza che non fa paura.
Insomma l’operazione che l’altra volta, le altre volte, non era riuscita: “Il Pd sta realizzando la sua vocazione maggioritaria”, dice infatti compunto Davide Faraone. Ma per farlo, con Renzi, il partito ha cambiato pelle.
Lo dice anche Ivan Scalfarotto, nella notte: “Il Pd dell’anno scorso e quello di quest’anno sono due partiti diversi”.
Il Pd di Bersani, apoteosi dell’identitarismo post comunista dopo le declinazioni di Veltroni e Franceschini, solo un anno fa si era inchiodato al 25 per cento dicendo no a Berlusconi e “magari” ai Cinque Stelle.
Il Pd di Renzi ha detto sì, fino in fondo, al Cavaliere e in fondo un deciso no a Grillo. E ha vinto trattando l’alleanza col centrodestra — anche quella di governo con l’Ncd — come una propria creatura, più che come il frutto controvoglia di larghe intese. Manovrando il compromesso, piuttosto che subirlo.
Ci voleva un capo svezzato coi diccì, per riuscirci? Può darsi.
Ci voleva anche, però, un quarantenne cresciuto a pane e berlusconismo, con quel senso personalistico della leadership.
Bastava guardare il tavolone della sede del Nazareno attorno a cui si sono riuniti i vincenti vertici democratici: ministri, capigruppo, renziani di punta.
Tutti sorridenti e tutti in fondo intercambiabili: mancava giusto lui, il regista e prim’attore.
E dopo aver stravinto il referendum sulla propria legittimazione a governare — andando in questo oltre Massimo D’Alema, che nel 2000 fu azzoppato dalle regionali — Renzi adesso dovrà scegliere se continuare a governare col centrodestra in disarmo, o farsi prendere dalla voglia di incassare presto alle urne un raccolto così generoso.
Il suo Pd, al momento, vale poco meno del doppio dei Cinque stelle, oppure di Fi, Ncd e Fratelli d’Italia messi insieme.
Il voto dunque è una tentazione: “Si potrebbe averla, ma abbiamo l’impegno delle riforme da approvare”, ha dichiarato nella notte Maria Elena Boschi.
Già , le riforme.
Se l’Italicum fosse legge, con questi risultati il Pd vincerebbe al primo turno.
Susanna Turco
(da “L’Espresso”)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’IMPORTANTE E’ VINCERE, NON PARTECIPARE (VALORI)
«Piazze piene, urne vuote…» aveva scherzato Matteo Renzi per esorcizzare il fantasma di
Grillo, dopo la sfida tra San Giovanni e piazza del Popolo.
Ha avuto ragione lui. Il segretario-premier ha stravinto il «derby» delle Europee, scavalcando anche i sondaggi più ottimistici.
È riuscito nell’impresa di «asfaltare» Grillo ed è andato molto oltre il sospirato «voto in più» rispetto alle Politiche 2013 e alle Europee 2009.
Non solo ha doppiato il M5S, ma ha polverizzato il 33,2 di Veltroni nel 2008, che per lungo tempo era sembrato un record inarrivabile.
Allora la «vocazione maggioritaria» era un miraggio, adesso sembra quasi a portata di mano.
«È un risultato storico» scolpisce il premier su Twitter all’una e mezza di notte, «commosso e determinato».
La scelta di centrare la campagna su se stesso, che aveva fatto storcere il naso alla minoranza, ha pagato.
«È la vittoria di Matteo Renzi ed è straordinaria – brinda il vice Lorenzo Guerini – Siamo il primo partito della sinistra europea e l’unico, insieme alla Cdu della Merkel, che cresce governando. Altro che Grillo, il sorpasso lo abbiamo fatto noi. Chi ha insultato ha ricevuto la giusta risposta dagli italiani»
Il problema, semmai, sono i numeri (risicati) dell’alleanza di governo. «Exit Alfano», è la sintesi sarcastica di Pippo Civati: «Con questi dati si torna a votare, nel senso che vinceremmo. Ma sarebbe ora di mollare certi alleati scomodi». Salutare il Ncd? Tornare alle urne? Per Guerini non accadrà nulla di tutto questo: «Siamo il motore del cambiamento, gli italiani ci hanno votato per andare avanti».
Centrato il bersaglio, le polemiche sulla maggioranza e sul profilo del partito, che la sinistra ritiene a trazione troppo renziana, possono attendere.
Prova ne sia la presenza al Nazareno di Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre, Matteo Orfini, che aspettano notte per festeggiare con Renzi.
Maria Elena Boschi è la prima a parlare in tv di «risultato storico», rilanciando l’azione riformista e promettendo «umiltà ». E Debora Serracchiani le fa eco: «Straordinario, sì». Merito del solo Renzi? «L’intero gruppo dirigente si è speso – assicura la vicesegretaria –. Alcuni magari non erano in prima linea, ma è normale… Se le scorse volte eravamo abituati a vedere l’agenda Bindi, l’agenda Bersani e l’agenda D’Alema, questa volta ha prevalso una classe dirigente nuova». È la rottamazione, bellezza.
Il tema «gufi» aleggia nell’aria elettrica e poi euforica del Nazareno: chi ci ha messo la faccia e chi, tra i vecchi «big», si è fatto vedere in campagna elettorale solo in cartolina?
Interrogativi che la vittoria sembra aver spazzato via. Civati assicura di essersi «letteralmente massacrato» per racimolare voti ed è felice che il Pd abbia «fatto il botto».
I «tanti dubbi» sulla capacità di mobilitare al Sud restano, ma non è questo il tempo per parlarne.
Tra i bersaniani il sollievo fa premio sul disagio. Nico Stumpo è contento, anche se non ha apprezzato la «totale anarchia sulle candidature». Per lui il nome di Matteo, che ha corso a velocità folle da una piazza all’altra, da una tv all’altra, non basta a costruire un partito: «Il problema è cosa ne facciamo del Pd».
E adesso l’unica speranza per l’opposizione interna di poter ridimensionare i renziani almeno un po’ è che ci sia qualche clamoroso sorpasso ai danni delle capolista.
Beppe Fioroni è tra coloro che hanno assistito con preoccupazione alla sovraesposizione mediatica del leader, eppure lo ringrazia: «Per fortuna che Renzi c’è! Ha fatto argine a Grillo. Ma adesso Matteo sarà il primo a capire che anche un grande capitano, se vuole portarci sempre alla vittoria, ha bisogno del gioco di squadra».
La prossima settimana il leader riunirà la direzione. Fra due verrà rinnovata la segreteria e scelto il presidente.
E se nella Capitale i «dem» hanno tremato per la crescita di Grillo, era solo un brutto sogno.
Per Graziano Delrio bastano tre parole: «Abbiamo seminato speranza».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IN CITTA’ IL PD SUPERA IL 50%, GRILLINI FERMI AL 19%
Con le elezioni europee nella “Stalingrado d’Italia”, come Grillo ha definito il comune di Parma conquistato dai 5 stelle e dal sindaco Pizzarotti, è arrivato uno tsunami elettorale.
I dati della città sono definitivi, con tutti i 204 seggi scrutinati: il Pd è al 52,07%, il Movimento 5 stelle al 19,12%.
Certo le Europee sono le Europee. Ma per rendersi conto del flop di Pizzarotti rispetto alle previsioni degli stessi M5s locali basta guardare i dati delle politiche del 2013 con il Pd al 32,8% e M5s al 28,2%.
Insomma oggi il Pd ha guadagnato il 10% e M5s ha perso il 9%.
Al primo turno delle comunali del 2012 Pizzarotti e il Movimento 5 stelle presero il 19,47% (praticamente la stessa percentuale di oggi) e la coalizione del centro sinistra che appoggiava Vincenzo Bernazzoli (poi sconfitto al ballottaggio) arrivò al 34,45. Quasi il 20% di punti in meno rispetto ai dati odierni
“Importante il dato a livello nazionale, abbiamo un Pd a vocazione maggioritaria — afferma il candidato Pd locale alle Europee Nicola Dall’Olio, che ha conquistato 9512 preferenze nel comune di Parma contro le 1270 del candidato grillino Francesco Rossi.
Da notare che Cristina Quintavalla di Tsipras – che come lista ha preso quasi 5 volte meno del M5s – ha toccato quota 1022 preferenze personali, tallonando addirittura il candidato grillino.
“A Parma – continua Dall’Olio – siamo oltre il 50% ed è un risultato che sanziona il fallimento del laboratorio dei Cinque Stelle di Parma, c’è una sanzione di come questa amministrazione non abbia fatto bene ma anche di come il Pd abbia fatto bene non solo a livello nazionale ma anche a livello cittadino. Il dato delle mie preferenze? Molto positivo, fa ben sperare, significa che c’è un ricambio definitivo nel Pd e che le figure che si sono fatte avanti in questi due anni. Ora Pizzarotti e Grillo devono decidere cosa vogliono fare e se vogliono restare insieme, di certo oggi questa amministrazione rappresenta un quinto dei cittadini di Parma”.
GLI ALTRI PARTITI
Forza Italia si è fermata al 10,8%, mentre la Lega Nord ha ampiamente superato lo sbarramento con il 5,87%.
Oltre la soglia del 4% anche l’Altra Europa con Tsipras che chiude lo spoglio con il 4,86%. Fli si ferma al 2,72%, seguito da Ncd-Udc con il 2,35%. Sotto l’1% gli altri. Su di un totale 86.935 voti espressi, le schede bianche sono state 432, le nulle 1.518, pari all’1,74%. Quelle contestate e non assegnate 5.
I dati definitivi sugli eletti devono ancora arrivare, ma è ormai sicuro che nella circoscrizione Nord Est sia passata l’ex ministro Cecile Kyenge e al suo posto tra le fila del Pd nel parlamento italiano lo scranno passa al primo dei non eletti alle Politiche, ossia il collecchiese Giuseppe Romanini, attuale assessore alla Cultura e alle Politiche Scolastiche della Provincia di Parma.
(da “La Repubblica“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL RECORD DI PREFERENZE VA AL LEADER DEL CARROCCIO E ALL’EX MINISTRO CONDANNATO IN PRIMO GRADO…NON CE LA FANNO FIANDACA E SAMORI’
Sono il leghista Matteo Salvini e l’azzurro Raffaele Fitto i candidati più votati alle elezioni
Europee.
L’ex presidente della Puglia Fitto e ex ministro per gli affari regionali, che in primo grado è stato condannato a 4 anni di reclusione per corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio, ha incassato 275.299 voti.
Il segretario della Lega ne ha ottenuti 331.381 anche se divisi in due circoscrizioni (222.720 mila nella circoscrizione Nord Ovest e 108.661 nel Nord Est).
Fra le donne la più votata è stata la capolista del Pd al Centro Simona Bonafè con 246.336 voti, mentre 230.009 ne ha ottenuti Alessandra Moretti al Nord Est.
Giovanni Toti, che Forza Italia ha candidato nel Nord Ovest, ha invece ottenuto 148.291 preferenze.
Non ce la fa il giurista Giovanni Fiandaca, contestato nel fronte antimafia perchè negazionista della trattativa Stato-mafia e candidato per il Partito democratico.
Circoscrizione Isole
In base ai dati finali degli scrutini del Viminale, nella circoscrizione isole (8 seggi), il Pd, che ha vinto la sfida col 34,89%, dovrebbe eleggere tre deputati nel Parlamento europeo; due a testa il M5s (27,35%) e Forza Italia (20,05%), uno Ncd-Udc (7,51%). In casa Pd vince Renato Soru: l’ex presidente della Regione Sardegna ha ottenuto oltre 182 mila preferenze; seguito dalla capolista Caterina Chinnici con 133 mila voti. A sorpresa la terza piazza va alla giornalista Michela Giuffrida con 91 mila voti; fuori dunque il giurista Giovanni Fiandaca (76 mila preferenze) e l’assessore al Turismo nella giunta Crocetta, Michela Stancheris (71 mila).
Nel M5s in testa Ignazio Corrao (70 mila preferenze), mentre per appena 147 voti Giulia Moia scavalca l’altro sardo Nicola Marini.
In Forza Italia lo sconfitto sarebbe Gianfranco Miccichè: il capolista arriva solo terzo; a Strasburgo vanno sicuramente Salvo Pogliese (61 mila), attuale vice presidente all’Assemblea regionale siciliana, e Salvatore Cicu (51 mila).
Per il Ncd-Udc stacca il biglietto Giovanni La Via, europarlamentare uscente (oltre 56 mila voti).
Circoscrizione Nord-Est
Oltre 200mila preferenze per la capolista Pd, ex bersaniana, Alessandra Moretti. Segue Flavio Zanonato, ex ministro allo Sviluppo economico e sindaco uscente di Padova.
Circa 80mila voti per Cècile Kyenge, ex titolare del dicastero all’integrazione sotto il governo Letta.
A sorpresa c’è anche la civatiana Elly Schlein: riesce a superare l’uscente Salvatore Caronna, colonna del partito in Emilia.
Il Movimento 5 stelle assicura un posto in Europa a David Borrelli (circa 25mila voti), primo consigliere comunale grillino della storia e tra i volti più noti.
Salvo sorprese, ce la fanno anche Giulia Gibertoni (16mila voti) da Modena e Marco Affronte (18mila preferenze), romagnolo e già collaboratore dell’eletto in Regione Emilia Romagna Andrea Defranceschi (ora sospeso).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
“SIAMO FINITI NELLA TENAGLIA TRA RENZI E GRILLO”….QUAGLIARELLO AMMETTE: “CI ASPETTAVAMO DI PIU'”….GASPARRI: “TORNATE CON NOI”
«Siamo appesi a un filo, ma il progetto va avanti, siamo finiti schiacciati nella tenaglia tra Grillo e Renzi». Per Angelino Alfano la notte elettorale passata al Viminale è la più carica di ansie.
Per il Nuovo Centrodestra le europee erano la sfida per la sopravvivenza. Per un partito nato da sei mesi dopo lo strappo con Berlusconi, superare il quorum del 4% alle europee era vitale. Ma dalla chiusura delle urne sono iniziate le montagne russe, con exit poll e proiezioni che davano il partito a cavallo del numeretto fatidico, un balletto tra il 3,9% e qualche decimale sopra il quattro, una manciata di voti che cambiavano completamente le prospettive dell’Ncd.
E pensare che per centrare l’obiettivo gli alfaniani si sono alleati con l’Udc di Cesa, sperando nella residua capacità attrattiva dello Scudocrociato per mettersi al riparo da brutte sorprese. «Le premesse — spiegava in serata un dirigente dell’Ncd — non erano delle migliori, siamo nati da poco, senza un euro, abbiamo subito la campagna dei partiti più grandi e negli ultimi giorni siamo stati colpiti da scandali giudiziari».
Strappare un commento politico a un dirigente dell’Ncd nella lunga notte dello spoglio è una missione quasi impossibile.
«Vorremmo commentare risultati definitivi», spiegava la portavoce Barbara Saltamartini.
Eppure un barlume di speranza ha continuato a illuminare la sede di Via in Arcione, dove i dirigenti si dicevano sicuri che alla fine il risultato sarebbe stato quello giusto: «Lo spoglio al Sud, dove abbiamo più consensi, è indietro, alla fine probabilmente saremo al 4,1-4,3%». Aggiungeva in piena notte il coordinatore Quagliariello: «Siamo convinti di avere superato il quorum, se i dati saranno quelli che pensiamo possiamo dire abbiamo passato l’esame con il minimo della sufficienza, ma non nascondiamo che con quello che abbiamo studiato pensavamo di prendere un po’ di più».
Alla vigilia del voto uno dei leader Ncd tracciava questo scenario: «Se non superiamo il quorum siamo nei guai», e con il partito di Alfano al tappeto al primo test elettorale anche il governo di Renzi avrebbe traballato.
Uno scenario che a caldo Sacconi respingeva: «L’area di governo ne esce consolidata». Questione di decimali. Ma a dire il vero quelli del Nuovo Centrodestra partivano da sondaggi che in alleanza con l’Udc gli davano al 6,5%.
Appena visti i dati che davano l’Ncd sulle montagne russe, il Gasparri provocava: «Devono tornare nel centrodestra se non vogliono stare in bilico sul 4%».
Risposta della Saltamartini: «Gasparri riesce sempre a provocare, noi guardiamo avanti».
Cosa rischia ora l’Ncd? Posto che per il partito tra il 3,9 e il 4% cambia tutto, consolava il risultato negativo di Forza Italia, grazie al quale il rischio dissolvimento dell’Ncd sembrava comunque evitato.
«Un controesodo non lo rischiamo — assicurava Quagliariello — gli altri non sono andati bene, c’è semmai un problema nel centrodestra che dovremo affrontare con calma, a risultati certi, ma che sopravviveremo lo do per scontato».
Anche un ritorno verso Berlusconi, complice il crollo degli azzurri, sembra scongiurato, con sollievo di Alfano e Quagliariello.
Ci sarà invece da decidere sul percorso comune con l’Udc, con cui l’alleanza dovrebbe andare comunque avanti, con la formazione di gruppi comuni in Parlamento, seppur senza grandi entusiasmi.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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