Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
ALLA VIGILIA DEL VOTO SUL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO DATI CHE PREOCCUPANO IL GOVERNO
Sono 178 i potenziali frondisti nelle file dei grandi elettori di Pd e Fi in vista delle votazioni per il presidente della Repubblica.
«Renzi lo sa benissimo: c’era una possibile mediazione sull’Italicum e loro non hanno voluto mediare. Ora spetta a lui dire se si può partire dall’unità del Pd. Dare del parassita a senatori come Corsini, Gotor e Mucchetti è pericoloso. È gente per bene che non chiede niente e va trattata con rispetto. Se viene meno il rispetto è finita».
È lo stesso Pier Luigi Bersani a dare la linea entrando all’assemblea della minoranza del Pd convocata ieri pomeriggio nella sala Berlinguer di montecitorio: 140-150 i partecipanti.
Un segnale e un avvertimento plastico a una settimana dall’inizio delle votazioni in seduta comune per eleggere il successore di Giorgio Napolitano: l’accordo per il Colle va trovato dentro il Pd. E il clima in queste ore non è dei più sereni.
Alla minoranza non è andato giù il muro contro muro sull’Italicum, non è andata giù l’accusa di “parassiti” ai dissidenti del Senato lanciata dall’inventore del maxiemendamento Stefano Esposito (che comunque si è scusato), non è andata giù la vicenda della norma salva-Berlusconi che ancora pende sulla testa di tutti in attesa del Cdm del 20 febbraio, non è andato giù il modo in cui è stata liquidata la vicenda ligure e il caso Cofferati, e soprattutto non è andato giù l’incontro di lunedì con il leader di Fi.
Incontro interpretato come un modo per blindare il nome del prossimo Capo dello Stato.
«Un presidente del patto del Nazareno non lo votiamo», dice chiaro il bersaniano Davide Zoggia. Che segnala anche i 50 del Pd che hanno lasciato proprio ieri l’Aula della Camera sull’emendamento di Ettore Rosato che ripristina i senatori a vita: «È accaduto senza alcuna preparazione, senza alcuna assemblea. Sono segnali da non sottovalutare. C’è uno stress che ha raggiunto ormai livelli di guardia».
Ma i 140 sono per la verità solo un numero. Ci sono Gianni Cuperlo che parla di «mutazione genetica» del Pd, Rosy Bindi che insiste con la candidatura Prodi, Pippo Civati che chiacchiera tranquillamente con i giornalisti della sua prossima uscita dal partito.
Ma c’è anche il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, che uscendo dichiara di avere «fiducia» nel suo segretario e si mostra sereno: «La domanda che viene da questi parlamentari è che si unisca il Pd».
Con Speranza ci sono anche Cesare Damiano, Nico Stumpo, Francesco Russo, il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti.
Parlamentari non proprio sulle barricate rispetto alla linea di Renzi. Tanto che qualcuno dei “pasdaran” storce il naso e dice che c’erano parecchi «controllori» da parte di Renzi.
Dai piani altri del Nazareno mostrano tranquillità . Pallottoliere alla mano, si danno per “irrecuperabili” al massimo una trentina di voti in Senato e una quarantina al Camera: 70 su 415 parlamentari.
E lo stesso premier mostra sicurezza, come è d’altra parte nella sua indole: «Il percorso di cambiamento che l’Italia ha iniziato sta continuando, è giusto che sia così e non ci fermiamo. Non si molla di un centimetro», dice da Davos notando che i frenatori in azione ci provano ma non ce la fanno: ininfluenti alla prova dei fatti.
«Che le riforme si fanno con l’opposizione non è una novità », aggiunge Renzi tenendo distinte le due partite dell’Italicum e del Quirinale. E ricordando che in ogni caso, come dimostra lo schianto del 2013 su Prodi, il Pd non è autosufficiente nemmeno sul Quirinale.
Ma al di là della sicurezza ostentata, il premier sa bene che c’è tutta un’area che fa riferimento a Bersani (circa 80 parlamentari, se non di più) con la quale è necessario trovare la quadra nelle prossime ore.
Contatti sono in corso e un incontro è previsto prima di iniziare le consultazioni ufficiali, forse nel week end.
Emilia Patta
(da “il Sole24ore”)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
“UN TRUCCHETTO GROSSOLANO, UN PASTROCCHIO: DOVEVANO SPACCHETTARLO”… “IL PRESIDENTE DEL SENATO DOVEVA IMPEDIRLO”
“Il maxi-emendamento Esposito era platealmente inammissibile, un escamotage da azzeccagarbugli.
Hanno approfittato dell’assenza di un presidente della Repubblica in carica”.
L’avvocato e costituzionalista Gianluigi Pellegrino boccia senza appello la tagliola con cui la maggioranza ieri ha ucciso 35 mila emendamenti alla legge elettorale
Professore, perchè il canguro andava fermato?
Ma quale canguro: quello è ammissibile, questo è un pastrocchio. Non rappresenta uno strumento legittimo per combattere l’ostruzionismo, ma invece contiene principi in evidente contrasto con altre parti della legge, senza modificarle. Di fatto, ora nel testo convivono la norma che prevede l’immediata entrata in vigore dell’Italicum, assieme a quella del maxi-emendamento che prevede la sua validità a partire dal luglio 2016.
Come è possibile?
Per modificare le precedenti norme il testo andava discusso nelle sue singole parti, cioè di fatto andava spacchettato. E invece la maggioranza l’ha approvato in un solo colpo, per evitare la discussione, creando così un “mostro” che dice tutto e il suo contrario.
Le opposizioni avevano chiesto di spacchettarlo.
Era l’unico modo per renderlo ammissibile e per evitare una legge che oggi prevede insieme liste bloccate e preferenze, soglia al tre per cento e soglia all’otto. Basta domandarsi cosa avverrebbe se poi non venissero modificati gli altri articoli: si applicherebbero quelli o il loro contrario disposto dalla norma Esposito? La legge truffa fu chiamata così per molto meno.
Insomma, così com’era…
La presidenza del Senato doveva dichiararlo inammissibile, è evidente.
Non si può rimediare in nessun modo?
No. Sarebbe servita una moral suasion del Quirinale per evitare che si arrivasse a un trucchetto così grossolano. Ma un presidente effettivo non c’è, il supplente Grasso tace e ne hanno approfittato. Ciò conferma che la discussione sulla legge elettorale andava sospesa, dopo le dimissioni di Napolitano. La prassi istituzionale e il buon senso l’avrebbero richiesto.
Ma sono andati avanti ugualmente. Ora qual è il rischio?
Se non venissero approvati gli emendamenti che modificano le norme arrivate dalla Camera ci ritroveremmo con una legge con parti contrastanti l’una con l’altra. Senza dimenticare la manifesta incostituzionalità del rinvio di efficacia al 2016, considerato che oggi non c’è una legge elettorale applicabile non essendo stati effettuati gli interventi imposti dalla Consulta. Un’altra ferita alla Costituzione che richiederebbe un presidente della Repubblica in carica.
Luca De Carolis
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
AMATO GARANTISCE IL PATTO, GIANNI LETTA PRESIDIA IL QUIRINALE, FORZA ITALIA LITIGA PER I MINISTERI
E il Nazareno si fece carne. In un giorno che non è un giorno qualsiasi.
Perchè il 21 gennaio non è solo il compleanno del togliattiano Ugo Sposetti ma è soprattutto la genesi dell’epopea comunista a Livorno, 94 anni fa.
E il Nazareno si fece carne. La chiosa evangelica, che può suonare blasfema per i credenti, è di Pippo Civati. Montecitorio, alle quattro e mezzo del pomeriggio.
Nel corridoio dei fumatori. Civati sta per andare via. Rosy Bindi lo ha sollecitato per telefono. C’è la riunione delle minoranze del Pd.
I bersaniani però non sono come i comunisti che andarono via dal congresso del Psi, cantando l’Internazionale e fondando al San Marco il Partito comunista d’Italia. L’ultima sigaretta di Civati e la storia del “figliolo” di Silvio Civati prende la borsa ma appare d’incanto l’azzurro Maurizio Bianconi, gigantesco non solo per la mole. Bianconi è toscano e comincia una lezione sul Partito della Nazione. P
remessa: “Io mica vado alle riunioni di Forza Renzi? A che serve ormai? Bisogna solo inchinarsi ai voleri imperiali”. Per lui Forza Renzi è Forza Italia.
Civati sgrana gli occhi e si accende una sigaretta. Il monologo di Bianconi è strepitoso. Imita le voci di “Silvio” e “Matteo”.
Futurismo renzusconiano: “Renzi è il suo figliolo. Mica vorrete credere che Berlusconi arriverà quarto alle prossime elezioni con l’Italicum? Sarà primo perchè sarà con Renzi. Avrà sulla parete l’icona di padre della patria e il su’ figliolo sarà a Palazzo Chigi. Domineranno per vent’anni”.
Civati annuisce. Bianconi sublima il suo show con un pensiero che fino all’altro giorno sembrava impensabile, osceno pure per un berlusconiano dissidente: “Qua ci sarebbe da votare Prodi per dispetto”.
Che cosa volete di più dalla vita? I calcoli di Denis Amato presidente con 590 voti Eccola qua, dunque, la partita mortale che si aprirà al chiuso del “catafalco” per il Quirinale, il prossimo 29 gennaio.
Dopo il terremoto provocato dall’Italicum al Senato, l’elezione del successore di Napolitano sarà un referendum sul renzusconismo di lotta e di governo.
Nè più, nè meno. Apocalypse Nazareno. Calcoli alla mano, segnati su un foglietto, Berlusconi e Denis Verdini, lo sherpa toscano del patto, hanno fissato con una certa sicurezza la quota con cui eleggere il loro capo dello Stato.
Al netto di 120, massimo 130 franchi tiratori del Pd e un’altra cinquantina sparsi, Giuliano Amato (resta lui il nome più quotato) parte dal quarto scrutinio con un pacchetto teorico di 590 voti.
Renziani, berlusconiani e centristi di Alfano e Casini. Martedì prossimo B. e Renzi si vedranno per la decima volta da quando è nato il Nazareno e concorderanno il piano definitivo.
Altro dettaglio non secondario. In occasione delle elezioni per il Quirinale, il candidato “finto”, di bandiera, dell’ex Cavaliere è sempre stato Gianni Letta, l’amico di cricche e logge modello P3 e P4. Stavolta non è così.
Il candidato per i primi tre scrutini, quando la maggioranza richiesta è i due terzi dei grandi elettori, è Antonio Martino. Perchè non Letta?
Il pacchetto chiavi in mano per B.
Il ruolo del Gran visir andreottiano
Il motivo è semplicissimo. Berlusconi non vuole esporre il Gran Visir andreottiano — che ha annegato nel gestionismo affaristico la presunta rivoluzione liberale — perchè il nome di Letta fa parte del pacchetto chiavi in mano garantito da Renzi a B. per il sostegno sull’Italicum.
Non solo la Salvasilvio della delega fiscale, la tutela del conflitto d’interessi e altri piccoli aggiustamenti giudiziari.
Il marchio impresentabile del Nazareno al Quirinale potrebbe essere Gianni Letta nel ruolo di segretario generale. Oltre ad Amato, ovviamente.
“Alcuni dei nostri già si sentono nell’esecutivo” Una volta eletto e insediato il presidente Nazareno, il renzusconismo avrà “molte opzioni” per sviluppare il suo “progetto globale” di controllo della Terza Repubblica.
Il primo problema sarà quello di stabilizzare il renzismo di governo. Fatta salva la clausola che vuole l’Italicum in funzione solo dal 2016, e cancellati tutti i retropensieri sulla tentazione di votare con il Consultellum in questa vacatio, Berlusconi (che con la Salvasilvio non sarà più interdetto) si troverà sul tavolo l’opzione massima.
Prendere il posto “dei comunisti messi in minoranza da Renzi nel Pd” e andare sic et simpliciter al governo.
Di qui una battuta preveggente di Verdini ieri pomeriggio: “Alcuni dei nostri si sentono già ministri”.
Il riferimento è a quel cerchio magico che lo circonda e che in questi mesi ha sempre osteggiato il patto del Nazareno.
Ecco i loro nomi, oggi invece già con la testa al governo: Giovanni Toti, Paolo Romani, Mariastella Gelmini.
Dice una fonte nazarena di Forza Italia: “Quando sarà , dopo l’eventuale vittoria sul Quirinale, Berlusconi non potrà premiare quelli che hanno fatto la guerra contro. Lui conosce bene chi ha tenuto duro sul patto del Nazareno”.
Per la cronaca anche Brunetta si sta riposizionando.
I timori degli alfaniani di perdere le tre poltrone Il monitoraggio degli eventuali ministri azzurri di un Renzi bis è cominciato anche dentro Ncd, che oggi conta tre poltrone nell’esecutivo.
Ieri Alfano ha rivisto Berlusconi, ma tra i centristi tiene banco la lotteria su chi salverà in questa ritrovata alleanza. E se il Nazareno dovesse perdere?
Risposta di B.: “Andrei via dall’Italia”. A patto che gli restituiscano il passaporto.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
TUTTI PRONI AL NUOVO POTERE NELLA SPERANZA DI TROVARE UNA POLTRONA LIBERA…E I VOLTAGABBANA SONO TANTI
Il patibolo è in fondo al salone, dietro quella porta di castagno che conduce al seggio di velluto. 
Entrano per pigiare con l’indice il pulsante della resa.
Si vota in aula la sottomissione a Renzi e Berlusconi, più al secondo che al primo.
B. è il segno di un potere intramontabile ed effettivamente invincibile. Mario Mauro aveva lasciato Forza Italia pensando che fosse fallita. Era riuscito persino a essere ministro della Difesa di Enrico Letta. Ora è pronto a rimediare: “In fondo in quell’area stavo e lì resto”.
Josefa Idem ha capito che la politica è uno sport pericoloso. Aveva annunciato il no a Renzi e la sua adesione alla linea di Miguel Gotor, conducator perdente, ma poi, albeggiando il nuovo giorno, ha scelto di dire di sì al capo.
Abbiamo paura e abbiamo famiglia.
Domani il Senato non ci sarà più e l’Italicum consegna al capo il potere assoluto di nomina.
La fedeltà diviene virtù dell’intelletto. “Io sono uno pratico, e in Parlamento servirà sempre uno pratico”, garantisce Maurizio Gasparri.
E servirà anche il pragmatismo di Laura Puppato. Sua la giravolta in limine mortis. Scurdammuce o’ passato. La smemoratezza, persi gli argini di prudenza, tracima perfino in baldanza.
Il senatore Stefano Esposito sarà noto per aver legato mani e piedi ai suoi compagni di cella prima di scappare nelle braccia di Renzi, il carceriere buono.
Come quel reporter occidentale che ha concesso ai suoi sequestratori il volto e la voce per illustrare le meraviglie dello Stato islamico, così Esposito, da Torino, dopo aver combattuto a fianco di Cuperlo la battaglia congressuale contro Matteo Renzi, ha firmato l’emendamento che condanna a morte i suoi fratelli.
“Ho fatto tutto da me”, assicura dopo aver definito “parassiti” i suoi ex amici.
Corsini: “Ci sono elementi di psicopatologia”
Non c’è memoria, nemmeno ricordo, neanche un filo di imbarazzo.
Luigi Zanda nella scorsa legislatura era un fervente antiberlusconiano. Cambiano i tempi e — miracolo! — da feldmaresciallo renziano è pronto ad accogliere il nemico nella sua casa: “Ho la coscienza a posto e non ho nulla di cui pentirmi. Poi con i colleghi di Forza Italia ho sempre conservato un buon rapporto e ritengo che la legge elettorale sia materia da larghe intese”.
Questo palazzo scomparirà tra meno di tre anni. E i 315 senatori dovranno trovar casa nell’unica aula disponibile: la Camera.
“Ci sono elementi di psicopatologia della politica, ambizioni nascoste, timori legittimi. Ma ci sono anche ricatti, ritorsioni, avvertimenti crudeli”, dice il senatore Paolo Corsini nella veste di profeta di sventura.
“Finisce il bipolarismo e il bipartitismo.
Quelli che difesoro l’ex Cav. adesso non sanno che fare.
Questa legge trasformerà il Pd in un grande listone centrale condannato al governo perpetuo e ai suoi margini una destra di impronta lepenista, un movimento vociante come quello di Grillo e una sinistra estrema e irrilevante”.
Una nuova balena al centro, che acchiappa tutti, da Renzi a Berlusconi.
Eppure il corpo di B., il suo doppiopetto Caraceni, la corte di reggitori che scandivano l’andatura, erano stati espulsi da questo Palazzo nel novembre del 2013. Cacciati per indegnità .
Oggi il suo sorriso beffardo è stampato sulla bocca di Denis Verdini, il cui prestigio aumenta con il lievitare delle rogne giudiziarie (dalla bancarotta al concorso in corruzione, alla truffa).
D’Anna: “A forza di fare inchini si vede il culo”
Verdini è condotto alla buvette, per una rassegna dei sottoposti che aspettano di omaggiarlo, da Ugo Sposetti, ex ragazzo di Botteghe oscure, e da tesoriere teorico inflessibile del potere supremo dei soldi. Conta chi ha la borsa. Il resto è noia.
La destra e la sinistra, ammesso che siano mai esistite, sono morte oggi, insieme a questo Senato destinato tra tre anni a ritrovo infrasettimanale dei consiglieri regionali, frattaglie di potere collaterale, affluente ma non essenziale.
Con l’Italicum chi vince prende tutto, e Renzi può star tranquillo. E chi perde? Anche lui tranquillo.
Roberto Formigoni sa che all’Ncd, partito di latta, toccheranno, se i sondaggi resteranno quelli di oggi, circa 18 deputati. Saranno tutti nominati. E lui ci sarà .
“È una buona legge”, spiega. Non dubitiamo.
A chi interessano le motivazioni con cui la Consulta ha bocciato la vecchia legge elettorale? Scurdammoce ‘o passato e brindiamo. “Finisce un anno e inizia l’altro. Come a scuola”, sorride il lucano Guido Viceconte.
“A forza di fare inchini si vede il culo”, urla in aula Vincenzo D’Anna, un senatore oramai trapassato. Scurrile ma efficace. “Non credevo che si arrivasse a tanto”, dice Paola De Pin, che ha patito l’espulsione dal Movimento di Grillo, e non le resta che rassettare la scrivania, spegnere la luce e fare ciao ciao con la manina a Roma.
Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LA DISSIDENTE PD DORIS LO MORO, MAGISTRATO IN ASPETTATIVA: “HO UN’ALTRA IDEA DI DEMOCRAZIA”
Doris Lo Moro ex magistrato, giusto?
«Magistrato in aspettativa. Se la legislatura finisce in anticipo torno a fare il mio lavoro».
Renzi vuole votare?
«Al mio segretario ho dato atto di avere una grande intelligenza. Mi piace una democrazia decisionista, capace di mantenere il ritmo».
Perchè allora ha votato contro la legge elettorale?
«Ho sostenuto la battaglia di Gotor ritenendo che avesse un senso. Ho i piedi per terra e sapevo che il rischio di uscirne sconfitti era concreto».
Che batosta…
«Un po’ di stress c’è. Ho vissuto la marginalità a viso aperto, questa sconfitta merita rispetto. Renzi sa usare gli strumenti del potere meglio di tutti i suoi avversari politici».
È vero che il premier in assemblea l’ha blandita?
«No, è stato sincero. E lo dice una che non è mai stata renziana perchè ha un’altra idea della democrazia. Io sono determinata nella battaglia, ma non spregiudicata nelle soluzioni».
Ha subito pressioni?
«È una cosa veramente brutta. Mi ha stressato la sensazione che si volesse ridurre oltre il lecito il livello di dissenso. Mettere la museruola ai parlamentari è sgradevole».
L’emendamento Esposito?
«Trovo sgradevole che molti miei colleghi abbiano ceduto a un presunto emendamento contro le regole e scritto malissimo, come un bignami degli articoli successivi».
Giudizio politico?
«Un peccato originale. Cercare i voti fuori dalla maggioranza è un elemento di spregiudicatezza che non giova alla autorevolezza di Renzi. Diceva di essere per le preferenze e che i nominati erano il prezzo da pagare a Forza Italia…».
Non è una nominata, lei?
«Sì e mi sarebbe piaciuto venire eletta dai cittadini. Ma non mi ricandido».
Pentita di aver lasciato l’incarico di capogruppo?
«No, ne sono orgogliosa. Molti del Pd hanno votato contro le loro opinioni».
Sul voto finale cosa farà ?
«Io voterei contro».
Monica Guerzoni
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
RIXI COME SERGIO ENDRIGO: LA FESTA APPENA COMINCIATA E’ GIA’ FINITA… LA GUARDIA DI FINANZA DENUNCIA ANCHE I LEGHISTI BRUZZONE E TORTEROLO
La relazione è stata consegnata in Procura tre giorni fa, accompagnata da alcuni contenitori di carte e
scontrini.
Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza denuncia vari esponenti del gruppo regionale Lega Nord per le spese sostenute in particolare fra il 2010 e il 2012, ipotizzando il reato di peculato.
Nello specifico, le Fiamme Gialle indicano al sostituto procuratore Francesco Pinto i nomi di tre politici: Edoardo Rixi, capogruppo nel periodo incriminato, Francesco Bruzzone, storico esponente del Carroccio nell’assemblea regionale, e Maurizio Torterolo.
Nel mirino dei militari, in base alle poche informazioni che trapelano in queste ore dagli inquirenti, sono finiti di sicuro viaggi avvenuti talvolta nel week-end e parcheggi, oltre a immancabili pranzi e cene.
Il magistrato nelle prossime ore deciderà se iscrivere il nome dei leghisti sul registro degli indagati e convocarli eventualmente per un interrogatorio.
Rixi, oltre ad essere il vicesegretario federale scelto da Matteo Salvini, è il candidato della Lega Nord alla presidenza della Regione ed è stato il primo a scendere ufficialmente in campo, prima che il centrosinistra proclamasse Raffaella Paita attraverso primarie piuttosto turbolente, con tutto quel che ne è seguito.
Sebbene la scelta d’indagare Rixi e i due compagni di partito spetti esclusivamente al pubblico ministero, l’accelerazione della Guardia di finanza rappresenta comunque uno snodo cruciale.
Le Fiamme Gialle erano state incaricate di passare al setaccio in primis gli scontrini che i partiti si sono fatti rimborsare nell’ultima legislatura, iniziata nella primavera 2010, concentrandosi in particolare sul biennio 2010-2012.
E hanno via via segnalato quelli che ai loro occhi erano stati comportamenti di rilievo penale: ogni consigliere che in precedenza era stato denunciato, è stato in seguito destinatario di un avviso di garanzia per l’uso disinvolto dei fondi a disposizione dei gruppi regionali.
Fino a questo momento sono 17 (di cui 14 fra consiglieri, o ex, regionali) le persone indagate nell’affaire spese pazze: Roberta Gasco (ex Udeur e Forza Italia) e Lorenzo Castè (ex Rifondazione) per la legislatura 2005-2010, gli altri per quella successiva. Si tratta di Nicolò Scialfa, Maruska Piredda, Marylin Fusco e Stefano Quaini, tutti ex Idv che si sono dimessi dall’assemblea, ancorchè in momenti diversi; Nino Miceli (Pd), Rosario Monteleone (Udc), dimissionario dalla presidenza del consiglio regionale ma ancora consigliere, e il suo “delfino” Marco Limoncini, sempre dell’Unione di Centro; Franco Rocca (ex Pdl, oggi Ncd), Alessio Saso (ex Pdl, oggi Ncd), Luigi Morgillo (ex Pdl, oggi Forza Italia), Raffaella Della Bianca (ex Pdl, passata al Gruppo misto) e Aldo Siri (Lista Biasotti).
A questi si aggiungono Giovanni Paladini (ex plenipotenziario Idv, indagato per fatti che avrebbe commesso mentre non ricopriva la carica di consigliere), Mario Amelotti (tesoriere Pd) e Giorgio De Lucchi (ex tesoriere Idv).
Ora tocca al gruppo leghista che in Liguria non ha buoni precedenti, a cominciare dalla vicenda Belsito.
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
CHIESTO AL VIMINALE INVIO COMMISSIONE PER VALUTARE SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE… IL SINDACO CHIAPPORI: “NON MI DIMETTO”
E’ approdato sul tavolo del Ministro dell’interno, Angelino Alfano, il dossier inviato dall’ex prefetto di Imperia, Fiamma Spena (oggi prefetto di Genova) con il quale si chiede di attivare la Commissione di Accesso, propedeutica ad un eventuale scioglimento del Comune di Diano Marina per infiltrazioni mafiose.
Massimo riserbo da parte della Prefettura di Imperia, secondo la quale si tratta di atti “classificati” e, quindi, riservati.
Il sindaco di Diano Marina, Giacomo Chiappori (Lega Nord), ex parlamentare del Carroccio, non intende commentare la notizia della richiesta di inviare una Commissione di Accesso.
Tuttavia, alla domanda se alla luce di questi accadimenti sia plausibile un passo indietro, il sindaco dice di “no”. “Dimettermi? Mai neanche morto”, afferma.
A fine dicembre la procura di Imperia ha indagato per voto di scambio in concorso il sindaco di Diano Marina.
(da “il Secolo XIX”)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
NASCE LA FRONDA DELLA MINORANZA PD: “ORA BATTAGLIA SUL COLLE”
Il segnale per Matteo Renzi è chiaro: sul voto per il prossimo presidente della Repubblica, il premier
deve stare attento a 140 tra deputati e senatori di minoranza Pd. Tanti sono, più o meno, quelli che, nel pomeriggio, dopo l’ennesimo scontro interno in aula sulla riforma costituzionale, si incontrano nella sala Berlinguer del gruppo Pd della Camera.
E’ una pattuglia variegata, che non si trasforma per incanto in un blocco compatto. Nemmeno di fronte ai fatti successi oggi e nemmeno se tutti i 140 più o meno concordano sul fatto che oggi è nata una nuova maggioranza di governo per il soccorso azzurro di Forza Italia sull’Italicum in sostituzione dei 27 Dem che hanno seguito la protesta del bersaniano Miguel Gotor al Senato.
Però da oggi in poi, i 140, pur frazionati al loro interno sulla strategia da tenere per rovesciare o limitare (le ricette sono diverse) il Patto del Nazareno, costituiscono il buco nero che Renzi dovrà trattare con cautela quando la prossima settimana dovrà calare un nome da porre in votazione per il dopo Napolitano.
Il clima in sala Berlinguer è di mortificazione generale.
In tanti lo dicono, parlando con la stampa: chi con il sapore amaro della sconfitta, chi con il gusto altrettanto sgradevole del sentirsi esclusi dall’orizzonte di gioco del premier-segretario.
Perchè in sala Berlinguer ci sono anche parlamentari di minoranza che però non hanno mai votato contro le indicazioni del governo in aula.
Eppure sono lì, sconcertati anche loro per il nuovo clima di tensione nel partito.
E naturalmente vengono visti come “controllori: quasi quasi ti leggono pure gli sms che mandi…”, dice in anonimato un deputato tra i più oltranzisti.
Nella sala Berlinguer ci sono tutte le declinazioni del non essere renziani.
Ci sono i dalemiani, senza Massimo D’Alema. Ci sono i bersaniani con Pierluigi Bersani che si affaccia solo per un quarto d’ora e se ne va, scoccando la sua freccia contro il premier sulle agenzie di stampa: “Dica se vuole l’unità del Pd”.
Ci sono lettiani senza Enrico Letta, veltroniani senza Walter Veltroni.
C’è Gianni Cuperlo, che parlando ai 140 avrebbe gridato alla “mutazione genetica del Pd”, raccogliendo applausi.
C’è Stefano Fassina, tra i più anti-renziani. C’è lo stesso Gotor provato dalla battaglia in Senato e il suo ‘Sancho Panza’, il senatore Paolo Corsini che sull’Italicum lo ha seguito in tutto e per tutto.
C’è Pippo Civati, che non sta nella pelle: “Oggi hanno rifondato il Patto del Nazareno e uno dei due contraenti, Berlusconi, dice che è nata una maggioranza nuova. Dobbiamo alzare il livello!”.
Civati entra ed esce dalla riunione, parla con i cronisti: “Qui solo scaramucce, non c’è nessuna vera botta in vista. Poi se nasce un’iniziativa seria, allora valuto. Sennò mi chiamo fuori”.
Per lui la “vera botta” sarebbe candidare Romano Prodi per il Quirinale, unico autorevole, unico anti-Patto del Nazareno.
Ma il clima in sala Berlinguer non è questo. Giusto Rosi Bindi potrebbe apprezzare. Lei lascia l’assemblea ben presto allargando le braccia: “Riunione troppo eterogenea, spuria… L’analisi c’è, ma non mi pare che sia matura la conclusione”.
Cioè non è maturo l’ossessivo ‘che fare’ della sinistra.
Che fare, una volta che si è tutti d’accordo sul fatto che pare nata “una grande coalizione Pd-Forza Italia senza nemmeno averne discusso prima”, come dice persino il mite Cesare Damiano?
Che fare? Non è semplice deciderlo alla Sala Berlinguer. Dentro ci sono persino personalità del sottogoverno del premier, come il viceministro Filippo Bubbico, i sottosegretari Luciano Pizzetti e Sesa Amici.
E poi parlamentari di minoranza che però non condividono la forzatura di Gotor, figurarsi se possono condividere il gesto di Civati che oggi ha osato votare no all’emendamento che istituisce i senatori a vita nella riforma costituzionale, mentre una 40ina di deputati di minoranza non ha partecipato al voto.
Per dire che le strategie restano diverse. “C’è chi è convinto che basti la testimonianza e chi invece non si ferma… – sintetizza il senatore lettiano Francesco Russo — Io credo che la fronda sull’Italicum abbia spinto ancor di più Renzi a rafforzare il Patto del Nazareno. E il rischio è che, così facendo, lo si metta nella condizione di giocare con Berlusconi anche sul Colle. E’ controproducente”.
Ad ogni modo, anche Russo condivide l’invito lanciato ai 140 dal bersaniano D’Attorre, uno dei più accalorati in assemblea: “Non disperdiamoci sulla corsa per il Quirinale!”.
Che significa: non facciamo la solita gara tra correnti, tra chi lavora per Fassino, chi per Veltroni, chi per Finocchiaro, chi per Amato, chi per Franceschini.
Sono i nomi che girano da sempre, i nomi per cui da tempo sono mobilitate le varie anime del Pd, tra riunioni, cene e conciliaboli in Parlamento.
In realtà , pare che oggi il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini abbia sondato l’opposizione di Sel sul nome di Piercarlo Padoan, ma anche Graziano Delrio, in primis. E poi anche Giuliano Amato, Sergio Mattarella, un po’ meno sulla Finocchiaro.
La divisione interna è il rischio concreto che la mortificazione generale della sala Berlinguer per ora non riesce a eliminare dal campo.
Ed è questo che fa gongolare Renzi, ancora. Sull’Italicum, forza il premier parlando a margine del Forum economico di Davos, la minoranza ha una “posizione che nemmeno i militanti delle feste dell’Unità condividono, ma questo è ininfluente sul risultato finale. E non ci saranno conseguenze sul Quirinale”.
Però nonostante la varietà interna, i 140 promettono di farsi sentire. Proprio sulla corsa per il Colle, che si annuncia già come una battaglia.
In sala Berlinguer c’è anche il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, cui spetta il compito di sintetizzare la posizione per tutti e di metterla giù morbidissima col premier: “Dobbiamo lavorare per unire il Pd sul presidente della Repubblica: è la richiesta forte che arriva da un pezzo del Pd. Ma ho fiducia nel nostro segretario. Sono sicuro che lavorerà per unire il Pd”.
Ma intorno a lui prevale la convinzione opposta.
E cioè che, ora che è nata la fronda dei 140, Renzi farà di tutto per dividerla.
Come è riuscito a fare sul Jobs Act, separando i dialoganti Bersani, Epifani, Damiano dai Cuperlo, Fassina e un’altra trentina.
“Lo rifarà sul Colle”, si ammette tra i 140.
Risponderanno uniti?
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
ACCORDO CON ALFANO E COME CANDIDATO DI BANDIERA VIENE RICHIAMATO ALLE ARMI MARTINO
C’è un motivo se, all’uscita dall’incontro con Silvio Berlusconi a palazzo Madama, Angelino Alfano dice che “ha certamente un significato la posizione comune sul capo dello Stato” e ha un “significato quanto fatto da Forza Italia sulle riforme”.
E c’è un motivo se Paolo Romani, col volto radioso, definisce “prematuro” l’ingresso di Forza Italia nella maggioranza di governo.
Prematuro, ma non fantasioso.
È il “partito della Nazione” la suggestione che nasce nel terremoto del Senato: Forza Italia stabilmente in maggioranza, una collaborazione sempre più stretta con Renzi in sostituzione della sinistra, e su queste basi, chissà , la fantasia non ha freni.
Il primo ad averli tolti è stato proprio il Cavaliere che va ripetendo che con “Matteo” si farà “qualcosa di buono assieme”.
È questa suggestione di “partito della Nazione” che carica l’elezione di un nuovo capo dello Stato di un nuovo significato in più: la consacrazione di quello che, nel Palazzo, viene chiamato lo “schema 22 febbraio” con Forza Italia che sostituisce, in maggioranza, un pezzo di sinistra. Berlusconi, a questo punto, si aspetta un capo dello Stato espressione della maggioranza del 22 febbraio, senza sinistra.
Il Nazareno è anche numero. E l’obiettivo è in due numeri che Silvio Berlusconi ha ben presenti. 50, come i voti di determinanti di Forza Italia sull’Italicum.
Sedici, come la somma di Forza Italia e Ncd in caso di voto, che significa arrivare terzi o quarti.
Un azzurro di rango, appena uscito da una riunione con Verdini, dice all’HuffPost: “Renzi non vuole essere ostaggio dei suoi e ha capito che la collaborazione organica con Berlusconi funziona. E a Berlusconi non importa del consenso elettorale, per questo ha accettato questa legge, ma di un’alleanza sempre più stretta con Renzi. Forza Italia è la corrente di destra del Nazareno che sostituisce i comunisti. Ingresso al governo? No, non subito. Ma è chiaro che ciò che funziona non va rotto”.
In cambio, come ormai assicura Verdini parlando con i parlamentari, ci sono garanzie sull’agibilità politica.
Ecco il Quirinale è tutto questo. È il punto finale del primo anno di Nazareno (appoggio sulle riforme in cambio di garanzie su interessi Berlusconi) e la garanzia sul secondo anno (appoggio a tutto campo in cambio di garanzie e ingresso in maggioranza).
Impossibile, dopo quello che è successo oggi, suonare lo spartito dell’opposizione. All’uscita dal vertice di palazzo Madama, una vecchia volpe come Lorenzo Cesa per la prima volta nomina la parola governo: “Tutto è in rapida trasformazione con possibili scomposizione a sinistra e ricomposizione al centro. C’è una fortissima pressione a livello europeo affinchè i vari partiti di centrodestra si rimettono insieme e governino questo passaggio anche economico”.
Ed è in quest’ottica che il Cavaliere ha bisogno di un partito compatto, di fedelissimi, che eseguano senza tanti dibattiti.
Una nuova scissione è nel conto. Per questo nel corso della riunione dei gruppi alla Camera recapita un avviso si sfratto a a Fitto e alle sue truppe: “Vi chiedo di cambiare linea o di cercare un’altra via”.
Anzi, racconta chi ha parlato con lui che “il presidente è particolarmente infastidito dal fatto che Raffaele non se ne va”. Tanto da aver rivalutato il comportamento di Alfano di un anno fa: “Almeno Angelino ebbe le palle, questo invece…”.
E c’è tutto il senso della condivisione del nome con Renzi nell’indicazione, fatta nel corso della riunione dei gruppi, del nome di Antonio Martino come candidato di bandiera alle prime tre votazioni.
La verità è che Martino potrebbe esserlo ma anche no.
Prosegue la stessa fonte di rango: “Silvio si è gasato dopo ieri, e indicando Martino ha fatto il primo errore. Ma lui è così, non si tiene. Con Alfano si era convenuto niente nomi, e invece… Invece l’ha detto. Ma sono chiacchiere.
Lo schema concordato con Alfano, e su cui c’è un pacchetto di 250 grandi elettori è che per ora si dice che al Colle serve un moderato in attesa di un nome condiviso con Renzi, da scegliere in una rosa”.
Però l’ebbrezza del successo ha già prodotto i primi effetti.
Parlando con i suoi in libertà Berlusconi ha fatto capire che non si aspetta la grazia perchè è difficile che un nuovo presidente come primo atto possa dare, però sulla salva-Silvio si aspetta qualcosa.
E si aspetta che il nuovo capo dello Stato, a differenza del precedente, si spenda all’estero negli ambienti che contano per ottenere la riabilitazione, che passa anche per la corte di Strasburgo. Attorno si sono già scatenate le ambizioni dei suoi.
Perchè, dice sempre la fonte che ha parlato con Verdini, “se per Silvio entrate in maggioranza significano gli affari suoi, gli altri già si vedono ministri”
(da “Huffingtonpost”)
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