TRA PD E FORZA ITALIA ARRIVANO A 178 I POTENZIALI FRONDISTI
ALLA VIGILIA DEL VOTO SUL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO DATI CHE PREOCCUPANO IL GOVERNO
Sono 178 i potenziali frondisti nelle file dei grandi elettori di Pd e Fi in vista delle votazioni per il presidente della Repubblica.
«Renzi lo sa benissimo: c’era una possibile mediazione sull’Italicum e loro non hanno voluto mediare. Ora spetta a lui dire se si può partire dall’unità del Pd. Dare del parassita a senatori come Corsini, Gotor e Mucchetti è pericoloso. È gente per bene che non chiede niente e va trattata con rispetto. Se viene meno il rispetto è finita».
È lo stesso Pier Luigi Bersani a dare la linea entrando all’assemblea della minoranza del Pd convocata ieri pomeriggio nella sala Berlinguer di montecitorio: 140-150 i partecipanti.
Un segnale e un avvertimento plastico a una settimana dall’inizio delle votazioni in seduta comune per eleggere il successore di Giorgio Napolitano: l’accordo per il Colle va trovato dentro il Pd. E il clima in queste ore non è dei più sereni.
Alla minoranza non è andato giù il muro contro muro sull’Italicum, non è andata giù l’accusa di “parassiti” ai dissidenti del Senato lanciata dall’inventore del maxiemendamento Stefano Esposito (che comunque si è scusato), non è andata giù la vicenda della norma salva-Berlusconi che ancora pende sulla testa di tutti in attesa del Cdm del 20 febbraio, non è andato giù il modo in cui è stata liquidata la vicenda ligure e il caso Cofferati, e soprattutto non è andato giù l’incontro di lunedì con il leader di Fi.
Incontro interpretato come un modo per blindare il nome del prossimo Capo dello Stato.
«Un presidente del patto del Nazareno non lo votiamo», dice chiaro il bersaniano Davide Zoggia. Che segnala anche i 50 del Pd che hanno lasciato proprio ieri l’Aula della Camera sull’emendamento di Ettore Rosato che ripristina i senatori a vita: «È accaduto senza alcuna preparazione, senza alcuna assemblea. Sono segnali da non sottovalutare. C’è uno stress che ha raggiunto ormai livelli di guardia».
Ma i 140 sono per la verità solo un numero. Ci sono Gianni Cuperlo che parla di «mutazione genetica» del Pd, Rosy Bindi che insiste con la candidatura Prodi, Pippo Civati che chiacchiera tranquillamente con i giornalisti della sua prossima uscita dal partito.
Ma c’è anche il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, che uscendo dichiara di avere «fiducia» nel suo segretario e si mostra sereno: «La domanda che viene da questi parlamentari è che si unisca il Pd».
Con Speranza ci sono anche Cesare Damiano, Nico Stumpo, Francesco Russo, il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti.
Parlamentari non proprio sulle barricate rispetto alla linea di Renzi. Tanto che qualcuno dei “pasdaran” storce il naso e dice che c’erano parecchi «controllori» da parte di Renzi.
Dai piani altri del Nazareno mostrano tranquillità . Pallottoliere alla mano, si danno per “irrecuperabili” al massimo una trentina di voti in Senato e una quarantina al Camera: 70 su 415 parlamentari.
E lo stesso premier mostra sicurezza, come è d’altra parte nella sua indole: «Il percorso di cambiamento che l’Italia ha iniziato sta continuando, è giusto che sia così e non ci fermiamo. Non si molla di un centimetro», dice da Davos notando che i frenatori in azione ci provano ma non ce la fanno: ininfluenti alla prova dei fatti.
«Che le riforme si fanno con l’opposizione non è una novità », aggiunge Renzi tenendo distinte le due partite dell’Italicum e del Quirinale. E ricordando che in ogni caso, come dimostra lo schianto del 2013 su Prodi, il Pd non è autosufficiente nemmeno sul Quirinale.
Ma al di là della sicurezza ostentata, il premier sa bene che c’è tutta un’area che fa riferimento a Bersani (circa 80 parlamentari, se non di più) con la quale è necessario trovare la quadra nelle prossime ore.
Contatti sono in corso e un incontro è previsto prima di iniziare le consultazioni ufficiali, forse nel week end.
Emilia Patta
(da “il Sole24ore”)
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