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TOSI LANCIA LA SFIDA, ORA DEVE DEFINIRE IL PROGRAMMA ELETTORALE

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

LA NECESSITA’ DI COSTRUIRSI IN BREVE TEMPO UNA IDENTITA’ POLITICA: MA SALVINI ORA E’ MOLTO PREOCCUPATO

L’auditorium della fiera di Verona è pieno. Un migliaio di persone radunate in meno di due giorni.
Non male come prova muscolare quella con cui Flavio Tosi ha lanciato la propria candidatura.
Parte da qui, dalla sua città , la corsa solitaria del sindaco ribelle alla poltrona di governatore della Serenissima, al grido di “paroni a casa nostra”.
Una corsa contro il governatore uscente Luca Zaia e, soprattutto, contro la Lega di Matteo Salvini, reo di averlo messo alla porta “come nemmeno Renzi avrebbe mai fatto con la propria minoranza di partito”.
In platea ci sono i suoi fedelissimi, i tosiani convinti, tanti ex leghisti, gente a cui non sta piacendo il nuovo corso della Lega, troppo lontana dagli ideali di Miglio e del Bossi autentico.
Poi i soliti curiosi e anche qualche contestatore che viene subito isolato dalla sicurezza.
“Dopo 25 anni di storia nella Lega, la Lega diventa una famiglia, un mondo in cui hai i tuoi legami, gli affetti, sono pagine difficili da chiudere…”.
Esordisce così Flavio Tosi, con il fiatone e la voce rotta dall’emozione.
Ci tiene a chiarire bene da dove viene e quali sono i valori a cui non intende rinunciare: “Gli ideali non si cancellano — dice -. Restano e resteranno per sempre gli ideali della mia vita”.
Si professa politicamente libero (perchè qualcuno ha scelto così) e “da uomini liberi siamo qui per candidarci a governatore della Regione Veneto”.
Ripartendo da quegli ideali di autonomia, federalismo e liberismo che hanno contraddistinto l’agire politico del Carroccio e del Veneto.
Matteo Salvini intanto osserva da vicino. È lui, almeno nell’immediato, a dover rincorrere.
Nella giornata di venerdì, in occasione della conferenza stampa seguita al consiglio federale è apparso molto nervoso.
Un’agitazione tradita dal movimento inquieto delle gambe e dallo sguardo perso nel vuoto. E come dargli torto.
Mentre Tosi a Verona arringa il suo popolo, lui è costretto a mettere le tende in Veneto. Due giorni al fianco di Luca Zaia, per recuperare il terreno perso e ribadire la bontà  della proposta leghista: “Non mi interessano le beghe. Nessun rancore, a Tosi faccio i miei migliori auguri”, ripete come un mantra il segretario leghista.
Sa che la rottura con Tosi rappresenta il più grande azzardo della sua vita politica. Dopo settimane di successi e di crescita incontrastata si trova per la prima volta a fare i conti con un vero avversario.
Qualcuno in grado di tenergli testa e di rubargli quella visibilità  di cui si è nutrito in maniera bulimica per mesi, collezionando un numero impressionante di apparizioni mediatiche.
Ora che la rottura è stata consumata e officiata, la lotta sarà  tutta da giocare in campo aperto.
La partita di Salvini e Zaia sarà  giocata tutta sulla concretezza dei risultati ottenuti “dal miglior governatore d’Italia”. Manca un mese e mezzo alle elezioni.
Quaranta giorni in cui Salvini dovrà  riuscire a convincere i veneti della bontà  della propria scelta.
Dall’altro lato Flavio Tosi dovrà  invece riuscire a trovare dei temi forti e delle parole d’ordine credibili, in grado di marcare la distanza dalla proposta leghista.
Nel medio periodo non gli sarà  sufficiente proporsi come il leghista “moderato e rispettoso”.
Non gli basterà  criticare i modi e i toni rudi di Salvini. Se vorrà  riuscire ad essere incisivo dovrà  riuscire a rappresentare una vera alternativa anche nei contenuti.
Quale è oggi la proposta politica di Tosi? Una domanda a cui non è facile rispondere. Dal palco della sua kermesse veronese ha attaccato il leader del Carroccio perchè le sue proposte sono demagogiche:
“Non si può grattare la pancia alla gente andando dietro alla moda del grillismo”, bocciando in una sola mossa due dei capisaldi della proposta salviniana: la flat tax e l’idea di abbandonare la moneta unica, salvo poi ribadire nei fatti che “l’Euro ha fatto molti danni” e che “le tasse vanno abbassate, partendo però dal taglio della spesa pubblica”.
Rivendica l’autonomia del Veneto dalle decisioni lombarde e si propone con lo slogan “Flavio Tosi per l’Italia intera”.
Se per Salvini non sarà  facile far digerire ai veneti la rottura con il sindaco scaligero (rottura che, nei fatti, è già  costata alla Lega la guida della principale città  amministrata dal centrodestra), Tosi dovrà  riuscire in poche settimane a crearsi un’identità  e ad imporla.
Chi si frega le mani è la candidata del Pd Alessandra Moretti che, da sfidante perdente, se ne sta comodamente seduta alla finestra ad osservare la baruffa nel pollaio del vicino.
E con l’innesto della variabile Tosi anche lei inizia a credere potersi giocare la partita.

Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano“)

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BOICOTTATO DAI VERTICI, FITTO IN PIEMONTE FA FLOP

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

ALLA SUA CONVENTION APPENA UN CENTINAIO DI PARTECIPANTI: “COSI’ NON SI RICOSTRUISCE IL CENTRODESTRA”

È un flop l’ appuntamento organizzato a Torino dai Ricostruttori, la corrente di Forza Italia nata attorno a Raffaele Fitto.
Si è data appuntamento all’ hotel Fortino ma gran parte della sala era vuota.
Fitto non ha nascosto l’ amarezza per l’assenza dei vertici piemontese di F.I: “Non è così che si può lavorare per ricostruire il centrodestra” ha detto all’ arrivo.
In sala solo un centinaio di persone, in un clima piuttosto dimesso .
Pochi i nomi di spicco del partito. Sul palco   Daniele .Capezzone.
Al fianco di Fitto, Ettore Puglisi   e Valter   Zanetta di Verbania, i due esponenti di Forza Italia espulsi dal coordinatore regionale   del Piemonte Gilberto Pichetto.
In sala Agostino Ghiglia e Il senatore Andrea Fluttero.
“Mi dispiace che qui a Torino siano state fatte scelte sbagliate come quella di non partecipare a questa iniziativa, non si risolve il problema di 9 milioni di elettori che ci hanno abbandonato mettendo fuori chi la pensa diversamente. Non partecipare è un errore, sarebbe stato meglio essere presenti anche per dire cose diverse in modo da aprire un confronto serio sulle prospettive future del partito e del centrodestra, ogni spunto può essere utile”.
Poi ha aggiunto “Forza Italia deve essere un partito di opposizione,   alle   politiche economiche di questo governo. Quello che non è stato fatto finora dovrà  essere fatto nei prossimi mesi . Il futuro di   Forza   Italia non può che passare da un   ritrovata   e chiara linea politica è da un modello organizzativo che possa essere più coinvolgente. Così si rischia di lasciare spazio alla Lega, il rapporto con la Lega   non può che essere competitivo all’ interno della medesima coalizione.   Non possiamo elencare solo le cose che non vanno come fa la Lega ma fare proposte serie.   Berlusconi ha due possibilità  o chiudere la vicenda del partito negando il confronto   interno. O, al contrario, partecipare al confronto creando una vera alternativa”.

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SPOGLIARELLI, BALLI E ALCOL SULLA FONTANA DEL CINQUECENTO: IL DEGRADO A ROMA, LO STATO DORME E LA DESTRA PENSA ALLE CAZZATE

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

UNA CONSIGLIERA MUNICIPALE DENUNCIA IN UN VIDEO: PERSONE CHE URLANO UBRIACHE SALTANDO SUI MARMI DEL MONUMENTO DEI CATECUMENI, CHIAMA POLIZIA, CARABINIERI E VIGILI MA NON INTERVIENE NESSUNO

«La fontana cinquecentesca dei Catecumeni come la Barcaccia» denuncia la consigliera del I Municipio, Nathalie Naim che ha realizzato il video con la movida notturna sfrenata in piazza Madonna de’ Monti.
«Spogliarelli, lanci di bottiglie sugli gli antichi marmi insozzati da birre e vetri» racconta Naim, che aggiunge: «Centinaia di persone urlano in delirio alcolico. Le piazze monumentali abbandonate dalle istituzioni che non intervengono neppure su chiamata, mentre nonostante il codice rosso si continua a consentire le aperture di centinaia di nuovi locali».
«Il monumento – continua la Naim – è visibilmente rovinato».
Il racconto
«Sono arrivata all’una e mezza di notte e ho visto delle persone sopra la fontana, mi sono avvicinata e ho visto che stavano saltando sul bordo. Uno di loro ha fatto uno spogliarello, era visibilmente ubriaco, ma anche gli amici intorno a lui erano ad alto grado alcolico, urlavano e lo incitavano a fare il bagno».
Nathalie Naim racconta che erano centinaia le persone nel delirio, tra italiani e stranieri. «La musica è proseguita fino alle 4 del mattino, ed era musica amplificata mista a bonghi. Ho chiamato il 113 che mi ha detto di chiamare i vigili i quali a loro volta hanno detto che, poichè sono problemi di ordine pubblico, loro non possiamo intervenire. Allora ho chiamato il 112, ma a loro volta mi hanno detto di chiarare in vigili… insomma un rimpallo…».
La consigliera sottolinea: «Non è un caso isolato, in piazza c’è una festa tutte le notti, suonano con le percussioni e c’è chi mette la musica con lo stereo…».
Le richieste al prefetto e al sindaco
«Le misure che abbiamo chiesto al prefetto e sl sindaco come Consiglio del Municipio per evitare queste situazioni sono un presidio nella piazza, telecamere e regolamentare vendita e consumo di alcolici».
La fontana cinquecentesca
Disegnata da Giacomo Della Porta su commissione di papa Sisto V (Peretti, 1585-1590), la fontana dei Catecumeni in piazza Madonna dei Monti fu costruita tra il 1588 e il 1589 dallo scalpellino Battista Rusconi.
Il modello cui si ispirò l’autore è la fontana di Santa Maria in Trastevere, anche se questa dei Monti presenta un minor numero di motivi ornamentali.
È costituita da una vasca in travertino di forma ottagonale che poggia su una base a quattro gradini; sulle facce della vasca sono scolpiti lo stemma di Sisto V e del Comune. Al centro sono due balaustri che sostengono due catini; da quello superiore, decorato con maschere e festoni e sovrastato dai monti sistini, zampilla l’acqua che si riversa in quello inferiore e da questo, attraverso quattro protomi leonine, ricade nella vasca ottagonale.

Manuela Pelati
(da “il Corriere della Sera”)

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GIUBILEO, L’ENNESIMO SMACCO DEL PAPA ALLA POLITICA

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

NESSUNO SAPEVA, SORPRESO ANCHE IL GOVERNO

E’ l’ennesimo smacco alla politica o forse solo una sorpresina che voleva davvero riuscire come sorpresa per tutti.
Fatto sta che il mondo della politica fa fatica a nascondere lo spiazzamento di fronte all’annuncio di Papa Francesco di un giubileo straordinario a partire dall’8 dicembre e per tutto l’anno prossimo.
Si può dire che lo ‘scherzetto’ sia riuscito.
Tra le forze politiche nessuno sapeva e al governo pare siano stati informati soltanto ieri. Sembrerebbe che nemmeno Sergio Mattarella sapesse, ma c’è da dire che il presidente della Repubblica si è insediato da poco e non ha ancora avuto modo di conoscere personalmente il Pontefice.
Niente paura, “questo è un evento spirituale, il papa non pensa ad un’organizzazione megagalattica — ci dice il direttore della Sala Stampa Vaticana Padre Lombardi — Non lo paragonerei al Giubileo del 2000 che aveva un carattere storico ed era previsto e preparato con largo anticipo”.
Però sarà  comunque un evento speciale che richiama fedeli da tutto il mondo per un intero anno a Roma.
Un evento da gestire, dal punto di vista dell’organizzazione e della sicurezza.
“C’è il tempo per farlo”, confida Padre Lombardi.
La politica intanto cerca di riprendersi dalla ‘sberla’, a fatica: tanto che i primi commenti arrivano solo in serata. Quanto all’organizzazione, partirà  quando il tutto sarà  più chiaro.
Matteo Renzi commenta dall’Egitto, dove si è recato anche per incontrare il presidente Al-Sisi sulla crisi in Libia.
“L’annuncio del Giubileo è una buona notizia che il governo italiano accoglie con i migliori auspici – dice il premier – Si tratta di un appuntamento importante, il cui carattere religioso, come sottolineato da papa Francesco, è uno spunto di riflessione e di meditazione per tutti. Sono sicuro che, come già  nel 2000, Roma si farà  trovare pronta: l’Italia, che quest’anno ospita l’Expo, saprà  fare la sua parte anche in questa occasione”.
Ma il fatto che nessuno sapesse – nemmeno i politici di area cattolica, gente che ha sempre avuto contatti con il Vaticano – conferma che questo Pontefice ha tagliato le cinghie di trasmissione che in Italia hanno sempre regolato i rapporti tra Stato e Vaticano.
Del resto, non è una novità : tra Papa Francesco e i politici – parlamentari o membri del governo — non è mai scoppiato il feeling.
Quest’anno il Papa ha annullato la consueta messa con i parlamentari, che si tiene ogni Quaresima. Nulla di sconvolgente. Del resto, il buongiorno si è visto dal mattino. L’anno scorso, appena eletto al soglio pontificio, infatti, Papa Francesco officiò una messa per i parlamentari di cui si è scritto molto nelle cronache non per l’incenso e gli onori ma per l’omelia cruda e sferzante, contro “l’ipocrisia e la corruzione delle classi dirigenti”.
Una classe che si è “allontanata dal popolo: chiusa nel suo gruppo, nel suo partito, nelle sue lotte intestine”.
Nemmeno a dirlo, la politica non gradì. E fu anche una cerimonia sobria, spartana, come è nello stile di questo Papa. Poche strette di mano: tra i pochi eletti per i saluti individuali, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che tra l’altro solo pochi giorni fa ha partecipato ad un incontro alla Cei in vista delle settimane sociali di fine anno.
Ma sembrerebbe che nemmeno Delrio, interlocutore principale dei ‘cattorenziani’ del Pd, sapesse con largo anticipo del Giubileo straordinario.
Ed è stato colto di sorpresa anche il sindaco di Roma Ignazio Marino, che commenta: “E’ una buona notizia per Roma, un importante appuntamento religioso e un’occasione per credenti e non credenti, per riflettere sul senso della vita. Roma è da subito pronta ad affrontare questo evento mondiale, così come lo è stata in occasione della beatificazione dei due Papi il 27 aprile del 2014”.
Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti twitta: “Gioia immensa per un annuncio straordinario che ci richiama alla misericordia, al perdono e all’attenzione verso gli ultimi”.
Nemmeno Francesco Rutelli, sindaco di Roma all’epoca del Giubileo 2000, sapeva in anticipo. “Sarà  un Giubileo francescano, nessun paragone con quello di 15 anni fa”, commenta in un’intervista all’Huffington Post, concordando con la lettura di Padre Lombardi.
“Il Giubileo è un’idea straordinaria per stimolare, rilanciare, rifondare la fede: il che è la caratteristica di questo pontificato”, sottolinea il cattolicissimo Giuseppe Fioroni, per niente sorpreso della ‘sorpresa’ del Papa: “E’ nel suo stile”.
Da questa parte del Tevere hanno imparato a conoscerlo.

(da “Huffingtonpost”)

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LA VERGOGNA NON VA PIU’ DI MODA

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

LA POLITICA E’ PEGGIO DI UN VIRUS, O HAI GLI ANTICORPI O TI CAMBIA DENTRO…NON CREDO NEI LEADER, NON NE HO MAI AVUTO BISOGNO, PREFERISCO USARE IL MIO CERVELLO

Basta con la politica…basta per carità , non ne voglio più sapere.
E’ peggio di un virus, se non hai gli anticorpi – ma di quelli davvero tosti – entri dentro ai meccanismi e piano piano ti assuefai prima ai privilegi, poi ti sembra di avere il potere, quello vero, e ti piace, sempre di più, finchè neanche te ne accorgi e sei disposto a tutto pur di averlo
Perchè tanto se non sei tu lo avrà  qualcun altro, magari uno peggio di te.
Ne ho visto tanti, troppi, fin dagli anni ’70 a Roma: erano bravi ragazzi, compagni di scuola, amici della stessa sezione e poi qui a Varese “brave persone”.
Insieme si poteva crescere e fare davvero qualcosa per la città , avremmo potuto e dovuto far vedere che per noi la comunità  va messa al primo posto, che per noi gli Ideali sono linee guida nella vita e non solo parole inserite nei nostri discorsi per toccare le corde più profonde.
Avremmo potuto dare una sferzata alla vecchia politica stantia dove chi decide è il Partito e non la gente, invece tutto questo è stato buttato alle ortiche per i personalismi, un malinteso senso del gruppo anzichè della comunità , l’arroganza di pochi e la dipendenza di molti.
Non credo nei leader, non ne ho mai avuto bisogno e non riuscirei mai a seguire una persona senza usare il mio cervello e il mio senso critico
Per me i leader non esistono, esistono gli imbonitori, gli adulatori, i capipopolo.
Quindi deduco di non essere tagliata per la politica.
Ne prendo atto e forse anche con soddisfazione, anche se continuerò sempre ad interessarmi della Res Publica perchè appartiene anche a me, ai miei familiari, ai miei vicini ed ai miei amici: nessuno può negarmi il diritto di occuparmene, e se e quando lo riterrò opportuno non esiterò a chiamare degli amici per unire le nostre voci contro qualcosa che non va bene, ma intendo farlo sempre e comunque, ricordando a me stessa che – fino a prova contraria- le persone contro cui protesto come tutte quelle che hanno un pensiero diverso dal mio vanno rispettate, cosà­ come vanno rispettate le loro idee.
Rispettate ma combattute fino in fondo.

Laura Caruso

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CINQUE PROCESSI PER LUI POSSON BASTARE: TUTTI I GUAI DI VERDINI

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

REATI DA “FUORICLASSE” PER L’EX FALCO DELL’EX CAV: CORRUZIONE, ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE, BANCAROTTA FRAUDOLENTA, TRUFFA AI DANNI DELLO STATO… IL 10 APRILE C’È LA PRIMA UDIENZA

Da padre del patto del Nazareno, Denis Verdini si prepara a un nuovo equilibrismo politico: dar vita a un gruppo di renziani in Forza Italia.
L’amico di lungo corso, Matteo Renzi, conosciuto e sostenuto dal 2005, potrebbe aver bisogno di aiuto.
La minoranza critica del Pd e le barricate annunciate da Silvio Berlusconi minacciano possibili problemi all’esecutivo. Così Verdini organizza il soccorso azzurro.
Che se dovesse diventare indispensabile alla tenuta governativa, potrebbe però rivelarsi un bel problema. Per Renzi.
Anzi, cinque problemi. Tanti quanti sono i rinvii a giudizio e i processi che pendono sul capo dell’amico Denis. Per reati da fuoriclasse.
Spazia dal concorso in corruzione all’associazione per delinquere, dalla bancarotta fraudolenta alla truffa aggravata ai danni dello Stato.
Le danze dovrebbero aprirsi il 10 aprile al tribunale di Roma anche se, con ogni probabilità , Verdini farà  tesoro degli insegnamenti del suo ex leader di riferimento e ricorrerà  al legittimo impedimento.
Per quel giorno è fissata la prima udienza del processo per corruzione che vede il senatore alla sbarra insieme a Nicola Cosentino.
Il procedimento è relativo alla cosiddetta P3 descritta dai pm come una “associazione segreta” che aveva “come obiettivo” la realizzazione “di una serie indeterminata di delitti di corruzione, di abuso d’ufficio e di illecito finanziamento” oltre “a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonchè gli apparati della Pubblica amministrazione dello Stato e di enti locali”.
Il Gup Cinzia Parasporo ha accolto la richiesta del pubblico ministero Roberto Felici.
Il procedimento è già  costato in primo grado nell’ottobre 2012 la condanna a 3 anni e otto mesi di reclusione per gli altri imputati: Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e a Fabio de Santis, ex provveditore delle opere pubbliche della Toscana; a 2 anni e 8 mesi all’imprenditore Francesco Maria de Vito Piscicelli e a 2 anni il costruttore Riccardo Fusi.
Sempre per corruzione, a seguito di uno stralcio ancora dell’inchiesta P3, lo scorso novembre Verdini è stato rinviato a giudizio anche per gli appalti di costruzione della scuola marescialli di Firenze.
Insieme al parlamentare di Forza Italia, Massimo Parisi, deve invece rispondere di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato in relazione alla gestione del Credito cooperativo fiorentino (Ccf) del quale è stato presidente fino al 2010.
Secondo le indagini preliminari, concluse nell’ottobre 2011, le casse dell’istituto di credito sono state usate per elargire crediti milionari senza “garanzie” a “persone ritenute vicine” a Verdini, tra cui Marcello Dell’Utri, per un importo complessivo “di circa 100 milioni di euro” sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze i componenti del Consiglio di amministrazione della banca “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”.
Anche questo processo comincerà  ad aprile, il 21.
Verdini, nella sua camaleontica vita, dopo aver portato alla bancarotta l’istituto di credito in oltre dieci anni di presidenza, è riuscito a far fallire anche un giornale.
E anche nei panni di editore è riuscito a farsi rinviare a giudizio. Con esattezza l’accusa è truffa ai danni dello Stato ed è relativa ai fondi per l’editoria, che la sua Società  editrice Ste avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione del Giornale della Toscana: 20 milioni di euro.
Verdini è anche tra gli editori de il Foglio.
Infine, l’ultimo rinvio a giudizio, è relativo alla plusvalenza nell’acquisto di un immobile in via della Stamperia a Roma, alle spalle di Fontana di Trevi: un palazzo comprato e rivenduto all’Enpap, nella stessa giornata, dal senatore di Forza Italia Riccardo Conti, il 31 gennaio 2011, con una plusvalenza da 18 milioni.
Insomma il fautore dell’accordo tra Berlusconi e Renzi, l’uomo che ha trattato con Maria Elena Boschi per cucire l’Italicum addosso al Matteo toscano e che da mesi tiene a bada i falchi di Forza Italia che scalpitano per abbandonare il sostegno all’esecutivo (capitanati da Renato Brunetta e Maurizio Bianconi), ha qualche impegno con la giustizia.
Ma prima di allora vuole lasciare all’amico fiorentino una pattuglia di fedelissimi cui far affidamento, i renziani azzurri.

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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ALTRO CHE RISARCIMENTO PER RUBY: E SE CHIEDESSIMO NOI I DANNI A BERLUSCONI ?

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

I FEDELISSIMI DELL’EX CAVALIERE DICONO CHE DOPO L’ASSOLUZIONE È ORA DELL’INDENNIZZO, MA SONO GLI ITALIANI CHE DOVREBBERO CHIEDERE CONTO DEL DISASTRO BERLUSCONIANO

Adesso vorrebbe anche i danni.
Dopo la sentenza di Cassazione che lo ha assolto per il caso Ruby, Silvio Berlusconi sogna risarcimenti. Almeno simbolici.
Intorno a lui, però, c’è chi si sbilancia a chiedere anche indennizzi economici: “Assolto. E ancora assolto. Ma chi lo risarcisce della sofferenza e dei danni politici di questi anni? #aspettandolacorte europea”, ha scritto per esempio su Twitter la senatrice di Forza Italia Anna Maria Bernini.
Su Libero Franco Bechis si avventura in un calcolo spericolato: “Il Bunga Bunga ci è costato 500 miliardi di euro”, nel senso che la caduta di Berlusconi nel 2011, frutto anche ma non solo delle sue difficoltà  dovute alle inchieste giudiziarie, ha fatto sprofondare il Paese in un disastro di disoccupazione e conti pubblici fuori controllo: “È un fatto che l’Italia del bunga-bunga fosse una sorta di Eldorado rispetto a quella oggi capitanata da Matteo Renzi”.
La disoccupazione era più bassa, idem il debito pubblico, c’erano stati meno tagli.
Un classico ragionamento post hoc ergo propter hoc, visto che i peggioramenti sono arrivati dopo sono da attribuire all’assenza dell’ex Cavaliere da Palazzo Chigi (e non, per esempio, all’effetto delle sue politiche e alle misure che i successori hanno dovuto adottare per tamponarne le conseguenze).
È pericoloso cominciare il gioco dei numeri, perchè si può scoprire che se si iniziasse un contenzioso civile “popolo italiano vs Silvio Berlusconi”, l’ex premier rischierebbe di dover pagare un conto molto più alto a quello imposto dal suo divorzio da Veronica Lario.
Il costo dello spread: 28 miliardi    
Partiamo dalla fine: quando Silvio Berlusconi si dimette da presidente del Consiglio, il 12 novembre 2011, lo spread batte ogni giorno nuovi record.
Il 9 novembre era arrivato a 575 punti base che, tradotto, significa che i titoli di Stato italiani con scadenza decennale scambiati sul mercato erano più costosi del 5,75 per cento rispetto a quelli tedeschi.
Colpa dell’aumento di sfiducia degli investitori nella capacità  dell’Italia — e del suo rissoso governo di allora — di sopravvivere alla crisi dell’euro o effetto di un “complotto dello spread”, come lo chiama Renato Brunetta?
I fatti a sostegno della prima risposta sono tanti. Ma il conto finale è comunque da pagare: secondo le stime de La-voce.info (fatte a febbraio 2013), se l’Italia avesse continuato a emettere debito pubblico ai costi precedenti alla crisi dello spread — che inizia con l’impasse tra Berlusconi e il ministro Giulio Tremonti sulla manovra estiva del 2011 — avrebbe risparmiato 28 miliardi di euro in 15 anni.
Quindi, in un’ipotetica causa di risarcimento, gli italiani potrebbero cominciare chiedendo indietro a Berlusconi quei 28 miliardi.
Il boom della spesa e il buco dell’Iva da 40 miliardi    
Il Cavaliere si è sempre accreditato come un liberista nemico degli sprechi e pronto a tagliare la spesa pubblica con le cesoie.
I numeri dei suoi primi governi non sono coerenti con le promesse: nel 1994 la spesa pubblica era il 53,5 per cento del Pil, nel 1995 il 52,5.
Quando torna al potere nel 2001 era al 48 per cento, dopo cinque anni era al 48,7.
Rientra a Palazzo Chigi nel 2009 e la trova al 48,8, lascia nel 2011 che è quasi al 50.
La proporzione dipende da quanto crescono le spese ma anche da quanto cresce il Pil, e questo — soprattutto negli anni della crisi — non si può imputare tutto al centrodestra.
A Berlusconi e al suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti si può invece ascrivere un buco vero da 40 miliardi.
Nella legge di Stabilità  2011, viene previsto un taglio delle detrazioni fiscali per per 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 nel 2014 e un aumento dell’Iva ordinaria di un punto (che costa subito ai contribuenti 4,2 miliardi).
Se la riforma del fisco non si fa, scattano le clausole di salvaguardia: tagli lineari a tutte le deduzioni e detrazioni.
La riforma, ovviamente, non si è fatta (la delega fiscale è tuttora poco applicata). E per evitare il massacro tributario, i governi successivi hanno spalmato quei risparmi previsti trasformandoli, in gran parte, in aumenti dell’Iva.
Qualche taglio vero però Berlusconi lo ha fatto: sempre nella legge di Stabilità  2011, per esempio, ha ridotto i fondi per le politiche sociali, alla famiglia, alle politiche giovanili, all’infanzia, al servizio civile per oltre 400 milioni di euro in meno a disposizione delle fasce di popolazione che più hanno subito la crisi.
L’Università  e la scuola hanno perso, tra 2008 e 2011, ben 10 miliardi.
Il regalo agli evasori a spese degli onesti  
I contribuenti onesti poi, potrebbero chiedere indietro a Berlusconi le tasse che hanno versato al posto degli evasori condonati.
Secondo i calcoli del Sole 24 Ore, chi ha usufruito del primo scudo fiscale nel 2001-2002, per capitali da 65 miliardi ha pagato un’aliquota bassissima, il 4 per cento.
E lo Stato ha incassato 1,6 miliardi. La stessa aliquota è stata usata per i 12,4 miliardi di capitali dello scudo fiscale 2003, per un gettito di 500 milioni.
Sui 104,5 miliardi di euro emersi con lo scudo del 2009-2010 è stata pagata un’aliquota tra il 5,6 al 7 per cento, con un beneficio per lo Stato di 5,6 miliardi. In cambio di pochi spiccioli, gli evasori si sono messi al riparo da future contestazioni: la lista Falciani degli italiani con i conti alla Hsbc in Svizzera serve a poco.
Tra i responsabili di un’evasione stimata di 742 milioni di euro, ben 1264 hanno usato lo scudo fiscale.
E quindi non pagheranno un euro in più, neppure ora che sta per cadere il segreto bancario in Svizzera. Berlusconi e Tremonti hanno rinunciato a incassare 32 miliardi subito e poi 500 milioni all’anno, questo il prezzo di non aver imposto il rientro dei capitali svizzeri prima dei condoni.     Gli affari suoi hanno congelato il capitalismo
Oltre ai danni causati, ci sono i benefici che Berlusconi ha ottenuto, che potrebbero essere oggetto di un’ipotetica causa risarcitoria.
Il bilancio 1994 fotografa la Rai all’inizio del ventennio berlusconiano. I ricavi sono 2 miliardi circa, di cui 1,13 miliardi di canone e 671 milioni di pubblicità , il 34 per cento del totale.
Nel 2001, al termine dei cinque anni di governo dell’Ulivo, la Rai sta molto meglio.
I ricavi totali sono saliti a 2,7 miliardi, di cui 1,35 provenienti dal canone e 1,128 dalla pubblicità , che è cresciuta dunque del 70 per cento ed è arrivata al 40 per cento delle risorse totali a disposizione della tv pubblica.
Nel 2013, ultimo bilancio disponibile, i ricavi totali Rai sono fermi a 2,7 miliardi, come dodici anni prima, ma il canone è salito a 1,755 miliardi e la pubblicità  è scesa a 682 milioni, più o meno come nel ’94, e vale solo il 25 per cento del fatturato. In pratica, con l’efficace sistema di tutela degli interessi Mediaset, Berlusconi ha portato i telespettatori a pagare ogni anno 400 milioni in più di canone per compensare lo spostamento della pubblicità  dalle reti pubbliche alle sue.
Negli anni si è sommato un regalo da alcuni miliardi di euro che B. si è fatto fare dai contribuenti, in particolare da quelli a lui più cari che non evadono il canone e altre tasse.     L’influenza del sistema politico berlusconiano sul sistema delle grandi imprese è stato efficacissimo e dannosissimo quando c’erano in gioco i suoi interessi personali.
Oppure quando ha potuto esercitare direttamente il potere sulle aziende pubbliche.
A lui il Paese deve il rilancio di Paolo Scaroni, beccato in Mani Pulite per tangenti all’Enel, risuscitato da B. nel 2002 ovviamente come amministratore delegato dell’Enel, e poi trasferito all’Eni dove è diventato il braccio operativo degli amichevoli rapporti tra Berlusconi e Vladimir Putin.
Culminati negli accordi pluriennali per l’acquisto del gas rivelatisi assai onerosi dopo il crollo dei prezzi petroliferi.
Molto meno efficaci, ma non meno dannosi, gli sporadici tentativi di farsi regista delle trame di potere di salotti buoni e poteri forti.
Un mondo che lo ha sempre trattato da parvenu e che più che altro lo ha usato, conquistandone facilmente l’appoggio quando c’era da combinare qualcosa facilmente traducibile in interessi personali o elettorali di B.
Nel 2001, appena vinte le elezioni, B. dà  la sua benedizione al ribaltone di Telecom Italia. Lui deve punire Roberto Colaninno per aver comprato Telemontecarlo promettendo ai suoi danti causa del centrosinistra di farne la loro tv di riferimento, e volentieri appoggia la Pirelli di Marco Tronchetti Provera che approfitta dell’isolamento di Colaninno, abbandonato dagli amici bresciani di Chicco Gnutti, e lo scala.
Effetto della lungimirante mossa di politica industriale, misurabile dopo quattordici anni: agli azionisti della Pirelli l’avventura è costata almeno 3 miliardi di euro, al Paese trovarsi con una rete telefonica bisognosa di miliardi pubblici per essere rattoppata.
Il disastro di Alitalia: 4 miliardi di euro buttati  
Tenuto fuori dalle trame vere del potere bancario, assiste impotente al fallito assalto al potere delle Fondazioni bancarie del suo superministro Giulio Tremonti, sconfitto nel 2003 da una sentenza della Corte costituzionale che formalizza il potere di un’accolita di privati cittadini su alcune decine di miliardi che erano pubblici.
Nel 2005 si infila nelle trame dei furbetti del quartierino dando sponda al governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e al suo amico Gianpiero Fiorani, che vorrebbero scalare Antonveneta, nonchè a Stefano Ricucci che vorrebbe scalare il Corriere della Sera: tutti respinti con perdite.
Ma il vero capolavoro è il salvataggio dell’Alitalia nel 2008. Con la complicità  dell’allora banchiere Corrado Passera, che oggi punta a ereditarne il ruolo di leader del centrodestra, sfila la compagnia di bandiera all’Air France che la pagherebbe bene e la regala alla cordata di Colaninno (che non è più di sinistra), mollando ai contribuenti un conto (tra perdite e cassa integrazione per sette anni agli esuberi) calcolato in almeno 4 miliardi.
Sullo sfondo il desolante panorama della distruzione dell’economia italiana, con ristoranti pieni (diceva) e fabbriche vuote.

Carlo Di Foggia, Stefano Feltri e Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LANDINI: “LA POLITICA NON E’ PROPRIETA’ PRIVATA”

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

AL VIA LA “COALIZIONE SOCIALE”: PRESENTI EMERGENCY, ARCI, ARTICOLO 21, LIBERTA’ E GIUSTIZIA, GLI EX M5S MUSSINI, ROMANI E BENCINI

Una riunione a porte chiuse nella sede nazionale della Fiom: è partito il cantiere della “coalizione sociale”, lanciato dal segretario della Fiom Maurizio Landini per costruire un’alternativa alle politiche del governo di Matteo Renzi.
Tra i presenti: i portavoce delle associazioni Emergency, Arci, Articolo 21 a Libertà  e giustizia; i rappresentanti di alcune categorie professionali (da avvocati a farmacisti); i senatori ex M5S Maria Mussini, Maurizio Romani e Alessandra Bencini; il costituzionalista Gianni Ferrara; Giovanni Cocchi del comitato per una legge popolare sulla buona scuola.
Tutti i partecipanti sono stati convocati da Landini presso la sede nazionale della Fiom con una lettera di invito nella quale si chiede di dare forma a dei “punti di programma condivisi nello spazio nazionale” che muovano da una certezza: “La politica non è una proprietà  privata“.
La coalizione sociale nasce, spiega ancora Landini nell’invito, per contrastare due assunti: “la fine del lavoro” e quello secondo cui “la società  non esiste, esistono solo gli individui e il potere che li governa” con cui è stato creato “lo spettro di un futuro già  presente con cui siamo chiamati a fare i conti in tutta Europa” e che sta scatenando “una guerra tra poveri”.
Per questo, scrive ancora Landini, “serve superare le divisioni, il frazionamento, le solitudini collettive e individuali e coalizzarsi insieme”.

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I PRECARI TRADITI DA RENZI: “ANDREMO IN TRIBUNALE E LA RIFORMA SALTERA'”

Marzo 14th, 2015 Riccardo Fucile

LA GUERRA DEI 7.000 IDONEI CHE HANNO PASSATO IL CONCORSO DEL 2012, ESCLUSI DALLE ASSUNZIONI DOPO LE PROMESSE DEL GOVERNO

Da 150mila a 100mila: i precari assunti con la riforma della scuola sono scesi di un terzo rispetto al numero che il governo aveva messo nero su bianco lo scorso settembre.
La differenza è dovuta al fatto che 14mila sono già  stati assunti nel corso dell’anno; al “congelamento” di 23mila docenti dell’infanzia (il governo li assumerà  dopo aver elaborato un piano di destinazione con i Comuni); soprattutto all’esclusione degli idonei dell’ultimo concorso, tra i 6mila e i 7mila docenti.
E proprio su questa scelta il governo rischia un clamoroso autogol: forse potrebbe bloccarsi addirittura l’intera riforma.
Perchè era stato proprio il ministero, un anno fa, a includere questi insegnanti nelle Graduatorie di merito del Concorsone indetto nel 2012 dall’allora ministro Profumo e promettere loro una cattedra; ribadendo l’impegno anche in autunno.
Adesso fa marcia indietro all’improvviso.
Ma tutta una serie di atti normativi sembra dar ragione agli idonei. Ed espone la riforma ad un pericoloso contenzioso legale:
“E’ una decisione inspiegabile”, tuona Giuseppe Curia, delegato nazionale del Coordinamento degli idonei. “Se il provvedimento verrà  approvato così, il giorno dopo andremo dritti in tribunale. Del problema si stanno interessando anche tanti partiti politici che ci hanno promesso il loro appoggio. Una simile assurdità  non passerà  mai in Aula, Renzi si prepari alla battaglia”.
Gli idonei del Concorso 2012 sono quei candidati che hanno passato le prove conseguendo il punteggio minimo, ma in graduatoria si sono posizionati oltre gli 11mila posti messi a bando dal Miur.
Sono 17mila in totale, di cui però 10mila già  presenti nelle Graduatorie ad Esaurimento (GaE, le liste che assegnano per legge il 50 per cento dei posti a tempo indeterminato e che ora il governo si accinge a svuotare).
Dunque ai fini della stabilizzazione meno di 7mila.
Nel maggio del 2014, per stoppare i ricorsi un decreto ministeriale aveva sancito di estendere lo scorrimento delle Graduatorie di merito anche a tutti gli idonei, che quindi sarebbero dovuti entrare in ruolo nei prossimi anni.
Un’intenzione ribadita anche nella riforma: stabilizzeremo “tutti i precari storici, tutti i vincitori e gli idonei dell’ultimo concorso”, si legge ancora a pagina 15 del programma de “La buona scuola”.
Qualcosa, poi, è cambiato. “Gli idonei non sono vincitori, altrimenti si chiamerebbero vincitori. Ci dispiace, ma loro dovranno fare il concorso”, ha spiegato ieri in conferenza stampa Matteo Renzi con toni perentori. Difficile dire cosa ci sia dietro questa giravolta. O forse no: con la loro esclusione il governo risparmierà  risorse da destinare a nuovi progetti, come il merito con fondi aggiuntivi o la “carta del prof” da 500 euro l’anno, non previsti nel piano originario.
Di fatto, però, si tratta di un azzardo.
Le cui conseguenze potrebbero essere gravi per tutta la riforma
“Siamo rimasti davvero stupiti”, spiega al fattoquotidiano.it Curia. “Non capiamo come Renzi possa pensare di tagliare fuori legalmente gli idonei. Il governo dovrebbe abrogare un suo stesso decreto, ed emanare un nuovo testo unico, che però in ogni caso non potrebbe avere valore retroattivo”.
Attenzione: ad alto rischio non è solo il piano straordinario d’assunzioni. Persino il prossimo concorso (quello da 60mila posti, atteso da tutti gli altri precari esclusi dalla riforma, in particolare dai più giovani) potrebbe essere bloccato.
Il decreto D’Alia stabilisce che non è possibile bandire un nuovo concorso prima di esaurire le graduatorie di quello precedente, che hanno durata triennale.
Mentre alcune liste del Concorsone 2012, anche a causa di gravi ritardi e disfunzioni, sono state pubblicate solo nel 2014.
“Siamo pronti a rivolgerci immediatamente al Tar”, minaccia il coordinamento. “Faremo ricorso contro il piano di assunzioni e impugneremo il bando del prossimo concorso (atteso già  nei prossimi mesi: le prime prove in teoria dovrebbero svolgersi già  in autunno, nda)”.
Evidentemente il ministero avrà  sentito i suoi legali, ed è convinto di avere gli strumenti per andare avanti su questa strada. Ma le parole di Curia anticipano ricorsi imminenti. Uno scenario che stride con l’intenzione di Renzi di approvare in tempi rapidi il ddl per procedere con le immissioni in ruolo.
Adesso sulla questione rischia di aprirsi un grosso contenzioso. Fuori e dentro il Parlamento.

Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano“)

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