Destra di Popolo.net

GUERRA DI NERVI INTORNO AL REFERENDUM: LA MERKEL CHIUDE, L’EUROPA E’ CON LEI, O LA TESTA DI TSIPRAS O NIENTE

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

LA ROTTURA TRA IL PREMIER GRECO E MERKEL PRIMA DELL’EUROGRUPPO

“Ma a che gioco stiamo giocando? Perchè Merkel continua dire che si tratta solo dopo il referendum mentre Juncker propone di trattare? E’ valida o no la proposta di Juncker che abbiamo impacchettato in nottata!?”.
Alexis Tsipras è furioso al telefono con gli interlocutori a Bruxelles.
Tutto si consuma prima della riunione dell’Eurogruppo, fissata in teleconferenza per le 17.30.
Il premier greco ha già  annunciato che parlerà  alla nazione nel primo pomeriggio.
Ma naturalmente, prima di parlare alla tv greca, vuole capire cosa dire, se continuare sulla strada della trattativa in extremis o no. La risposta è il no.
Gliela danno al telefono da Bruxelles, quando è già  fallito anche il tentativo di Francois Hollande di riportare tutti al tavolo prima del referendum e dopo telefonate che vanno avanti da ieri notte.
Prevale la linea dettata da Angela Merkel che, evidentemente, lancia la sua ultima sfida alla Grecia, punta sulla vittoria del sì all’accordo con i creditori per sbarazzarsi del premier greco e del suo governo.
“E noi non ci possiamo far mettere nell’angolo”, conclude Tsipras prima dell’Eurogruppo. Click.
E’ così che intorno alle 16.30 ora italiana, Tsipras pronuncia il suo discorso davanti alle telecamere della tv greca.
Sono falliti tutti i tentativi di trovare un accordo.
Anche la sua ultima lettera di ‘emendamenti’ sulla proposta Juncker è stata rispedita al mittente.
E’ per questo che il premier greco ribadisce quanto deciso lo scorso weekend. Il referendum ci sarà . E i greci sono invitati dal governo a votare no all’accordo proposto dai creditori. Faccia cupa, sfinita.
“Il no non significa dire addio all’Europa”, si sforza di spiegare Tsipras, tentando di confutare le letture di quei leader europei che equiparano il referendum greco ad una partita “euro contro dracma”.
Lo ha fatto il premier Matteo Renzi. E non solo lui.
“No — dice Tsipras — il no significa un ritorno all’Europa dei valori, significa pressione vera per avere un accordo socialmente sostenibile, che non assegni il peso della crisi solo ai pensionati e ai salariati. Un accordo che punisce chi ha approfittato della crisi per fare i soldi a scapito del popolo… So delle difficoltà  della crisi e farò di tutto per assicurarvi che sarà  passeggera. Alcuni dicono che il risultato del referendum è legato con l’uscita dall’euro: quelli che lo dicono lo dicevano anche in passato e creano problemi al popolo e anche all’Ue…”.
Da Atene Tsipras dà  fondo a tutti gli argomenti che ha per la campagna per il no.
A Bruxelles si attende solo la formalizzazione dell’Eurogruppo.
Ma quando i ministri delle Finanze dell’area Euro si riuniscono, non hanno più molto da dirsi. La nuova riunione — come quella di ieri, del resto — dura pochissimo.
Il tempo di formalizzare la linea stabilita dalla Germania. “Non ci sono gli elementi per ulteriori negoziati a questo punto. Non ci saranno colloqui nei prossimi giorni su proposte di accordi finanziari. Aspetteremo l’esito del referendum di domenica e prenderemo atto del risultato di quel referendum”, sentenzia in una nota il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijssembloem.
Fallisce l’ultimo tentativo di Hollande, falliscono i timidi tentativi italiani di arrivare a un compromesso che senta le ragioni di tutti.
“L’uscita della Grecia dall’euro non è mai stata un’opzione in campo”, ha ribadito più volte il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan. “E’ un giorno molto triste per l’Europa – commenta Gianni Pittella, capogruppo del Pse a Strasburgo – Abbiamo fatto tutto quello che potevamo e ancora di più – aggiunge – per cercare di trovare un compromesso ragionevole che potesse aiutare il popolo greco e fosse accettabile per i creditori e l’Ue. Ad ogni modo, Atene non si è approcciata ai negoziati in modo adeguato, sin dall’inizio, sul fronte opposto è sembrato evidente che c’è stato un atteggiamento ostinato da parte di alcuni stati membri. Continueremo a combattere – conclude Pittella – per l’integrità  della zona euro e dell’Europa”.
Ma questa partita, soprattutto nell’ultimo tempo iniziato lo scorso weekend, ha visto solo due giocatori in campo: Tsipras e Merkel.
Spazzato via anche il tentativo del presidente della Commissione Jean Claude Juncker di negoziare in extremis.
Vince la Cancelliera che convince anche il premier italiano Matteo Renzi.
E a questo punto, pianificano da Bruxelles, così come Tsipras si impegnerà  nella sua campagna per il no, dalle cancellerie europee partirà  la campagna mediatica contro il premier greco.
Un tiro al bersaglio mirato a farne un capro espiatorio di tutta la trattativa. La posta in gioco è altissima: dovessero vincere i no, nessuno sa cosa succederebbe.
L’opzione Merkel invece scommette sul sì, per sedersi al tavolo con altri negoziatori, un altro premier.
A Bruxelles questo schema è chiaro a tutti i negoziatori in campo. Tanto che nell’Europarlamento, si racconta tra gli sherpa, si sta già  palesando un fronte trasversale schierato per il no: d’accordo con Tsipras insomma e rancoroso con la Merkel che ha fatto saltare l’ultima chance di intesa.
Chissà . Intanto tutti guardano i sondaggi: a Bruxelles propendono a credere a quelli che danno il sì vincente, naturalmente.
Unica incognita: la chiusura delle banche, decisa dal governo di Atene all’inizio della settimana per mettere al sicuro la liquidità  di emergenza degli istituti.
Peserà  sul voto? E come?

(da “Huffingtonpost”)

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ECCO CHI SONO GLI INVESTITORI PRIVATI CHE DETENGONO IL DEBITO GRECO

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

FONDI, BANCHE E ASSICURAZIONI

Se la Grecia dovesse fallire, alcuni clienti di Pimco potrebbero non prenderla tanto bene. Il gestore di fondi, uno dei più grandi del mondo con oltre 1500 miliardi di asset in gestione dei quali circa un terzo in Europa, risulta anche il più esposto sul debito pubblico greco tra i grandi investitori istituzionali.
Dei circa 82 miliardi di titoli di Stato greci ancora in circolazione, quasi uno – dato aggiornato a giugno – è infatti in mano proprio ai fondi del gruppo Pimco.
E si è incrementato nell’ultima fase di oltre 300 milioni di euro.
Al secondo posto un altro grande gestore americano, Putnam, con circa mezzo miliardo di euro nei suoi fondi.
Scarsa, tra gli istituzionali, la presenza dei titoli ellenici nei fondi italiani.
Eurizon aveva, a fine dicembre scorso, 25 milioni di euro di titoli di Stato di Atene. Mentre Generali Fund management aveva ad aprile scorso 9,19 milioni di euro investiti nei Sirtaki-bond.
Diverso il quadro guardando a banche e assicurazioni.
Sono circa 25,8 miliardi di euro i titoli in nei portafogli degli istituti di credito, ma tra questi la quasi totalità  è nei portafogli delle banche greche.
E tra queste spicca Eurobank, che da sola ha in portafoglio 23,5 miliardi di debito pubblico greco.
L’istituto, che durante la crisi ha assorbito TT Hellenic Postbank e Proton Bank, ha asset totali di 77,6 miliardi.
Tra gli stranieri c’è Deutsche Bank, che a marzo scorso risultava avere ancora 108 milioni di euro di titoli greci.
Ma qui spicca la posizione del gruppo Unipol, che aveva a fine dicembre scorso circa 100 milioni di debito greco, iscritto a bilancio per 76,2 milioni di euro.
Una posizione completamente liquidata nel corso del primo trimestre, fa sapere la compagnia bolognese, senza registrare minusvalenze.

Gianluca Paolucci
(da “La Stampa”)

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CINQUESTELLE, CRESCE LA FRONDA CONTRO IL DIRETTORIO DOPO LA RETROMARCIA SULLA LOQUENZI

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

CORRONO LE ACCUSE DI “VIGLIACCHI E VOLTAGABBANA”

C’è un nesso fra il timing dell’annuncio della trasferta greca di Beppe Grillo e la riunione dei deputati del Movimento 5 stelle chiamati a fare harakiri e a votare contro se stessi per confermare Ilaria Loquenzi capo della comunicazione una settimana dopo averla sfiduciata.
La scelta di un orario tardo, dopo i tg delle 20, quasi oltre tempo massimo per la chiusura di alcune agenzie di stampa, è stato calcolato per togliere respiro – leggasi spazio nella foliazione e minutaggio nei telegiornali – alla giravolta dell’intero gruppo di Montecitorio.
Una non votazione, un via libera all’unanimità , al capo dello staff indicato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
E che, da regolamento, non doveva essere discusso.
E invece il pollice verso era arrivato, con 26 voti contro una manciata di contrari e astenuti a tagliare la testa al vertice dello staff della Camera.
L’ira del cofondatore, che aveva meditato post di fuoco a caldo, si è diluita in un pressing costante.
Sul Direttorio, in primis, considerato troppo tiepido, persino inadeguato, a gestira la prima vera grana interna dal suo insediamento.
Ai vertici del gruppo parlamentare, che in molti accreditano come i primi che volevano la sostituzione della Loquenzi, con una lettera lapalissiana in cui sono state messe in chiaro le regole interne già  note e arcinote.
E con alcuni deputati singolarmente presi, considerati pontieri fra le due anime del Movimento.
Ieri Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e un po’ tutti i componenti del Direttorio hanno condotto una evidente operazione di moral suasion fra i colleghi.
Arrivando a tarda sera ad incassare i desiderata di Milano attraverso una delibera all’unanimità  senza una conta che sarebbe stata lacerante.
Tecnicamente, la questione è stata risolta. Ma politicamente il tentativo di sconfessione di Casaleggio e la frettolosa retromarcia hanno lasciato il segno.
Nelle chat interne chi caldeggiava l’addio della Loquenzi è ancora stamattina prodigo di accuse contro i colleghi: “Vigliacchi”, “Voltagabbana”.
In parte è una richiesta di recisione del cordone ombelicale da Milano.
In parte è anche insofferenza nei confronti del Direttorio, della sua visibilità  mediatica, della sua prerogativa di interlocuzione con i due leader.
Stamattina proprio Di Battista ha preannunciato un “allargamento” della squadra dei cinque.
In ballo c’è la richiesta di alcuni di essere più visibili per garantirsi un audience tale da rendere sicura una prossima elezione.
Tanto che è bastata la minaccia di “non ricandidare” i riottosi a innescare la più frettolosa delle retromarce.

(da “Huffingtonpost“)

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DELLA VALLE: “L’ESPERIENZA DI RENZI E’ FINITA, MATTARELLA NE PRENDA ATTO”

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

PER IL PATRON DI TOD’S IL PREMIER HA FALLITO

“Mi dispiace ammetterlo ma credo che questa sia un’esperienza governativa arrivata un po’ alla fine”.
Così il patron di Tod’s, Diego Della Valle.
“Credo che il presidente della Repubblica debba prendere atto che c’è un governo non votato dal popolo e in assoluto affanno, ma non si può andare a votare ora”, aggiunge Della Valle.
“Non si può andare avanti con un governo che non può fare le cose per mille motivi – aggiunge l’imprenditore marchigiano a margine del ‘Milano Fashion Global Summit 2015’ – oggi ci vuole un governo di persone che sappiano fare le cose essenziali che servono e che ci porti al 2018, quando andremo finalmente a votare le persone che ci scegliamo”.
“C’è bisogno di gente competente con dei curricula validi, non mettiamo amici e amici degli amici”, conclude Della Valle.
Anche Piersilvio Berlusconi, inizialmente benevolo nei confronti del governo Renzi, oggi parla di un rallentamento dell’esecutivo.
Il governo, ha affermato – riprenda “un’azione decisa e ispirata alle riforme”.
“Siamo ancora dentro la crisi più lunga che l’Italia abbia mai vissuto – ha detto -. Un anno fa avevo detto di tifare per la fretta del Governo Renzi, oggi mi sembra che le tante annunciate misure economiche abbiano subito un forte rallentamento. Da italiano e da imprenditore voglio e devo avere fiducia. Spero e credo che il nostro Governo voglia riprendere un’azione decisa e ispirata proprio alle riforme”.
Su cosa si aspetti, ha chiosato: “Vorrei – ha aggiunto a margine – che il Governo facesse almeno il 50% delle cose che ha dichiarato in termini di intenzione”.

(da “Huffingtonpost”)

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TOTI INIZIA IN GLORIA: A UN INQUISITO LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LIGURIA

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL LEGHISTA BRUZZONE DEVE RISPONDERE DI PECULATO PER I RIMBORSI PAZZI: LA SCELTA GIUSTA PER LA CARICA ISTITUZIONALE… LA CLASSE NON E’ ACQUA: SI E’ PURE VOTATO DA SOLO… ESCLUSI INGIUSTAMENTE I GRILLINI: GLI ALTRI DUE POSTI AL PD E A FORZA ITALIA

È iniziata la decima legislatura della Regione Liguria con la riunione del primo consiglio regionale del nuovo presidente Giovanni Toti.
Il leghista inquisito per peculato Francesco Bruzzone è stato eletto presidente del consiglio regionale della Liguria, mentre Pippo Rossetti (Pd) è stato eletto vicepresidente.
Lo ha sancito il voto dell’assemblea. Per Bruzzone 16 voti a favore (centrodestra compatto, aveva a disposizione 16 voti, il leghista si è votato pure da solo), per Rossetti nove, tutti i consiglieri del Pd più il voto del consigliere di Rete a Sinistra Gianni Pastorino.
Per Alice Salvatore (M5S) sei i voti dei consiglieri pentastellati.
Il consigliere regionale di Forza Italia Claudio Muzio è stato eletto segretario dell’Ufficio di presidenza della Regione Liguria.
Muzio ha ottenuto 16 voti a favore, Alice Salvatore (M5S) ha ottenuto 6 voti, 9 le schede bianche del Pd.
L’ufficio di presidenza risulta così composto da Francesco Bruzzone, Pippo Rossetti e Claudio Muzio.
La logica avrebbe voluto che se la presidenza toccava al centrodestra, i due vice fossero un Pd e un grillino, naggiori partiti di opposizione.

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RUBY TER, CHIESTA AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE PER LA RONZULLI

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL CASO IN EUROPA: ACCUSATA DI FALSA TESTIMONIANZA

La Procura di Milano ha deciso di chiedere al Parlamento Europeo l’autorizzazione a procedere nei confronti di Licia Ronzulli, finita indagata nell’inchiesta Ruby ter, per aver reso falsa testimonianza in aula al processo milanese a carico di Silvio Berlusconi quando era ancora eurodeputata.
Anche per lei vale quello che vale per i 33 indagati nel filone delle testimoni pagati per il loro silenzio: avrebbe taciuto su quanto avveniva nelle residenze del premier, mentendo così in aula.
Il nome dell’azzurra non compare tra quelli per cui il procuratore aggiunto Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno chiuso le indagini.
La sua posizione è stata stralciata, non in vista della richiesta di archiviazione – come nel caso degli avvocati dell’ex premier Niccolò Ghedini e Piero Longo –   ma per avanzare una richiesta a Strasburgo per poter poi chiedere, nel caso fosse accolta, il processo per la ex europarlamentare di Fi.
La Ronzulli è stata molto vicina a Berlusconi ai tempi delle feste.
E il suo nome compare anche nelle carte dell’inchiesta barese sulle escort di Gianpaolo Tarantini.
E proprio alla Procura di Bari i magistrati milanesi hanno chiesto la copia degli atti del procedimento ‘Escort’ a carico di Gianpi, Sabina Began e altri per approfondire i motivi per cui la Barbara Guerra, citata come teste dell’accusa, più volte non si è presentata in aula e si è resa irreperibile.
Gli inquirenti e gli investigatori milanesi che hanno appena chiuso l’indagine sono convinti infatti che la Guerra e un’altra delle ragazze ospiti di Berlusconi, Iris Berardi, sarebbero state pagate da Silvio Berlusconi per ritirare la costituzione di parte civile nel processo Ruby bis a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti e non testimoniare in aula.
Il procuratore aggiunto Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, tra gli atti depositati ai 34 indagati – dei quali l’ex premier, 21 ragazze compresa ‘Rubacuori’, Mariano Apicella e Danilo Mariani e l’avvocato Luca Giuliante sono accusati di corruzione in atti giudiziari, mentre gli altri rispondono di falsa testimonianza – hanno inserito anche prove documentali che dimostrerebbero che la show girl barese e la modella brasiliana avessero ricevuto una lauta ‘ricompensa’ per uscire dal processo con al centro le feste a luci rosse ad Arcore come parte civile e dribblare la deposizione, come poi hanno fatto.
Anzi come si legge nelle carte l’ipotesi è che la soubrette si fosse “consultata” con la Berardi sull'”opportunità ” di costituirsi parte civile poi ottenere del denaro per cambiare ‘rotta’ processuale.
Nell’indagine milanese ci sono intercettazioni telefoniche in cui Iris Berardi e Barbara Guerra nel 2012 chiedevano direttamente a Berlusconi soldi in cambio del loro silenzio (su questo capitolo è stata trasmessa al gip una richiesta di autorizzazione all’utilizzo da inoltrare al Parlamento).
Al momento, come si legge nel capo di imputazione, la prima ha ricevuto dal leader di Forza Italia 147.500 euro, la concessione in comodato gratuito di un appartamento a Milano 2 di proprietà  dell’Immobiliare Idra di Berlusconi e contratti fittizi di lavoro per circa 60 mila euro. La Guerra, invece, ha ricevuto 235.000 euro e una villa a Bareggio, in provincia di Milano, del valore di 870 mila euro.

(da “La Repubblica”)

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SALVINI E MELONI NON CASTRANO PIU’: IL VIOLENTATORE E’ ITALIANO E PURE DELLA MARINA MILITARE

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL LEADER DELLA LEGA NON COMMENTA PIU’ DALLE 13 DI IERI, LA MELONI INVOCA PENA ESEMPLARE “PERCHE’ HA GETTATO DISCREDITO SULLA MARINA”… MA QUANDO E’ UN IMMIGRATO A COMMETTERE UN REATO FORSE NON GETTA DISCREDITO SUI SUOI CONNAZIONALI?… E SU FB LA FECCIA MASCHILISTA INSULTA LA RAGAZZINA

Ore 13.12 di ieri, Salvini scrive su Fb: “Roma, una ragazza di 16 anni è stata violentata stanotte. Per lo schifoso, di qualunque razza sia, CASTRAZIONE CHIMICA e via!”
Si noti il “di qualsiasi razza sia”, simbolo di speranza (sotto inteso “magari fosse un immigrato”).
Gli fa eco Giorgia Meloni che, essendo più informata, chiosa su toni più bassi:   “Solidarietà  totale alla ragazza di 16 anni che ieri sera ha subito a Roma un’assurda violenza sessuale”.
Ci viene spontaneo chiederci se esista una violenza sessuale giustificabile e non “assurda”, ma passiamo oltre.
La Meloni conclude: “Spero che il colpevole sia identificato e punito. Chiediamo per queste bestie certezza della pena: questa gente deve stare in galera”.
Arriviamo ad oggi: viene fermato con prove schiaccianti il responsabile della violenza.
E’ un italiano appartenente alla Marina militare e non un immigrato, un profugo o un clandestino.
A distanza di ore Salvini non dice più nulla, lui che scrive ogni secondo per segnalare anche quando piscia controvento nella sua seconda casa di Recco e Senarega è costretto a spostarsi.
Non si castra più nessuno, non sia mai che ci giochiamo il voto dei militari.
Con qualche ora di ritardo arriva il commento della Meloni che invoca “Pena esemplare per lo schifoso che ha stuprato una ragazza di 16 anni a Roma. È un vigliacco che col suo gesto ha anche gettato discredito su un’intera categoria di lavoratori al servizio del Ministero della Difesa.”
Se quindi un immigrato commette un reato dovrebbe valere lo stesso concetto: getta discredito sulla sua comunità , peccato che non abbiamo mai letto nulla al riguardo, anzi si tende a colpevolizzarli tutti.
Con questo originale concetto meloniano se il violentatore fosse stato un operaio avrebbe gettato discredito sui metalmeccanici?
O se fosse stato un commerciante sugli esercenti?
Chiudiamo in bruttezza: sulla pagina TGcom si commenta la notizia della violenza a una 15enne.
Si va da “cosa ci faceva per strada a quell’ora” al “se l’è cercata”, dal “zozzetta” a “si sarà  fatta sbattere”, dal “avrà  fatto un’orgia” a “vedrai che le tette di fuori non le mette piu”.
In uno Stato serio questi escrementi umani sarebbero già  stati prelevati casa per casa e condannati a pulire cessi senza guanti per dieci anni.
In assenza dello Stato, una destra seria (quindi non quella suddetta) li avrebbe già  ospedalizzati.
Decidete voi se a psichiatria o a traumatologia.
Noi un’idea la abbiamo.

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PATACCA F35: “ABBATTUTO” IN COMBATTIMENTO SIMULATO DA UN VECCHIO CACCIA F-16

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

L’AEREO “AVVENERISTICO” CHE GLI USA CI HANNO APPIOPPATO IN 90 ESEMPLARI A PESO D’ORO CONTINUA A PRESENTARE PROBLEMI

Nuove imbarazzanti rivelazioni per quello che in teoria dovrebbe essere il piu’ sofisticato caccia-bombardiere del mondo, lo statunitense F-35 di Lockheed Martin.
A gennaio – ma la notizia e’ trapelata solo oggi – un F-35 e’ stato ‘abbattuto’ in uno scontro diretto con un vecchio ma affidabilissimo F-16 il cui progetto risale agli anni ’70.
Si tratta di un eventualita’, quella dello scontro diretto ravvicinato a vista, in teoria remota per un F-35 che essendo invisibile ai radar, a differenza dell’F-16, puo’ abbattere quest’ultimo parando un missile senza essere neanche avvistato da grandissima distanza.
Ma un aereo da guerra – come scoprirono gli americani a loro spese in Vietnam – sempre essere in grado di difendersi in un combattimento ravvicinato.
Secondo quanto riferisce il britannico Daily Mail, “la piu’ costosa arma della storia americana” (il programma completo costera’ 350 miliardi di dollari), in un cosiddetto ‘dogfight’ (combattimento aereo a vista testa a testa) sull’oceano Pacifico vicino alla base Edwards in California si e’ rivelato troppo lento rispetto al piu’ maneggevole F-16, impiegato da decine di anni da decine di Paesi oltre gli Usa.
Nel test, si voleva verificare le capacita’ di sopravvivenza dell’F-35 (di cui l’Italia e co-partner con Finmeccanica e che intende ordinarne 90 esemplari) in un combattimento a distanza ravvicinata tra i 3.000 e i 10.000 metri di quota in cui entrambi i piloti – senza ovviamente spararsi addosso – hanno cercato di farsi fuori.
Secondo il rapporto di 5 pagine del pilota dell’F-35 il jet si e’ dimostrato “completamente inadatto al combattimento ravvicinato”.
Il pilota ha riferito che l’F-35 ha “problemi aerodinamici inclusa un ‘insufficiente rateo di beccheggio’ (alza troppo lentamente il muso, aspetto chiave in uno scontro) rivelando che il jet e’ troppo ingombrante per evitare di farsi colpire”.
Il pilota si e’ anche lamentato dell’avveniristico casco da mezzo milione di dollari a pezzo che concede al pilota una visuale a 360 gradi con i dati di volo ed il mirino per le armi che appare direttamente sulla visiera.
Il casco si e’ rivelato “troppo ingombrante per muoversi agilmente nell’abitacolo”, consentendo all’F-16 di avvicinarsi da “ore sei” (alle spalle) senza essere notato.

(da “La Repubblica”)

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LA LEZIONE SPAGNOLA A SYRIZA E AI CINQUESTELLE

Luglio 1st, 2015 Riccardo Fucile

PODEMOS E CIUDADANOS RIESCONO A INCIDERE TRATTANDO SUL LORO PROGRAMMA

Questa settimana, in Spagna, si sono concluse le investiture dei governi dei numerosi municipi e comunità  autonome dove, poco più di un mese fa, sono state celebrate elezioni.
Lo spettro di una generalizzata ingovernabilità  dovuta alla rottura del tradizionale sistema bipartitico è stato allontanato, almeno per il momento.
Le due formazioni emergenti, Podemos e Ciudadanos, hanno adottato in questo senso un’attitudine costruttiva: hanno dimostrato, cioè, di essere disposte a scendere a patti con il Partito socialista (Psoe) e il Partito popolare (Pp), differenziandosi quindi dalla linea ostruzionista tipica dei Cinque Stelle italiani.
Al tempo stesso, hanno dato prova di una notevole abilità  nel dettare l’agenda politica. Non solo infatti sono riuscite a imporre al centro del dibattito pubblico le questioni del «cambiamento» e della «rigenerazione democratica», ma sono anche state in grado di sfruttare al massimo quello che si potrebbe definire come il loro «potenziale di ricatto»: pur di ottenere il loro appoggio, indispensabile per governare in pressochè tutte le principali località , il Psoe e il Pp si sono infatti visti costretti ad accogliere delle cospicue e composite serie di condizioni.
Emblematico a tal proposito è il caso della Comunità  di Madrid, in cui i popolari hanno finito per accettare una lista di ben 82 punti proposta da Ciudadanos che, oltre a misure riguardanti la gestione della cosa pubblica come ad esempio l’arresto al processo di privatizzazione del settore sanitario, include persino l’impegno a democratizzare la vita interna del Pp attraverso la celebrazione di primarie per la designazione dei suoi dirigenti.
Ne consegue che quello raggiunto attualmente è un equilibrio quanto mai fragile, la cui capacità  di tenuta dipenderà  dalle tattiche che nei prossimi mesi i vari partiti decideranno di seguire con vista alle generali di novembre
Per quanto riguarda Ciudadanos e Podemos, occorre tener presente che si trovano comunque in due situazioni diverse.
Il primo, infatti, il 24 maggio scorso ha ottenuto dei risultati che, per quanto positivi, sono stati al di sotto delle sue aspettative e non è riuscito ad affermarsi in nessuna località  come primo partito.
Nella maggior parte dei casi — eccezion fatta per l’Andalusia, dove sostiene il Psoe – ha optato per fornire il proprio appoggio condizionato al Pp, ma restando all’opposizione.
Non ha perciò responsabilità  governative, il che potrebbe essere un vantaggio, permettendogli di presentarsi in autunno come l’unica forza «pura», non contaminata dalla prova dei fatti.
D’altra parte, continua a presentare un’elevata ambiguità  e una scarsa definizione programmatica – appella semplicemente al «buon senso» —, due elementi intrecciati tra di loro che, sebbene abbiano funzionato relativamente bene fino ad ora, se protratti eccessivamente potrebbero diventare fattori di debolezza.
L’avvenire di Ciudadanos dipenderà  anche dall’evoluzione che sperimenteranno i popolari: il Pp al momento è in subbuglio e, se le richieste di rinnovamento avanzate da alcuni suoi leader come Cristina Cifuentes — la nuova governatrice della Comunità  di Madrid — dovessero prevalere, non è escluso che riesca a riassorbire parte dell’elettorato che a maggio si è orientato verso il partito di Albert Rivera.
Podemos invece, oltre ad appoggiare il Psoe in diversi municipi e comunità  autonome, per mezzo di liste civiche ad esso collegate è alla guida del governo in numerose località , tra cui spiccano Madrid e Barcellona.
È ancora presto per fare un bilancio dell’attività  svolta, dato che le nuove sindache delle due principali città  spagnole — rispettivamente Manuela Carmena e Ada Colau – sono entrate in carica da circa due settimane.
Tra gli obiettivi che si sono proposte per i loro primi cento giorni di mandato vi sono misure di marcato carattere sociale, come lo stop agli sfratti e l’implementazione delle mense popolari per i minori.
Carmena si è già  incontrata con rappresentanti delle banche per dimostrare loro che intende assumere un atteggiamento dialogante e che non vi è il rischio, paventato dalla destra, dell’instaurazione di un modello chavista.
Di particolare interesse in questi giorni è stato il definitivo rifiuto, da parte di Podemos, di arrivare a un patto con Izquierda Unida, la coalizione guidata dal Partito comunista.
Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos, in polemiche dichiarazioni rilasciate a Pàºblico, ha affermato che la creazione di una nuova maggioranza non passa attraverso accordi con un vecchio partito che in questi anni, pur di difendere la sua identità  ormai sorpassata, si è accontentato di una esigua percentuale di voti.
Iglesias, in un’ottica più generale, nell’intervista ha voluto prendere chiaramente le distanze dalla cultura della sinistra tradizionale, caratterizzata da «pessimismo esistenziale» e che ormai si rivolge solo a un gruppo minoritario fatto di persone tristi, noiose e amareggiate.
Non bisogna infine dimenticare che gli scenari futuri saranno influenzati anche dagli sviluppi di quella che si è ormai profilata come una vera e propria Tangentopoli spagnola, che quotidianamente miete nuovi indagati tra le fila del Psoe e, soprattutto, del Pp, continuando così a minare la credibilità  di questi due partiti.
Emanuele Treglia
assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli (Roma) e membro del Centro de Investigaciones Histà³ricas de la Democracia Espaà±ola (Madrid).

(da “La Stampa”)

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